La mente colorata di Pietro Citati è un libro che offre una lettura personale e appassionata dell’Odissea di Omero, il capolavoro della letteratura greca antica. L’autore non si limita a riassumere la trama del poema, ma ne svela i significati più profondi e le sfumature più suggestive, mettendo in risalto la figura di Ulisse, l’eroe dalle mille astuzie e dalla mente poliedrica. Citati segue il viaggio di Ulisse attraverso le sue avventure e le sue prove, mostrando come egli sia capace di adattarsi a ogni situazione e di usare la sua intelligenza e la sua fantasia per superare gli ostacoli. Il libro è anche un omaggio alla bellezza della poesia omerica, che Citati rievoca con uno stile elegante e coinvolgente, ricco di immagini e metafore. La mente colorata è quindi un’opera che invita il lettore a riscoprire l’Odissea con occhi nuovi e a lasciarsi affascinare dalla sua forza narrativa e dal suo messaggio universale.
Nato da un progetto a lungo accarezzato, La mente colorata è soprattutto un’interpretazione narrata dell’Odissea, dove velocità e leggerezza celano un immane lavoro di documentazione. Un racconto, dunque, che «conquista senza scampo», come ha scritto Piero Boitani, giacché «intrecciare ancora una volta il tessuto stupefacente dell’Odissea, e insieme interpretarlo nell’arazzo più vasto della letteratura greca, non è esattamente cosa facile», e Citati lo fa apparire «semplice e limpido». Ma c’è di più: per Citati, che coltiva in egual misura la passione per gli antichi e per i moderni, l’Odissea inventa le leggi dell’arte del narrare, ne sperimenta ogni forma e possibilità, sicché dal poema si dipartono luminosi tragitti, che ci proiettano verso i libri che verranno: “Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister”, “Anna Karenina”, la “Recherche” sono costruiti secondo lo stesso principio sinfonico; nell’isola dei Feaci Ulisse fonda il racconto fantastico, che ha ispirato le storie delle “Mille e una notte”, Potocki, Hoffmann, Poe, e nella capanna di Eumeo il racconto d’avventura, da cui discendono i romanzi ellenistici, Dumas, Stevenson. Comprendere l’Odissea significa, del resto, comprendere «noi stessi, l’arte moderna, il nostro futuro».
Quella di Citati è una tela ricca di trame intessute (a ricordare un po’ quella di Penelope): la narrazione del libro inizia con la presentazione delle divinità che presiedono alle avventure di Odisseo: Apollo, Ermes, le Muse. Citati passa poi in rassegna gli dèi dell’Iliade e dell’Odissea, poi presenta l’eroe dell’Iliade, Achille, e solo a pagina 88 del volume, inizia a parlare di Ulisse. Come sempre, il re di Itaca si nasconde e compare quando vuole lui, e con astuzia si inserisce nella narrazione. Dopo una breve comparsa, rieccolo scomparire per lasciar spazio, nella narrazione di Citati, al figlio Telemaco e al suo viaggio alla ricerca di notizie sul padre scomparso da 20 anni. Citati ci parla quindi di Elena e Proteo. A questo punto, finalmente, ecco arrivare il nostro navigatore: l’isola di Calipso e l’arrivo dai Feaci, dove Ulisse inizia il suo racconto (e siamo a pagina 161!). Davanti agli occhi scorrono i formaggi di Polifemo, l’isola di Circe, il viaggio nell’Ade con l’abbraccio impossibile alla madre, le sirene e il loro canto straziante. Citati passa poi al ritorno a Itaca, alla capanna di Eumeo, guardiano di porci, alla figura di Penelope, alla strage dei proci, all’ultimo misterioso viaggio di Ulisse.
Insomma, in questo volume si narra con piacere e cognizione di causa di Ulisse, l’uomo dalla mente dai mille colori, variegato, multiforme, metamorfico, fatto di mille frammenti e di mille volti che si volgono da tutte le parti come il polpo a cui assomiglia. Un universo da scoprire!
Citati, Pietro. La mente colorata: Ulisse e l’Odissea. Adelphi, 2018 (2002), 359 pagine.
II giorno seguente, nel corso di un altro banchetto, Agelao di Samo, uno dei pretendenti, chiese a Telemaco se non potesse indurre sua madre a prendere una decisione. Al che Penelope si dichiarò pronta ad accettare come marito chi sapesse emulare Odisseo in una gara di tiro all’arco: si trattava di scagliare una freccia negli anelli di dodici asce disposte in fila. Penelope mostrò loro l’arco che dovevano usare: donato da Ifito a Odisseo venticinque anni prima, quando egli si era recato a protestare a Messene per il furto di trecento pecore compiuto a Itaca dai Messeni, quell’arco era appartenuto un tempo a Eurito, padre di Ifito, che Apollo stesso istruì nell’arte di scoccare frecce, ma che fu poi vinto e ucciso da Eracle. Taluni dei pretendenti vollero saggiarne la potenza, ma non riuscirono neppure a tenderlo, pur avendone ammorbidito il legno con della sugna; si decise dunque di rimandare la prova al giorno seguente. Telemaco, che era quasi riuscito a tendere l’arco, lo depose di nuovo vedendo Odisseo corrugare la fronte. Odisseo allora, nonostante le proteste e gli insulti dei pretendenti (così volgari che Telemaco fu costretto a ordinare a Penelope di ritornare nelle sue stanze), si impadronì dell’arco e lo tese senza sforzo facendone vibrare melodiosamente la corda. Poi, presa accuratamente la mira, scoccò una freccia nei dodici anelli delle asce. Frattanto Telemaco, che era uscito in gran fretta dalla sala, rientrò armato di spada e di lancia e Odisseo si rivelò infine scoccando una seconda freccia che si conficcò nella gola di Antinoo.
I pretendenti balzarono in piedi e corsero verso le pareti per staccare le armi, ma si accorsero troppo tardi che le armi non c’erano più. Eurimaco invocò pietà e quando Odisseo rifiutò di concedergli la vita, strinse la spada e si lanciò contro di lui: ma una freccia gli trapassò il fegato ed egli cadde a terra rantolante. Un’aspra lotta divampò allora tra i pretendenti armati di spade e Odisseo armato soltanto dell’arco, ma piazzato dinanzi all’ingresso principale della sala. Telemaco corse di nuovo all’armeria e ne riportò scudi, elmi e lance per il padre suo e per Eumeo e Filezio, i due servi fedeli che lo spalleggiavano. Infatti benché Odisseo avesse abbattuto i suoi avversari a dozzine, la sua scorta di frecce era quasi esaurita. Melanteo, che era sgattaiolato nell’armeria da una porta secondaria per portare armi ai pretendenti, fu colto sul fatto al secondo tentativo e legato con solide corde. La strage frattanto continuava e Atena in veste di rondine svolazzò nella sala finché tutti i pretendenti giacquero morti, all’infuori di Medonte l’araldo e di Pernio l’aedo; Odisseo li risparmiò perché non gli avevano fatto direttamente alcun torto e le loro persone erano sacre. Si fermò poi per chiedere a Euriclea, che aveva chiuso le donne nelle loro stanze, quante ancelle erano rimaste fedeli alla sua causa. Ed Euriclea rispose: «Dodici soltanto si sono coperte di vergogna». Le ancelle colpevoli ricevettero l’ordine di lavare con spugne e acqua il pavimento della sala insozzato di sangue. Poi Odisseo le impiccò tutte in fila. Scalciarono un poco e tutto finì. Eumeo e Filezio mutilarono Melanteo delle sue estremità (naso, orecchie, mani, piedi e genitali) che furono gettate in pasto ai cani.
Odisseo, riunitosi finalmente alla moglie Penelope e al padre Laerte, raccontò loro le sue avventure, ma questa volta rispettò la verità. Si avvicinò frattanto un gruppo di itacesi ribelli, parenti di Antinoo e degli altri pretendenti; vedendo che Odisseo doveva affrontare un numero preponderante di avversari, il vecchio Laerte prese validamente parte alla lotta, e questa stava volgendo in favore di Odisseo allorché Atena intervenne e propose una tregua. I ribelli allora intentarono un’azione legale contro Odisseo, nominando loro giudice Neottolemo, re delle isole Epirotidi. Odisseo acconsentì ad accettare il verdetto e Neottolemo stabilì che egli lasciasse l’isola per altri dieci anni durante i quali gli eredi dei pretendenti avrebbero dovuto versare a Telemaco, ora re, un adeguato compenso per i danni subiti.
Rimaneva tuttavia Poseidone, che bisognava placare; e Odisseo partì a piedi, seguendo le istruzioni di Tiresia, con un remo sulla spalla. Quando raggiunse la Tesprozia, un contadino gli gridò: «Che fai, con un ventilabro sulla spalla in primavera?» Odisseo allora sacrificò un ariete, un toro e un cinghiale a Poseidone e fu perdonato. Poiché non gli era ancora concesso di tornare a Itaca sposò Callidice, regina dei Tesprozi, e guidò il suo esercito in una guerra contro i Brigidi, sotto la protezione di Ares; ma Apollo invocò una tregua. Nove anni dopo Polipete. figlio di Odisseo e di Callidice, successe al padre sul trono dei Tesprozi e Odisseo ritornò a Itaca dove Penelope regnava in nome del figlioletto Poliportide. Telemaco era stato esiliato a Cefallenia, poiché un oracolo aveva predetto: «Odisseo, sarai ucciso dal tuo stesso figlio!» A Itaca la morte venne a Odisseo dal mare, così come Tiresia aveva previsto. Telegono, il figlio che egli aveva avuto da Circe, salpato in cerca del padre, fece una scorreria a Itaca, credendo che fosse l’isola di Corcira, e Odisseo si preparò a respingere l’attacco. Telegono lo uccise sulla riva del mare e l’arma fatale fu una lancia che aveva per punta l’aculeo di una razza. Trascorso in esilio l’anno prescritto dalla legge, Telegono sposò Penelope. Telemaco sposò allora Circe e i due rami della famiglia si unirono così di più stretti legami.
Taluni negano che Penelope rimanesse fedele a Odisseo. L’accusano di essersi unita ad Anfinomo di Dulichio, oppure con ciascuno dei pretendenti a turno, e dicono che il frutto di questa unione fu il mostruoso dio Pan: al vederlo Odisseo sarebbe fuggito in Etolia per la vergogna, scacciando Penelope che ritornò dal padre suo Icario a Mantinea, dove ancor oggi si mostra la sua tomba. Altri affermano che Penelope generò Pan da Ermes e che Odisseo sposò una principessa etolica, la figlia del re Toante; ebbe da lei Leontofono, il più giovane dei suoi figli, e morì serenamente a tarda età.
Il mito di Odisseo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
Odisseo, quando si destò, non riconobbe subito la sua isola che Atena aveva avvolto in una nebbia leggera. Atena stessa si presentò a lui in veste di pastorello e ascoltò il lungo e mendace racconto che Odisseo le fece: egli disse infatti di essere cretese, fuggito a bordo di una nave sidonia dopo aver ucciso il figlio di Idomeneo, e abbandonato su quella spiaggia contro la sua volontà. «Che isola è mai questa?» chiese. Atena rise e gli accarezzò la guancia. «Sei davvero un meraviglioso bugiardo», replicò; «se già non conoscessi la verità ti avrei creduto. Ciò che mi sorprende, tuttavia, è che tu non mi abbia riconosciuto. Io sono Atena. I Feaci ti sbarcarono qui per mio ordine. Mi spiace che tanti anni siano trascorsi prima che io potessi ricondurti a casa, ma non osavo offendere mio zio Poseidone aiutandoti in modo troppo palese». La dea consigliò a Odisseo di celare in una grotta i bacili, i tripodi, i manti purpurei e i nappi d’oro donatigli dai Feaci, e gli fece subire una metamorfosi tale da renderlo irriconoscibile: gli sbiancò la pelle, gli incanutì i capelli, lo rivestì di luridi stracci e lo guidò verso la capanna di Eumeo, il fedele porcaro. Atena era appena giunta da Sparta dove Telemaco si era recato per chiedere notizie di Odisseo a Menelao, da poco tornato dall’Egitto. Ora, bisogna spiegare che, convinti della morte di Odisseo, non meno di centoventi insolenti principi delle isole che facevano parte del regno, Dulichio, Samo, Zacinto e Itaca stessa, corteggiavano sua moglie Penelope e ciascuno di essi sperava di sposarla per impossessarsi del trono; cedesti principi si erano accordati tra loro per uccidere Telemaco al suo ritorno da Sparta
Quando chiesero a Penelope di scegliersi per marito uno di loro, essa dapprima dichiarò che Odisseo era certamente vivo, poiché il suo ritorno in patria era stato predetto da un oracolo di tutta fiducia; in seguito, per arginare l’insistenza sempre crescente dei pretendenti, promise di prendere una decisione soltanto quando avesse terminato di tessere una certa tela per il vecchio Laerte, suo suocero. Ma passarono tre anni prima che il lavoro fosse completato perché Penelope disfaceva di notte ciò che aveva fatto durante il giorno. Alla fine, i pretendenti scoprirono l’inganno e nel frattempo si erano accampati nel palazzo di Odisseo bevendo il suo vino, sgozzando i suoi porci e i suoi vitelli e seducendo le sue ancelle.
Odisseo, accolto ospitalmente da Eumeo, raccontò al vecchio un’altra storia falsa, pur giurando solennemente che Odisseo era vivo e sulla via del ritorno. Frattanto Telemaco sbarcò inaspettato, eludendo così il complotto dei pretendenti, e si recò subito alla capanna di Eumeo: Atena l’aveva fatto ripartire in gran fretta da Sparta. Odisseo, tuttavia, non rivelò la sua identità finché Atena non gliene diede il permesso restituendogli magicamente il primitivo aspetto. Eumeo però non fu messo a parte del segreto e Telemaco ebbe l’ordine di non rivelare nulla a Penelope.
Travestito nuovamente da mendicante. Odisseo si recò a palazzo per osservare come si comportassero i pretendenti. Strada facendo incontrò il capraro Melanteo che lo ingiuriò oscenamente e gli sferrò un calcio nelle natiche; tuttavia Odisseo frenò la collera e non si vendicò subito come avrebbe voluto. Quando raggiunse il cortile del palazzo, trovò il vecchio Argo, un tempo famoso cane da caccia, sdraiato su un mucchio di letame, magro, rognoso, decrepito e tormentato dalle mosche. Argo agitò debolmente il mozzicone di coda e drizzò le orecchie riconoscendo il padrone, e Odisseo si asciugò segretamente una lacrima quando Argo spirò.
Eumeo guidò Odisseo nella sala dei banchetti, dove Telemaco, fingendo di non sapere chi fosse quel mendicante, gli offrì ospitalità. Apparve allora Atena, invisibile a tutti fuorché a Odisseo, e gli suggerì di aggirarsi tra i tavoli mendicando cibo dai convitati, per rendersi così conto di che razza d’uomini fossero. Odisseo obbedì e si accorse che i pretendenti erano tanto avari quanto avidi. Il più svergognato dell’intera compagnia, Antinoo di Itaca (cui Odisseo narrò una terza versione delle sue avventure), gli scagliò addosso irosamente uno sgabello. Odisseo, massaggiandosi la spalla dolorante, fece appello agli altri convitati, i quali convennero che Antinoo avrebbe potuto mostrarsi più cortese. Penelope, quando le ancelle le riferirono dell’incidente, ne rimase scandalizzata e mandò a chiamare il finto mendicante, sperando che. egli potesse darle notizie di suo marito. Odisseo promise di recarsi nelle sue stanze quella sera stessa e di rivelarle tutto ciò che essa desiderava sapere.
Frattanto, uno zotico accattone di Itaca soprannominato «Iro» perché a somiglianza della dea Iride si incaricava di portare messaggi a questi e a quelli, cercò di scacciare Odisseo dal portico. E poiché Odisseo non si mosse. Iro lo sfidò a una gara di pugilato mentre Antinoo, ridendo di cuore, propose di offrire al vincitore ventrigli di capra avanzati dalla cena e un posto tra i commensali. Odisseo allora si arrotolò i cenci attorno ai lombi e si preparò ad affrontare Iro. Costui arretrò al vedere i poderosi muscoli dell’avversario, ma i dileggi dei pretendenti gli impedirono di darsi alla fuga. Odisseo lo abbatté con un solo colpo, badando però di stordirlo soltanto e non di ucciderlo, per non destare sospetti con un’impresa tanto clamorosa. I pretendenti applaudirono, ingiuriarono il vinto, litigarono tra di loro, sedettero di nuovo a mensa per il banchetto pomeridiano, fecero un brindisi a Penelope che era scesa nella sala per accettare i doni nuziali offerti dai principi (benché non avesse alcuna intenzione di fare la sua scelta) e al cader della notte si ritirarono nei loro alloggi.
Odisseo disse a Telemaco di riporre nell’armeria tutte le lance che stavano appese alle pareti della sala dei banchetti, mentre egli si recava a visitare Penelope. La regina non riconobbe il marito e Odisseo intessé un mendace racconto del suo viaggio, dicendo di aver incontrato di recente Odisseo il quale si recava a consultare l’oracolo di Zeus a Dodona, ma presto sarebbe tornato a Itaca. Penelope lo ascoltò attentamente e ordinò a Euriclea, la vecchia nutrice di Odisseo, di lavargli i piedi. Ed ecco che Euriclea riconobbe la ferita nella coscia di Odisseo e lanciò un grido di sorpresa e di gioia; ma Odisseo, presa la vecchia per la gola, la supplicò di tacere. Penelope non notò l’incidente perché Atena aveva distratto la sua attenzione.
Vai a: Odisseo torna a Itaca – Parte 2 (di 2)
Il mito di Odisseo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
Tutti noi nella nostra crescita individuale, formativa e professionale abbiamo bisogno di maestri, di persone-guida, di modelli e di esempi che ci ispirano, di figure che ci spronano a scegliere la strada giusta da imboccare. Molte volte questo rapporto tra chi indica la via e chi la segue avviene spontaneamente, sui banchi di scuola, nell’attività sportiva o nelle prime esperienze lavorative quando si incrociano insegnanti, monitori o colleghi con esperienza che ci aiutano e ci trasmettono le loro conoscenze. Il mentoring riprende questo tipo di relazione e la formalizza, ritenendo questo rapporto tra maestro e apprendista molto efficace in ambito lavorativo, formativo e sociale. Vi spieghiamo come, con quali strumenti e con quali misure, e vi raccontiamo anche quanto è antica questa idea. Isabella Visetti e Giorgia Würth ne parlano con Andreas Barella (de La Voce delle Muse), che racconterà la storia di Mentore, la persona di esperienza a cui Ulisse in procinto di partire per la guerra di Troia affida il figlio di Telemaco. Inoltre Andreas narrerà di come la dea Atena assuma le spoglia di Mentore quando dovrà aiutare Ulisse e lo stesso Telemaco. Altre ospiti: Beatrice Engeler, formatrice e consulente di sviluppo di carriera, coordinatrice di mentoring BPW Ticino, Cristina Zanini Barzaghi, ingegnera, municipale a Lugano e mentor, Ilaria Besozzi, consulente in abito energetico e mentor, Monica Pugnaloni, specializzata in export in Asia e mentor. Ascolta la prima parte della trasmissione. Ascolta la seconda parte della trasmissione.
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