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Recensione a “Io, Gesù” di Robert Graves

Recensione a “Io, Gesù” di Robert Graves

Robert Graves in questo romanzo parte da un punto di vista provocatorio, e che per dei credenti potrebbe addirittura suonare come blasfemo o per lo meno offensivo. Gesù, in questo romanzo, non sarebbe figlio della Vergine Maria, concepito nel suo seno dallo Spirito Santo, ma il figlio mortale di Maria e di Antipatro, il figlio maggiore di Re Erode il Grande (esatto… quello della strage degli innocenti). Sempre pronto a giustiziare chi crede potrebbe diventare un pericolo per la sua corona, Erode, uccide persino suo figlio, poco prima di morire anche lui. In questo modo Gesù sarebbe il legittimo erede al trono di Giudea. Inoltre la discendenza di Maria, che si fa risalire al Re Davide, rafforza nella storia di Graves, la posizione di Gesù come Messia e re della Giudea.

Gesù, nel romanzo, naturalmente non sa nulla di queste storie e cresce pensando di essere il figlio del falegname Giuseppe. Molto presto il ragazzo scopre di essere un abile oratore, e diventa un uomo acculturato e addentro le Divine Scritture, un oratore carismatico, un profeta. In molti modi (non li svelo per non rovinare la sorpresa) incarna le diverse profezie sulla venuta del Messia, ma Graves si guarda bene dal confermare o negare il fatto che Gesù è effettivamente il Figlio di Dio. Il suo Gesù è una persona che crede fermamente di dover incarnare queste profezie, e lo fa con tutti i mezzi.

Tutta la parte dell’arresto, del processo, il ruolo di Giuda, di Ponzio Pilato risentono della straordinaria conoscenza di Graves delle vicende dell’impero romano in quel periodo (vi rimando alla lettura di “Io, Claudio”, trovate qua la recensione) e si dipanano tra tradimenti, intrecci e supposizioni politiche.

Graves si lascia trasportare dalla sua magnifica fantasia e inventa che Maria Maddalena sia una sacerdotessa dell’antico culto della Dea Madre. È questo naturalmente il collegamento con le teorie tante care all’Autore sul culto della Dea Madre e sui parallelismi tra Giudaismo, grecità, religione egizia, e altre mitologie sumerico-babilonesi. A qualche lettore questi parallelismi potranno sembrare un po’ tirati per i capelli, ma sono ben congegnati e costruiti basandosi su tradizioni accertabili e accertate dall’Autore (così afferma Graves nel suo “Commentario storico” finale).

Come ogni opera che tratta delle origini e della storia di Gesù, romanzo o meno, il libro è stato oggetto di polemica e critiche feroci. Al lettore l’ardua sentenza: a me è piaciuto e l’ho letto volentieri, ma confesso che non è il mio romanzo preferito di Robert Graves.

Andreas Barella

Graves, Robert.  1946.  Io, Gesù.  Milano: Longanesi, 2015.  544 pagine,  22 Euro

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Recensione a “Io, Claudio” e a “Il Divo Claudio” di Robert Graves

Recensione a “Io, Claudio” e a “Il Divo Claudio” di Robert Graves

Dalla copertina del volume: <<“Mi accingo a scrivere della mia vita; a partire dalla mia prima fanciullezza via via anno per anno fino a quella svolta fatale in cui, circa otto anni fa, mi trovai subitamente impegolato in una crisi che chiamerò ‘aurea’ e dalla quale non ho mai potuto districarmi.” Zio di Caligola, marito dell’infedele Messalina, padre adottivo e vittima di Nerone, l’imperatore Claudio inizia il racconto della sua vita, scritto proprio di suo pugno, e non affidato, com’era costume a quei tempi, a un oscuro segretario o a un annalista adulatore. Immaginaria autobiografia del grande imperatore, Io, Claudio rievoca i fasti, i costumi e la potenza della Roma imperiale, ma anche gli episodi grotteschi e le tragiche avventure di colui che, tra i dodici Cesari, ebbe la vita più movimentata. Primo “generalissimo” dell’impero, seguiremo Claudio nell’instaurazione della dominazione permanente della Britannia, nei palazzi dei deserti libici, per le strade di Roma, negli accampamenti dei Balcani, addirittura ad Antiochia in una casa infestata dagli spiriti.>>

Il romanzo di Graves è un’opera di fantasia anche se l’Autore afferma di aver attinto ai vari autori classici (Svetonio in primis) per lo sviluppo della trama. Il romanzo narra appunto le vicende di Claudio, dalla nascita alla sua elevazione, casuale e fortuita, al soglio imperiale. Il punto di vista del narratore è quello autobiografico dello stesso Claudio, che personaggio secondario della corte imperiale ne narra le gesta dal punto di vista di un ragazzo e uomo intelligente che viene considerato un idiota e uno storpio dai vari imperatori e membri della corte con cui entra in contatto. Nella narrazione impareremo a conoscere dal punto di vista personale personaggi quali Cesare Augusto con Livia Drusilla che è vista come un’oscura manipolatrice, l’imperatore Tiberio e il folle Caligola.

Molto azzeccata secondo me, l’idea di descrivere i fatti strani dal punto di vista magico e divino: spesso Claudio giustifica situazioni e comportamenti associandoli a influssi magici o dovuti all’intervento di qualche divinità e questo nonostante in altre occasioni si mostri scientifico e non incline alle spiegazioni “religiose” di fatti naturali o fatali. Questo miscuglio di visioni suona come realmente romano, anche se affermo così senza nessuna cognizione di causa. L’impressione è però quella di una complessità di visione tipica di un’epoca a noi sconosciuta e lontana.

Da segnalare le 13 puntate (io le ho viste in inglese, non so se esistono in italiano) dello sceneggiato “I, Claudius” prodotto negli anni 70 dalla BBC. Graves ha poi scritto un seguito al romanzo, Il Divo Claudio, che narra del regno di Claudio come imperatore e che termina con la sua morte. Una lettura consigliata a chi ha voglia di immergersi in un mondo lontano ma che presenta trame politiche degne di House of Cards.

Graves, Robert. Io, Claudio. 1934. Milano: Corbaccio, 1995. 400 pagine, 19,60 Euro

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Recensione a “I Miti Greci” di Robert Graves

Recensione a “I Miti Greci” di Robert Graves

Cominciamo con il dire che questo volume di Graves NON è un libro da leggere dall’inizio alla fine, come un romanzo ma è un’opera di consultazione da andare a prendere quando si vuole conoscere o rispolverare la propria conoscenza di un determinato mito greco. Se lo si legge per intero diventa un pesantissimo mattone: attenzione quindi a non associare la noia con la mitologia. Sarebbe un grave errore. La Voce delle Muse usa il libro di Graves per preparare i racconti mitologici che narriamo ai bambini, ma anche per preparare il lavoro con adolescenti e adulti.

Il grande pregio dell’opera di Graves è quello di presentare i miti in modo asciutto e stringato, senza interpretazioni o divagazioni. Questo concentrarsi sull’”inchiostro nero”, vale a dire sui fatti nudi e crudi e non su interpretazioni dei medesimi, permette al lettore di aggiungere facilmente l’”inchiostro bianco”, vale a dire il proprio vissuto personale e le proprie interpretazioni che si vanno a sommare alle immagini descritte dal mito.

I Miti Greci pur senza dover invidiar nulla ad altre raccolte analoghe condotte sulla scorta della filologia e dell’erudizione, ha un pregio fondamentale: i 171 capitoli che lo compongono si snodano con la sveltezza e il brio di “un racconto” ben scritto, di una rievocazione partecipe e disincantata al tempo stesso, di un mondo incantato e incantevole. E tutto senza “smitizzare” i miti, ma – al contrario – con la preoccupazione di salvaguardarne, assieme alla sostanza, anche il sapore, con uno stile e un piglio che debbono più alla grande lezione del “Ramo d’oro” di Frazer che forse al necessario ma anche triste lavoro di scavo di un Freud, di uno Jung, di un Kerényi…

Le note ai miti meritano un discorso a parte. Nelle note Graves tesse le sue teorie, interessanti e affascinanti, che cercano di collegare i miti a momenti storici e culturali del passato. Come poi farà nella Dea Bianca, Graves collega molti aspetti presentati nei miti al passaggio della società arcaica dal matriarcato al patriarcato e ai festival misterici legati alla celebrazione di riti propri di società stazionarie e dedite all’agricoltura, riti soppressi dagli invasori guerrieri venuti da nord. Miti in sé e note sono quasi due libri separati e vanno letti come tali.

Graves, Robert (1955). I Miti Greci. Longanesi, 1983. 22 Euro

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Recensione a “I miti ebraici” di Robert Graves e Raphael Patai

Recensione a “I miti ebraici” di Robert Graves e Raphael Patai

Un’affascinante analisi di alcuni episodi della Genesi biblica. Robert Graves, lavorando assieme a Raphael Patai, analizza la mitologia ebraica, e lo fa comparando le storie del Genesi (il Giardino dell’Eden, il Diluvio, Adamo ed Eva, i Patriarchi) con la mitologia sumerica sulla quale le storie ebraiche si innestano. Tutti gli episodi raccontati nella Genesi erano pre-eseistenti nella mitologia sumerica, in quella egizia, in quella persiana, nel mondo greco. Si parla naturalmente anche di Lilith, la terza incomoda nel Giardino dell’Eden, la donna che decide di non sottomettersi ad Adamo. Interessanti spunti di riflessione e di allargamento di visuale sulle storie bibliche.

I capitoli trattano di molti aspetti nascosti o solamente accennati nella Bibbia come la conosciamo, saziando la curiosità dei lettori e allargandone la visuale. Un lavoro notevole di inserimento dei racconti biblici nella loro cornice storico-mitologica. Non si tratta naturalmente, come per il volume sulla mitologia greca, di un libro da leggere dall’inizio alla fine, ma piuttosto di uno scritto da consultare di tanto in tanto per approfondire o arricchire l’interpretazione di alcuni episodi.

Graves, Robert e Raphael Patai (1963), I miti ebraici, Longanesi, 2013. 20 euro

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Recensione a “Sette giorni fra mille anni” di Robert Graves

Recensione a “Sette giorni fra mille anni” di Robert Graves

Uno strano ma affascinante romanzo, diverso dagli altri libri di Graves, che ci ha abituato a romanzi storici o pseudo-storici sul lontano passato. Una premessa, il titolo italiano è ingannevole: “Sette giorni fra mille anni” sembra situare il romanzo in un futuro remoto, cosa che il titolo originale in inglese non fa. “Seven Days in New Crete” colloca sì la storia nel futuro, ma non vi è un riferimento preciso al tempo tra il presente del narratore (la prima metà del ventesimo secolo) e il tempo in cui si svolgono gli accadimenti (il futuro ma non così lontano, secondo me).

Il romanzo è ambientato in un futuro costruito a tavolino nel periodo storico della “fine del cristianesimo”, tramite un esperimento scientifico nato sull’isola di Creta dove è stata bandita la tecnologia e da dove la nuova società si è espansa nel corso del tempo a una buona metà del globo terrestre. Il narratore è un poeta del ventesimo secolo, Edward Venn-Thomas che viene “evocato” nel futuro dai alcuni maghi che vogliono porgli delle domande sul passato, e viene evocato dietro ispirazione diretta della Dea che presiede la casta dei maghi. La società futura si basa su cinque caste: i capitani, gli archivisti, il popolo, i servi e i maghi-poeti. Vi è anche all’interno del capitolo 4 “Le origini di Nuova Creta” un’interessante racconto di come la civiltà capitalistica e cristiana si sia evoluta nella civiltà neocretese. Molto interessante! I limiti del capitalismo e della scienza che spazza via la spiritualità sono molto attuali e intriganti.

La nuova società, i suoi usi e costumi, sono ispirati dalla Dea, da una religione e struttura sociale basta sul matriarcato e sul tempo lunare. La scienza è stata bandita a favore della magia, che i maghi poeti esercitano per appianare le divergenze e i problemi che si presentano nella vita quotidiana. Interessante anche la descrizione del passaggio di consegne tra il Re Consorte e il Suo Successore, che avviene due volte all’anno ed è presieduto dalla Dea-Regina in persona.

All’inizio Nuova Creta sembra un posto e una società idilliaca, ma presto comincia a mostrare i segni di un auto-soddisfacimento pericoloso, che la Dea vuole combattere e per farlo utilizza la presenza del Poeta che viene dal passato e che instillerà nelle cinque caste il seme del dubbio e della capacità di mutare le cose: il restare uguali a se stessi è visto come una potenziale arma di distruzione e di decadenza. La nuova fase storica del (diciamolo!) invidiabile futuro si prepara sotto la guida della Dea…

Un libro in cui Graves parla di se stesso, degli amori della sua vita (descritti nei quattro personaggi femminili di Antonia, Zaffiro, Erica e Sally) e del suo ruolo di poeta.

Interessante anche la postfazione di Silvia Ronchey, che descrive lo scopo dei romanzi utopici del ventesimo secolo (“Il Mondo Nuovo” di Huxley, “1984” di Orwell e, appunto, questo romanzo di Graves) e traccia interessanti ipotesi di lettura. Un libro che si legge in un pomeriggio e che lascia una bella atmosfera nella mente e nel cuore, oltre che una nota di speranza leggera per il futuro che ci aspetta.

Robert Graves (1949), Sette giorni fra mille anni, Edizioni nottetempo, 2015. 20 Euro.

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