Gesù, nel romanzo, naturalmente non sa nulla di queste storie e cresce pensando di essere il figlio del falegname Giuseppe. Molto presto il ragazzo scopre di essere un abile oratore, e diventa un uomo acculturato e addentro le Divine Scritture, un oratore carismatico, un profeta. In molti modi (non li svelo per non rovinare la sorpresa) incarna le diverse profezie sulla venuta del Messia, ma Graves si guarda bene dal confermare o negare il fatto che Gesù è effettivamente il Figlio di Dio. Il suo Gesù è una persona che crede fermamente di dover incarnare queste profezie, e lo fa con tutti i mezzi.
Tutta la parte dell’arresto, del processo, il ruolo di Giuda, di Ponzio Pilato risentono della straordinaria conoscenza di Graves delle vicende dell’impero romano in quel periodo (vi rimando alla lettura di “Io, Claudio”, trovate qua la recensione) e si dipanano tra tradimenti, intrecci e supposizioni politiche.
Graves si lascia trasportare dalla sua magnifica fantasia e inventa che Maria Maddalena sia una sacerdotessa dell’antico culto della Dea Madre. È questo naturalmente il collegamento con le teorie tante care all’Autore sul culto della Dea Madre e sui parallelismi tra Giudaismo, grecità, religione egizia, e altre mitologie sumerico-babilonesi. A qualche lettore questi parallelismi potranno sembrare un po’ tirati per i capelli, ma sono ben congegnati e costruiti basandosi su tradizioni accertabili e accertate dall’Autore (così afferma Graves nel suo “Commentario storico” finale).
Come ogni opera che tratta delle origini e della storia di Gesù, romanzo o meno, il libro è stato oggetto di polemica e critiche feroci. Al lettore l’ardua sentenza: a me è piaciuto e l’ho letto volentieri, ma confesso che non è il mio romanzo preferito di Robert Graves.
Andreas Barella
Graves, Robert. 1946. Io, Gesù. Milano: Longanesi, 2015. 544 pagine, 22 Euro
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