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Il mito di Enea – Fuga da Troia, lungo viaggio per mare, il Lazio – Parte 2 (di 3)

Il mito di Enea – Fuga da Troia, lungo viaggio per mare, il Lazio – Parte 2 (di 3)

Il racconto del mito di Enea è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 13: Enea – L’eroe di una nuova dinastia.

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Enea – Origini e Guerra di Troia – Parte 1 (di 3)

Enea fuggì da Troia via mare: insieme a lui si aggregarono molti troiani e anche vari guerrieri provenienti da altre regioni che avevano preso parte al conflitto come alleati. Giunse dapprima nel Chersoneso Tracico, dove venne a conoscenza della terribile fine di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso da Polimestore, che voleva appropriarsi delle sue ricchezze. A Delo, Enea chiese responso ad Apollo, che ordinò al troiano di recarsi nella terra natia del fondatore di Troia, Dardano. Ma Anchise pensò si riferisse a Teucro, un altro capostipite del loro popolo, originario di Creta. Si fece dunque rotta verso l’isola. Lì i troiani vennero colpiti da una pestilenza, Enea ordinò di muovere verso Corito-Tarquinia (III, 170), in Italia, la terra di Dardano. Decisi a fare rifornimenti i troiani si fermarono nelle isole Strofadi dove vennero attaccati dalle Arpie che devastarono la loro mensa e li costrinsero alla fuga. Giunsero nell’Epiro dove incontrarono Eleno e Andromaca, fondatori della città di Butroto. Eleno, dotato del dono della profezia, annunciò all’amico di recarsi in Italia, cercando di evitare la terra di Sicilia, patria dei ciclopi e di Scilla e Cariddi. Consigliò invece di sbarcare presso Cuma per chiedere responso alla sibilla che lì abitava. I troiani si salvarono per un pelo da quella minaccia e sbarcarono vicino l’Etna, dove si unì alla loro flotta Achemenide, un compagno di Ulisse abbandonato in quella terra. Enea sbarcò in Italia nell’attuale Salento, a Castro. Dopo aver assistito al terribile arrivo del ciclope Polifemo, Enea e i suoi uomini si fermarono in Sicilia, a Erice, benevolmente accolti dal re Aceste, dove il vecchio Anchise morì e fu sepolto. Era, piena d’odio per i troiani, scatenò una tempesta contro la flotta che venne trascinata verso l’Africa.

Lì Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina Didone, a Cartagine dove l’eroe narrò le sue dolorose vicende. I due si innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus, Enea dovette ripartire. Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone. Fu un terribile colpo per la povera regina. Didone, guardando in lontananza la nave di Enea che si allontanava, si uccise. La flotta troiana sbarcò di nuovo a Erice, dove per l’anniversario della morte di Anchise furono celebrati alcuni giochi in suo onore, i ludi novendiali, ai quali parteciparono sia atleti troiani sia atleti siciliani (libro V). Nella vicina città di Drepanon, alcune donne, fra le esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi. Enea ordinò dunque che chi non voleva continuare il viaggio sarebbe rimasto a Drepano, mentre gli altri avrebbero continuato il tragitto. Giunto a Cuma, Enea incontrò la Sibilla con la quale scese vivo nel regno dei morti. Lì incontrò Caronte e Cerbero, che cadde addormentato per un inganno della Sibilla. Giunto ai campi del pianto vide poi il triste spirito di Didone. Incontrò in seguito l’anima di Deifobo, il cui cadavere era stato sfregiato da Menelao. Infine, venne accolto dal padre Anchise che gli presentò le anime di coloro che avrebbero fatto grande il regno promesso a Enea in Italia.

Tornato nel mondo dei vivi, Enea sbarcò finalmente alle rive del Tevere, dopo aver visitato anche il Circeo: qui morì Caieta, la sua nutrice, ed egli la fece seppellire nel luogo che si sarebbe poi chiamato Gaeta in suo ricordo. Il re di Laurento, Latino, decise di affidargli la mano della figlia Lavinia, scatenando però così l’ira di Turno, il re dei Rutuli, cui la fanciulla era stata promessa. Durante una battuta di caccia Ascanio, senza saperlo, uccise una cerva domestica e per questo venne inseguito dai pastori del luogo. I troiani corsero in aiuto del figlio di Enea e uccisero uno degli inseguitori, l’aitante Almone, giovane cortigiano del re Latino. Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra. Turno radunò i suoi uomini e mosse contro i troiani. Enea invece risalì il fiume Tevere, giungendo così nel territorio di Evandro, re degli Arcadi. Quest’ultimo consigliò inoltre all’eroe troiano di recarsi fra gli Etruschi per chiedere aiuto a Tarconte. Fra gli alleati di Turno vi era infatti Mezenzio, ex sovrano degli Etruschi, cacciato per la sua crudeltà. Durante l’assenza di Enea il campo troiano venne assediato da quattordici giovani condottieri italici, ognuno dei quali era seguito da altri cento giovani. Eurialo e Niso, due inseparabili amici troiani, decisero di raggiungere Enea, per avvertirlo del pericolo. Usciti di notte, penetrarono tra le linee nemiche dove sorpresero nel sonno due dei condottieri assedianti, Ramnete e Remo, e alcuni guerrieri che combattevano nei loro contingenti, uccidendoli con le spade; poi ripresero il loro cammino, ma intercettati da una pattuglia nemica vennero accerchiati e messi a morte. Dopo una dura battaglia, durante la quale Turno fece strage di troiani, Enea, tornato via mare da Corito-Tarquinia assieme agli Etruschi comandati da Tarconte, ai Liguri di Cunaro e Cupavone, e agli Arcadi guidati da Pallante, figlio di Evandro, riuscì ad accorrere in aiuto dei compagni. Ma proprio Pallante, in quello scontro, cadde per mano di Turno. Enea andò su tutte le furie e venne meno alla sua famosa pietà, decapitando il giovane semidio etrusco Tarquito, che vinto da lui in duello lo implorava di essere risparmiato, e gettando il suo busto in acqua. Allora Giunone, temendo per la vita di Turno, riuscì ad allontanarlo dal campo di battaglia. Enea affrontò Mezenzio a duello ferendolo: quindi uccise Lauso, il figlio del tiranno, intervenuto in sua difesa. Commosso per il coraggio del giovane, Enea riconsegnò la salma e le armi a Mezenzio che, in uno scontro successivo, cadde sotto la spada del troiano. L’eroe, dopo aver sepolto il giovane Pallante, ordinò ai suoi uomini di marciare contro la città dei Latini. Turno e Camilla, regina guerriera dei Volsci, schierarono le proprie truppe. Il re rutulo assalì la fanteria troiana, Camilla la cavalleria etrusca. Nello scontro che ne seguì Camilla rimase uccisa. Turno decise allora di affrontare a duello Enea. Il troiano ebbe presto il sopravvento e per qualche attimo si trattenne dall’uccidere il nemico; ma riconoscendo addosso a Turno le armi di Pallante e ricordando il dolore di Evandro per la morte del figlio, gli conficcò la sua spada nel petto (…vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras).

Vai a: Il mito di Enea – Riassunto scolastico dell’Eneide – Parte 3 (di 3)

ll mito di Enea, riassunto principalmente da questa pagina wikipedia

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Il mito di Enea – Origini e Guerra di Troia – Parte 1 (di 3)

Il mito di Enea – Origini e Guerra di Troia – Parte 1 (di 3)

Il racconto del mito di Enea è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 13: Enea – L’eroe di una nuova dinastia.

Un tempo, Zeus, il padre degli dèi, che non si era mai giaciuto con la figlia adottiva, stanco delle continue tentazioni che la magica cintura di Afrodite stimolava di continuo in lui, come in qualsiasi altro essere, mortale o divino che fosse, architettò di umiliare la dea, facendola innamorare perdutamente di un comune mortale. Il prescelto fu Anchise, un giovane pastore frigio, che di consueto faceva pascolare le sue vaste mandrie sui colli del monte Ida. Afrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro, decise di ottenere subito i suoi favori. Una notte, mentre egli giaceva nella sua capanna da mandriano, la dea assunse l’aspetto di una comune mortale e sotto tale travestimento si accostò a lui, sostenendo di essere una principessa, figlia del re Otreo, la quale, rapita dal dio Ermes, di lei perdutamente invaghito, era stata poi trasportata dal dio sui pascoli dell’Ida. Indossato poi un seducente peplo di colore rosso smagliante, la dea riuscì nel suo intento e, sdraiatasi accanto al giovane, giacque con lui in un giaciglio di pelli animali. Accompagnati dal sereno ronzare delle api, per tutta la notte i due amanti godettero delle passioni amorose e proprio da questo amplesso la dea dell’amore rimase incinta di un bambino. Quando, al sorgere dell’alba, Afrodite rivelò all’uomo la sua vera natura, Anchise, temendo di essere punito per aver scoperto le nudità di una dea, la pregò di risparmiargli la vita.

Tuttavia, la dea lo rassicurò, predicendogli la nascita di un bambino che sarebbe stato capace di regnare sui Troiani, acquistando un potere straordinario che si sarebbe mantenuto anche con i suoi discendenti. Ma allo stesso tempo Afrodite mise in guardia il suo amante, esortandolo a nascondere la verità sulla nascita del bambino, ben sapendo che se Zeus ne fosse venuto a conoscenza, lo avrebbe senza dubbio fulminato. Alcuni giorni dopo, mentre Anchise si trovava presso una locanda in compagnia dei suoi amici, uno di essi gli chiese se avesse preferito passare una notte con la figlia di Priamo o con Afrodite. Il giovane troiano, dimentico della promessa e stordito dall’ebbrezza, si vantò affermando di essere andato a letto con entrambe e giudicando un tale paragone impossibile.

Udita la temibile vanteria, Zeus dall’alto dell’Olimpo si affrettò a punire un così sfrontato mortale, scagliando una folgore destinata a incenerirlo. Ma Afrodite, postasi in difesa del suo amato, lo protesse grazie alla sua cintura magica, di fronte alla quale la terribile arma di Zeus nulla poté fare; la folgore raggiunse comunque Anchise, ma invece di incenerirlo, scoppiò innocuamente sotto i suoi piedi.
Il giovane mortale provò comunque un incredibile spavento alla vista di quelle scintille, tanto che da allora, egli non riuscì più a raddrizzare la schiena, traumatizzato com’era alla vista dell’ira divina, e la stessa Afrodite si disinteressò a lui dopo aver generato Enea. Si racconta anche che Zeus lo punì privandolo della vista.

Afrodite diede alla luce Enea sul monte Ida, e qui lo allevarono le ninfe nei primissimi anni di vita. Fu poi educato, secondo alcuni, dal centauro Chirone. A cinque anni fu affidato dal padre ad Alcatoo, che di Enea era cognato per aver sposato la sorellastra Ippodamia. Qui Enea fu cresciuto sino alla maggiore età. Sposò Creusa, figlia del re Priamo, cugino di suo padre, e da lei ebbe Ascanio. Pausania racconta che dalla moglie Enea avrebbe generato anche un’altra figlia, Etia. Prima dello scoppio della guerra contro gli Achei, Enea partecipò ad alcune spedizioni militari nell’ambito della politica espansionistica intrapresa da Priamo, legando in particolare il suo nome alla conquista dell’isola di Lesbo (la cui capitale allora era Arisbe), che divenne un avamposto strategico dei troiani. Secondo le fonti più antiche della saga troiana, Enea avrebbe avuto una parte nel ratto di Elena: fu sua madre Afrodite a ordinare all’eroe di rapire la regina di Sparta, che era sposata con Menelao, che era il premio che la dea aveva fatto a Paride per averle consegnato il pomo della bellezza. Enea era molto amico di Ettore, ebbe invece spesso contrasti con Priamo, come è detto più volte nell’Iliade. Nel canto XIII, l’eroe siede sul campo di battaglia rancoroso per il trattamento che il re aveva nei suoi riguardi. Era contrario alla guerra e inizialmente si rifiutò di combattere ma una volta indossate le armi non si tirò indietro.

Enea partecipò alla guerra di Troia ponendosi a capo di un contingente di Dardani. L’Iliade racconta che, durante un periodo di fittizia pace, l’eroe era allora mandriano del bestiame paterno sul monte Ida quando, nel corso di una scorreria nei pascoli della Troade, Achille riuscì a separarlo dai suoi armenti di buoi, li depredò e lo inseguì lungo le pendici boscose dell’Ida ma il troiano riuscì a sfuggirgli. Fu eroe valoroso, secondo solo a Ettore, e spesso supportato dagli dèi. Nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, combatté sul carro da guerra in compagnia di Pandaro. Quest’ultimo venne ucciso da Diomede, ed Enea lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d’armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell’amico dagli assalti greci. Affrontò dunque Diomede, rimanendo ferito a causa di un masso scagliato dal greco. Venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l’ira della dea, ferì anche lei e la costrinse alla fuga. Apollo scese dunque in soccorso del troiano, contro di lui non poterono nulla neanche i colpi di Diomede. Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze. Enea combatté valorosamente anche in altre battaglie, come quella presso le navi greche, soccorrendo Ettore, ferito da un masso scagliato da Aiace Telamonio, e uccidendo Medonte, fratellastro di Aiace Oileo, e Iaso, condottiero ateniese. In questa circostanza perse però sia i suoi luogotenenti, Archeloco e Acamante, che erano due dei tanti figli di Antenore, sia il cognato Alcatoo. Dopo la morte di Patroclo, Achille decise di tornare a combattere. Enea volle affrontarlo a duello, scagliò la sua lancia contro il greco ma non riuscì a colpirlo. Achille balzò contro Enea: Poseidone, che pur essendo divinità ostile ai troiani apprezzava Enea per la reverenza che aveva verso gli dèi, decise di salvare il figlio di Anchise avvolgendolo in una spessa nebbia e ponendolo fra le ultime file dell’esercito. Poseidone infatti sapeva che Enea avrebbe dovuto perpetuare la sua stirpe dopo la fine di Troia.

La notte in cui i greci sarebbero usciti dal cavallo di legno, gli apparve in sogno Ettore, terribile d’aspetto, che gli annunciò l’inevitabile caduta di Troia e il suo arrivo in terra italica. Durante l’incendio della città tentò, insieme a pochi uomini, di difenderla ma dopo aver capito che tutto ciò era ormai inutile, decise di fuggire portando con sé il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio. Durante la fuga perse però la moglie Creusa che, sotto forma di fantasma, gli rivelò il suo futuro di fondatore di un grande popolo.

Nella Iliou persis, invece, Enea scappava da Troia con i suoi seguaci subito dopo la fine di Laocoonte, avendo intuito grazie a quell’episodio l’imminente caduta della città. Secondo Omero Enea divenne fondatore di un grande regno nella Troade; la versione di Stesicoro, invece, consacrata da Virgilio, è quella più conosciuta.

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Recensione: Enea – L’eroe di una nuova dinastia

Recensione: Enea – L’eroe di una nuova dinastia

“Non c’è salvezza nella guerra; o pace, tutti ti invochiamo” (Virgilio, Eneide)

Dal risvolto di copertina: “Eroe straordinariamente moderno, Enea, personaggio omerico prima ancora che virgiliano, abbandona la sua terra natia, fugge da Troia distrutta per arrivare sulle sponde italiche, alla foce del Tevere, là dove sorgerà Roma. Così ci racconta Virgilio nel suo poema capolavoro, l’Eneide, di cui Enea è il protagonista: un nome destinato a segnare la storia dell’Italia e dell’Europa. Il poeta, critico e drammaturgo, T.S. Eliot, in occasione della conferenza del 1944 alla Virgil Society, definì Virgilio il “nostro classico, il classico di tutta l’Europa”. Esule e fuggiasco, Enea affronta il mare, conosce nuove terre e nuovi amori – quello di Didone, indimenticata regina che soccomberà alla passione amorosa – affronta la guerra e l’ira divina, ed è tra i pochissimi eroi del mito a sperimentare da vivo l’avventura della discesa nell’Ade, dove incontra non solo coloro che lo hanno preceduto, ma anche la lunga schiera dei suoi discendenti, stirpe gloriosa.”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Se il combattente dell’Iliade (come tutti gli altri eroi omerici) è proteso verso la gloria, l’affermazione di sé, la fama legata alla sfida di un istante, quello più equilibrato e maturo, forse meno affascinante dell’Eneide, rappresenta un nucleo di qualità ben diverse, di cui i Romani si gloriavano: è giusto, pius, dedito alla sua gente, e capace di sacrificare tutto, anche l’amore di una regina, al dovere e alla volontà di compiere un destino molto più grande di lui. Viaggia – ma non come Ulisse per conoscere genti, amare dee e tornare alla sua piccola patria -, viaggia in cerca di un luogo sconosciuto in cui possa svilupparsi la storia del suo popolo, perseguendo qualcosa di più grande e durevole rispetto alla gloria per cui s’immolavano gli eroi omerici.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Enea è curato da Gioachino Chiarini, professore di letteratura latina presso l’Università di Siena, di Venezia e di Pisa. Qui gli ultimi volumi pubblicati.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Enea.
Nel MitoBlog abbiamo già scritto diversi post sull’Eneide. Li trovate qua.
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Recensione a “La Figlia di Omero” di Robert Graves

Recensione a “La Figlia di Omero” di Robert Graves

Ne La figlia di Omero Graves parte dalla interessante idea (ripresa da Samuel Butler) che l’Odissea sia stata scritta da Nausicaa figlia del re degli Elimi. Graves ha composto questo libro nel 1955 dopo aver sposato la teoria di Butler che a scrivere l’Odissea sia stata in realtà una donna vissuta nella Sicilia dell’ottavo secolo avanti Cristo. Butler situa lo scenario dell’Odissea proprio in Sicilia, e avanza l’idea che la storia sia stata scritta circa 150 anni dopo che Omero ha composto l’Iliade. Una storia scritta da una donna e pensata per le donne, proprio come l’Iliade è un libro di uomini scritto da un uomo per altri uomini. La principessa Nausicaa è figlia del re Alcino e della Regina Arete e vive nel regno del padre nella Sicilia occidentale, vicino ad Erice. Suo fratello scompare dopo un litigio con la moglie, e il padre parte alla sua ricerca. Nausicaa rimane quindi sola a difendere il regno dal selvaggio gruppo di pretendenti che cercano di conquistare la sua mano e il suo regno. Le avventure e disavventure attraverso le quali deve passare Nausicaa sono chiaramente correlate con quanto Ulisse dovrà vivere nell’Odissea e i parallelismi sono molto divertenti e ben congegnati. Non li svelo per lascarvi il piacere della lettura. Forse un consiglio è di rileggere prima l’Odissea per potersi gustare tutti i rimandi e i divertissment dell’Autore.

Graves, Robert. La Figlia di Omero. 1955. Milano: Guanda, 1992.  350 pagine, 16 Euro, fuori catalogo, dovete trovarlo su una bancarella di libri usati.

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Recensione a “Il mio nome è Nessuno” di Valerio Massimo Manfredi

Recensione a “Il mio nome è Nessuno” di Valerio Massimo Manfredi

downloadUn’amante della mitologia come me non poteva lasciarsi sfuggire il romanzo “Il mio nome è Nessuno – Il ritorno” di Valerio Massimo Manfredi, uscito per Mondadori un anno dopo la prima parte di questo dittico romanzesco, intitolata “Il mio nome è Nessuno – Il giuramento”. Se nel primo volume Manfredi ripercorre le esperienze di Ulisse a partire dall’infanzia e fino alla fine della guerra di Troia, nel secondo narra invece il viaggio di ritorno del re di Itaca da Troia fino alla sua isola. Viaggio che, come noto, dura dieci anni e contempla numerose e svariate avventure. Non riassumerò la vicenda, ai più nota, ma volevo spendere alcune parole sull’esperimento di Manfredi di rinarrare il mito di Ulisse-Odisseo.

Manfredi fa quello che ogni lettore dell’Odissea (e dell’Iliade) fa nella sua testa e nel suo cuore quando si immerge davvero nei testi di Omero: costella nella sua esperienza personale gli archetipi che le due epiche contengono e fanno danzare nella psiche di chi le ascolta (o legge). Manfredi lo fa nel suo modo personale: come già in altri suoi romanzi, per dare un tocco esotico alle vicende cambia leggermente i nomi dei personaggi (Kirke invece di Circe, Odysseo invece di Odisseo, e così via) e intesse la vicenda di Ulisse con quelle di altri personaggi di suoi romanzi (Diomede, per esempio, o il destino del Palladio). E soprattutto, colma il racconto con quello che possiamo definire l’”inchiostro bianco”, vale a dire quelle parti che il lettore immagina, gli spazi vuoti tra una frase e l’altra, le frasi non dette, i sentimenti non espressi, i dubbi che restano tali nella mente dei personaggi e del lettore. Come è giusto che sia, Manfredi spiega, interpreta, aggiunge pensieri e interpretazioni e dolori espressi dalla voce in prima persona di Ulisse. A volte suggerisce interpretazioni interessanti, e si ha la percezione che l’Ulisse che parla tramite Manfredi, parli la voce del ventunesimo secolo ed esprima dubbi e paure proprie del nostro tempo. Quando questo accade la lettura si fa interessante e ricca di spunti sui quali riflettere. A volte quando invece Manfredi tenta di descrivere dubbi e problemi che immagina dei greci antichi, e lo fa usando un linguaggio che scimmiotta un po’ quello di Omero, ecco che, secondo me, la voce di Manfredi si fa meno interessante. Anche la lunga parte finale, in cui l’Autore descrive l’ultimo viaggio di Ulisse (non quello dantesco descritto nella Divina Commedia!), viaggio profetizzato da Tiresia e in cui Ulisse dovrà andare alla ricerca del perdono da parte di Poseidone, sembra più un’epica da fumetto americano con il protagonista preda di dubbi esistenziali, che un’epopea mitologica.

Se la mitologia adempie al suo scopo, parla ai lettori-ascoltatori di cose importanti per loro, nel momento in cui vengono lette e lasciate danzare nella psiche. Il compito del mito è proprio questo: rimanere vago e interpretabile per continuare a sussurrare quello che la nostra interiorità ha bisogno di sentire e di elaborare. E deve farlo in modo ricco e pieno di significati simbolici assodati e che hanno funzionato per generazioni di esseri umani. Per questo motivo, il libro di Manfredi è parziale e ci racconta UNA versione, UNA visione del ricco mondo omerico. Al lettore giudicare se vale la pena affidarsi all’interpretazione di una persona singola o se affidarsi al ricco e simbolico linguaggio di Omero, e colmare personalmente gli spazi lacunosi della vicenda, soffrendo in modo personale e per motivi diversi quando Ulisse piange ma non spiega perché. Io ho letto volentieri il libro di Manfredi, come se fosse (e lo è) una variante su di un tema conosciuto, che è l’opera di Omero in versione originale. Se però non avete mai letto l’Odissea e pensate di approcciarvi al poema che è alla base della nostra cultura e civiltà, allora il mio suggerimento è quello di cominciare dall’originale. Per esempio nella leggibilissima versione in prosa a cura di Maria Grazia Ciani ed edito da Marsilio. Buona scoperta o riscoperta delle avventure di Ulisse, l’uomo dalla mente colorata.

Andreas

Manfredi, Valerio Massimo.  Il mio nome è Nessuno – Il Ritorno.  Milano: Mondadori, 2013.
Omero.  Odissea.  A cura di Maria Grazia Ciani.  Venezia: Marsilio, 1994.
Manfredi, Valerio Massimo.  Il mio nome è Nessuno – La Promessa.  Milano: Mondadori, 2012.

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