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Riveder le Stelle

Riveder le Stelle
Lucilla Giagnoni

Lucilla Giagnoni

Andrea Della Neve, una delle Muse, ha appena pubblicato il seguente articolo-recensione. Tenetevi pronti per il Festival di Arzo, ne vale la pena! Buona lettura!

Il Festival Internazionale di Narrazione di Arzo. Da alcuni anni, quattordici, v’è un paesino di montagna che con un’umiltà non descrivibile s’è consapevolmente messo a disposizione per dare il suo tangibile contributo a una delle più importanti missioni d’ogni uomo: seminare parole, racconti. Farli passare di bocca in bocca, condividerli, viverli, farli risuonare nelle viscere affinché si tramandino nei secoli.  Non c’è via più sicura di quella orale. Non v’è carta, incisione su pietra o terabyte aleggiante nei server che tenga: quel che di più importante è arrivato dai millenni che c’hanno preceduto sino alle nostre orecchie, sino ai nostri cuori desiderosi, sono racconti tramandati da persona a persona, da padre a bambino, da vita a vita, talmente potenti da sentirsi implodere quando ingabbiati dalla scrittura. È quella potenza a farli riecheggiare oggi. Ora.

Grazie alla passione dei suoi volontari, il Festival Internazionale di Narrazione di Arzo quest’anno ci sta regalando una trilogia che fa da ponte verso il festival stesso, che ci accompagna a sciogliere i ghiacci del recente lungo inverno sino al calore dei quattro giorni “di qui e d’altrove” che vivremo dal prossimo 29 agosto (www.festivaldinarrazione.ch).

La Trilogia della spiritualità, di e con Lucilla Giagnoni. Con un lavoro di ricerca durato undic’anni, Lucilla Giagnoni ha completato tre spettacoli che si distinguono per la sintonia tra il contenuto della narrazione e i luoghi scelti per presentarla. Ecco perché il primo spettacolo, “Big Bang”, un’indagine sugli inizi e sulla creazione che intreccia il linguaggio della scienza con quello della teologia e del teatro, è stato presentato lo scorso mese d’aprile nella Chiesa dei Cappuccini a Mendrisio.

A fine maggio abbiamo avuto l’occasione di vivere il secondo appuntamento, “Vergine Madre”, nella Chiesa di San Giuseppe a Ligornetto. Su quest’ultimo ci soffermiamo.

“Vergine Madre” Dicevamo in apertura di parole incantatorie che travalicano i secoli, eternamente ripetute come le preghiere. Così è per la Commedia di Dante. Lo spettacolo rievoca il percorso di salvezza per eccellenza, dal buio degli inferi alla luce delle stelle. Con la peculiarità che a narrar quei versi è una donna, “…perché più spesso sono le donne a pronunciare, senza mediazioni, il desiderio di pace. Sheherazade si salva “raccontando”. E perché sicuramente l’anima ha una voce femminile”, dice la stessa Giagnoni. La quale, non può essere un caso, porta un nome tra i più luminosi.

“Vergine Madre” è uno spettacolo al termine del quale non si fanno i complimenti all’attrice.

La si ringrazia.

È un Grazie che sgorga spontaneo da quella parte di noi che ha l’esigenza di scoprire, conoscere, ritrovare. Quella parte che si rifiuta di “viver come bruti”.

Compito dell’artista è intuire e mostrare la via di fuga, la porta d’uscita dall’Inferno, la salvezza. Lucilla si rivela un’ottima traghettatrice per lo spettatore. Lo porterà attraverso la selva oscura ricordandogli che viaggiare non è soltanto contemplare paesaggi pittoreschi. Viaggiare è soprattutto fare incontri, incontri con persone che ti cambiano la vita. L’importante è non rimanere soli. “Guai a chi è solo, perché quando cade non ha nessuno che lo rialzi”.

Ogni pensiero espresso nello spettacolo meriterebbe un capitolo, un momento in cui ascoltarlo intimamente e scoprire come risuona dentro noi. Il viaggio allegorico di Dante ha più di 700 anni e…è attualissimo. Sin dal primo canto lascia intuire concetti di cui dobbiamo urgentemente riappropriarci: la capacità di chiedere aiuto (come fa Dante quando intravede Virgilio), l’importanza d’una guida, il riconoscimento dei limiti che anche le guide hanno e il fatto che devono avere una guida a loro volta. Nel nostro lavoro di educatori/accompagnatori, queste riflessioni riecheggiano prepotentemente.

Verso il Paradiso. “Per salire, bisogna prima scendere. Bisogna conoscere fino in fondo l’Inferno; solo chi l’ha attraversato, ce l’ha negli occhi, è tornato indietro e lo sa raccontare, può ritrovare la propria umanità”.

Dante è ai piedi del colle, ha da poco intuito la direzione da prendere per arrivare alla luce e la sua paura si quieta. Ma subito dopo una lonza, poi un leone ed una lupa gli si pareranno dinnanzi, inducendolo a rinunciare. Tre fiere, tre bestie feroci lo circondano.

L’attrice esorta una domanda: quali saranno le nostre tre fiere?

I suoi personali incontri all’Inferno sono con La Donna (Francesca, V canto), l’Uomo (Ulisse, XXVI canto), il Padre (Ugolino, XXXIII canto). Tutti all’Inferno per riconoscibili responsabilità, ed in egual modo meritevoli di pietà per la condizione di “prigionieri” patita nella vita terrena. Francesca, prigioniera di quella torre, prigioniera di un matrimonio che non voleva; soprattutto prigioniera di se stessa, dei suoi sensi. Ulisse, prigioniero di una guerra che non avrebbe voluto combattere (quella di Troia), prigioniero di donne che non avrebbe voluto amare (la Maga Circe, Calypso); prigioniero di se stesso, della propria smisurata ambizione. Infine Ugolino, prigioniero di fatto nella Torre dei Gualandi, oltre che prigioniero di se stesso, della sua sanguinaria tirannia. Da questi incontri la Giagnoni s’addentra nella complessa domanda del perché l’uomo tradisce, e azzarda una risposta: perché vuole conoscere la propria identità. Per fare questo deve separarsi dal Tutto, dalla pienezza dell’Essere; deve tradire Dio, il Tempo, il Mondo e la Natura.

Dopo aver incontrato la Donna, l’Uomo e il Padre, ecco che in Paradiso Lucilla completa il disegno di una famiglia, incontrando la Bambina (Piccarda, III canto) e la Madre (Vergine Madre, XXXIII canto). Di fronte allo stupore dantesco nella scoperta che anche il Paradiso è “diviso in cieli” e al sospetto che esistano di conseguenza livelli diversi di felicità, Piccarda ride. Sì, ride, perché in Paradiso tutti godono della Perfetta Felicità, una felicità intensissima, quella felicità che abbiamo già conosciuto…

…Per rievocarla occorre tornare bambini, piccoli piccoli, quando ci sembrava che i momenti di felicità fossero eterni, senza progetti, senza strategie, senza futuro… Felici, semplicemente perché “c’è la mamma!”, perché una sola cosa vogliono i bambini: l’Amore. E Piccarda è ancora una bambina. Una bambina che ha saputo uscire dall’Inferno, una bambina che ha saputo pregare. È a questo punto che l’attrice e drammaturga accosta a quelle di Dante le parole di Italo Calvino. La conclusione delle sue “Città Invisibili”, in cui spiega che vi sono due modi per uscire dall’Inferno. Uno facilissimo, che riesce a tutti: diventare Inferno. Adeguarsi all’Inferno fino a non riconoscerlo più e quindi non soffrirne. L’altro richiede cura e attenzioni quotidiane, ed è

“…Cercare e saper riconoscere
chi e cosa, in mezzo all’Inferno,
non è Inferno,
e farlo durare, e dargli spazio”
 

Questo per me è pregare”, dice l’attrice con gli occhi emozionati.

Ed è con una preghiera che finisce il Viaggio.

Una preghiera fatta alla figura umana più alta e più vicina a Dio.

Una figura che riscatta tutta l’umanità, che riesce, proprio perché donna, a trovare una soluzione possibile, a conciliare tutti gli opposti, a tenere insieme tutti i contrari: la Vergine Madre, figlia di suo figlio.

Una donna è Santa quando è vergine, poi è Santa quando è madre.

Lucilla suggerisce che tra queste due santità, c’è il bello della vita.

La Vergine Madre comprende anche questo. È Vita Vera, è Amore.

Quell’Amore che “…move il sole e l’altre stelle”.

(L’ultimo spettacolo della Trilogia, “Apocalisse”, aprirà la XIV edizione del Festival di narrazione giovedì 29 agosto, ore 21.30, alle cave di marmo di Arzo)

Andrea Della Neve

 

(Tratto da Semi di bene, Rivista illustrata della Svizzera italiana pubblicata dalla Fondazione OTAF, giugno 2013)

L’Eneide: il pio Enea

L’Eneide: il pio Enea

Enea, Ascanio, Venere e Didone

L’Eneide, in generale, mi lascia più freddo sia dell’Odissea che dell’Iliade. Perché? Forse perché è un’opera scritta da una sola mano, mentre i poemi omerici risentono di molte influenze e molte versioni, come si addice a un’opera orale che finisce su pergamena. Ma ci sono alcuni aspetti che vale la pena sottolineare lo stesso, nell’Eneide. Intanto il protagonista , il pio Enea, compie un viaggio che in qualche modo sembra speculare a quello di Ulisse. Enea parte da una terra in distruzione – Troia – e si avventura per mare per cercare una nuova sistemazione per lui, la sua gente e le insegne della sua civiltà. Lascia la guerra per cercare la pace. Ulisse, al contrario, lascia la pace per cercare la guerra quando parte da Itaca e si imbarca per Troia e tutta la sua storia parla di un tentato ritorno alla sua amata isola, alla sua casa. Seconda specularità: Enea parte “pio” (che qui sta per “colui che esegue quello che gli dèi comandano, colui che accetta con pazienza infinita quello che i fati gli impongono”) e termina sanguinario nelle battaglie del Lazio (dove sgozza chi implora pietà, compie sacrifici umani di giovinetti catturati e dimentica benevolenza e ragione); Ulisse riparte sanguinario da Troia (distrugge e razzia alcune città sulle coste mediterranee) e pian piano riconquista sudatamente la sua umanità grazie alla sofferenza. Enea non mi sembra crescere nel suo viaggio, le sue parti nobili, la sua sofferenza, la sua storia non riescono a coinvolgere e a commuovere… La scena per me più coinvolgente è quando i troiani approdano sull’isola dei Ciclopi e vi trovano un greco dimenticato da Ulisse durante la sua fuga. L’uomo, appena capisce che ha di fronte Enea, principe troiano, si dice contento di poter morire per mano di esseri umani come lui piuttosto che divorato dai mostri con un occhio solo. I troiani, turbati e commossi per la tragedia del marinaio-guerriero, non lo uccidono e lo imbarcano con loro. Del marinaio di Ulisse non si parlerà più, ma mi piace pensare che anche lui sbarcherà nel Lazio e concorrerà alla creazione della nuova stirpe che fonderà Roma. I troiani sanno leggere il dolore del nemico e capiscono che è identico al loro. Per questo perdonano e accettano. E questo me li rende simpatici e vicini al cuore! Di Venere e Giunone e degli déi in generale, di Didone e della sua tragedia, di Turno e dei suoi guerrieri, dei giovinetti che muoiono nelle battaglie cruentissime parlerò nei prossimi interventi. Per ora, buona lettura (o rilettura) dell’Eneide: spero che queste poche righe vi abbiano fatto venir voglia di riprenderla in mano! Diciamo la verità: ne vale proprio la pena!

Andreas Barella (2008)

Cosa facciamo noi de La Voce delle Muse