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Recensione: Enea – L’eroe di una nuova dinastia

Recensione: Enea – L’eroe di una nuova dinastia

“Non c’è salvezza nella guerra; o pace, tutti ti invochiamo” (Virgilio, Eneide)

Dal risvolto di copertina: “Eroe straordinariamente moderno, Enea, personaggio omerico prima ancora che virgiliano, abbandona la sua terra natia, fugge da Troia distrutta per arrivare sulle sponde italiche, alla foce del Tevere, là dove sorgerà Roma. Così ci racconta Virgilio nel suo poema capolavoro, l’Eneide, di cui Enea è il protagonista: un nome destinato a segnare la storia dell’Italia e dell’Europa. Il poeta, critico e drammaturgo, T.S. Eliot, in occasione della conferenza del 1944 alla Virgil Society, definì Virgilio il “nostro classico, il classico di tutta l’Europa”. Esule e fuggiasco, Enea affronta il mare, conosce nuove terre e nuovi amori – quello di Didone, indimenticata regina che soccomberà alla passione amorosa – affronta la guerra e l’ira divina, ed è tra i pochissimi eroi del mito a sperimentare da vivo l’avventura della discesa nell’Ade, dove incontra non solo coloro che lo hanno preceduto, ma anche la lunga schiera dei suoi discendenti, stirpe gloriosa.”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Se il combattente dell’Iliade (come tutti gli altri eroi omerici) è proteso verso la gloria, l’affermazione di sé, la fama legata alla sfida di un istante, quello più equilibrato e maturo, forse meno affascinante dell’Eneide, rappresenta un nucleo di qualità ben diverse, di cui i Romani si gloriavano: è giusto, pius, dedito alla sua gente, e capace di sacrificare tutto, anche l’amore di una regina, al dovere e alla volontà di compiere un destino molto più grande di lui. Viaggia – ma non come Ulisse per conoscere genti, amare dee e tornare alla sua piccola patria -, viaggia in cerca di un luogo sconosciuto in cui possa svilupparsi la storia del suo popolo, perseguendo qualcosa di più grande e durevole rispetto alla gloria per cui s’immolavano gli eroi omerici.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Enea è curato da Gioachino Chiarini, professore di letteratura latina presso l’Università di Siena, di Venezia e di Pisa. Qui gli ultimi volumi pubblicati.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Enea.
Nel MitoBlog abbiamo già scritto diversi post sull’Eneide. Li trovate qua.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Recensione a Frammenti di Telegonia dell’Anonimo di Chio

Recensione a Frammenti di Telegonia dell’Anonimo di Chio

La recensione del volume Frammenti di Telegonia è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Ulisse – Il viaggio della ragione.

Prima di leggere qui, se non l’hai ancora fatto, vai alla presentazione del volume Frammenti di Telegonia, che racconta la storia del figlio di Odisseo e della Maga Circe.

La pagina facebook MITOLOGIA IN PILLOLE (iscrivetevi, ne vale la pena!) ha recensito i Frammenti di Telegonia. Grazie mille a Ludovico Baù per questo scritto! 🙂

“Il più grande dispiacere per un amante della mitologia è immaginare i numerosi racconti perduti nel corso della storia, miti che non sono sopravvissuti all’inesorabile scorrere del tempo e giacciono nel dimenticatoio. Da ciò ne deriva che la gioia più grande viene dal ritrovamento di testi mitici pensati perduti per sempre, questo è ciò di cui oggi parlerò in questa sede.
La figura di Telegono, figlio di Odisseo e della Maga Circe, ci è nota attraverso il ricordo della Telegonia di Eugammone di Cirene (VI sec. a. C.) andata persa.
La tragica storia di questo eroe sarebbe rimasta nell’oblio se non fossero stati rinvenuti dei fascicoli ottocenteschi attribuiti a un “Anonimo di Chio” dove si racconta, attraverso il linguaggio epico, di Telegono e dei personaggi a lui strettamente collegati come l’amico Elato e la sacerdotessa delle Esperidi Talia.
Il testo che la casa editrice Ericlea propone è scritto in forma di frammenti i quali riprendono gli avvenimenti più importanti del mito di cui Telegono è protagonista. Non intendiamo soffermarci eccessivamente sulla trama poiché questa è la tipica storia che per essere apprezzata a pieno va scoperta, un riassunto diminuirebbe il piacere della lettura. Abbiamo deciso quindi di mettere in evidenza i topos del mito che sono: Il grande VIAGGIO attraverso le isole della Grecia, l’AMICIZIA come legame che non può essere sciolto da nessun male, la PAURA della morte che attanaglia ogni essere mortale e la RICERCA (non vi diciamo di cosa). Questo libro mi ha fatto provare le stesse sensazioni di quando, quasi per gioco, mi misi a leggere l’Odissea anni addietro: il testo è riuscito a riportarmi in un’ passato arcaico e magico dove uomini e dei camminavano sulla terra e condividevano piaceri e dolori, anche se per poco tempo quei piaceri e dolori li ho provati anche io. Vi è una tragicità unica in questa narrazione per quanto riguarda il panorama greco che ho ritrovato solo nell’antica epopea sumera di Gilgamesh. Ho molto apprezzato la lettura di “FRAMMENTI DI TELEGONIA” e spero che questa recensione faccia nascere in voi la curiosità di avventurarvi tra le sue pagine. Avere per le mani un racconto pensato perduto fino a poco tempo fa non è cosa da tutti i giorni e vi assicuro che suscita forti emozioni. Se deciderete di leggere il testo e vorrete condividere le vostre riflessioni, i ragionamenti e le impressioni nei commenti ne saremmo molto felici.” (
Copyright Ludovico Baù e pagina fb Mitologia in pillole). 

Il volume è acquistabile qui.
Il sito della Casa Editrice Ericlea.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Telegono, il figlio di Odisseo e della Maga Circe

Telegono, il figlio di Odisseo e della Maga Circe

Frammenti di Telegonia, Andreas Barella, Anonimo di Chio, Casa Editrice EricleaLa presentazione del volume Frammenti di Telegonia è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Ulisse – Il viaggio della ragione.

Care amiche, cari amici, a conclusione dei post su Odisseo, siamo molto felici di presentarvi il primo volume nella collana ANONIMO DI CHIO della Casa Editrice Ericlea, che parla proprio del figlio che Odisseo ha avuto assieme alla Maga Circe e che tanto spazio ha nella profezia sul futuro del re di Itaca, profezia pronunciata da Tiresia nell’Ade (vedi qui, se non ricordi l’episodio).

Lasciamo la parola al curatore della collana, il Dr. phil. I Andreas Barella, che ci presenta la genesi di questo progetto. Ringraziamo la Casa Editrice per il permesso di pubblicare l’estratto.

DALLA PREFAZIONE AL VOLUME: “Nella primavera di un paio di anni fa partii in vacanza con un amico. Si trattava di un viaggio di svago per ridonare linfa a un’amicizia da troppo tempo negletta. Ma era anche un viaggio di studio, di ricerca di immagini e atmosfere mitologiche. La meta era il Mar Egeo e le sue isole, soprattutto quelle orientali al confine con la Turchia. La scoperta dei quaderni all’origine di questo libretto è avvenuta grazie a un incontro fortuito sull’isola di Chio, la supposta terra natale di Omero. Una anziana signora ci ospitò nella sua casa dopo che eravamo stati colti dalla notte nell’entroterra durante una gita fra i monasteri che punteggiavano le colline. In gioventù la donna era emigrata in Inghilterra e parlava un po’ di inglese. Morto il marito era tornata sulla sua isola, nell’antica casa di famiglia dove ci ospitava con squisita gentilezza e generosità.

Ci mostrammo appassionati di mitologia. Colpita dal nostro amore per Omero ci narrò di un curioso personaggio di cui le parlava la nonna. Un viaggiatore, forse inglese forse prussiano, che sua nonna chiamava in turco Deli Amca, “il vecchio pazzo” e che proprio in quella casa aveva vissuto e dove, dopo lunghi incontri con anziani narratori dell’isola e della terraferma vicina, aveva riempito una serie impressionante di quaderni. Incuriositi le chiedemmo di cosa parlassero. Lei ci rispose che si trattava di storie che il vecchio raccontava la sera a sua nonna e a sua madre bambina, accompagnandole con la lira. Chiedemmo che fine avessero fatto quaderni e strumento e lei allargò le braccia, rispose che non sapeva se esistessero ancora. Da bambina ricordava di averli visti accantonati su vecchi scaffali in una piccola stanza abbandonata.

La mattina dopo andammo a cercarli. La camera del vecchio c’era ancora: nessuna traccia della lira ma il locale era pieno di quaderni di pessima qualità, ingialliti. Alcuni in buono stato, altri rovinati dall’umidità del contatto con i muri, altri si intravvedevano sotto un sottile strato di intonaco, utilizzati chissà quando e da chissà chi per isolare la parete meno esposta al sole, altri ancora erano stipati in due valige di pelle che dovemmo forzare in quanto le cerniere erano talmente arrugginite da impedire l’apertura. Anche se parziale, si trattava pur sempre di una scoperta straordinaria: 108 quaderni di 96 pagine ciascuno (82 in buone condizioni, 16 ricuperabili, 10 in stato pessimo) e il ricordo della nostra squisita ospite di almeno altrettanti fascicoli finiti chissà dove e che stiamo tentando di rintracciare.

Nei tomi scritti in esametri in greco antico, con ampi inserti in greco moderno e in turco, con note marginali in inglese, in tedesco e in francese, vergati con una calligrafia minuta e precisa, centinaia di episodi mitologici collegati uno all’altro da migliaia di rimandi numerici specifici (inseriti a margine nella forma: n° volume, n° pagina) ad altri episodi in una rete infinita di possibilità di narrazione.

Chi era questo Pseudo-Omero, Deli Amca, il vecchio pazzo o, come lo abbiamo chiamato in copertina, questo Anonimo di Chio? Per ora possiamo solo fare supposizioni. La nostra idea è che si trattasse di un erudito appassionato di mitologia che, forse a seguito della scoperta delle rovine di Troia e di Micene da parte di Heinrich Schliemann negli anni 70 del 1800, si fosse trasferito in Grecia e abbia appreso (da chi? dove?) a narrare oralmente le storie in seguito raccolte nei quaderni. Il vecchio si era forse ritirato a Chio per mettere in forma scritta i racconti uditi nel suo peregrinare. Filologi e mitologi stanno, con meraviglia, approfondendo lo studio dei fascicoli. Una versione critica vedrà verosimilmente la luce nei prossimi anni. I manoscritti sono a disposizione, presso la casa editrice, degli esperti interessati.

Non volevamo però attendere così a lungo per presentare queste storie. Quella che pubblichiamo nelle prossime pagine, senza nessuna velleità filologica, è una libera traduzione e arrangiamento di alcuni frammenti di una vicenda appassionante e che ha come protagonista Telegono, il “nato lontano da casa”, il figlio di Odisseo e della maga Circe. Le sue vicende sono pescate un po’ qua e un po’ là nei quaderni, distillate e senza rinvii ad altre storie. Nei manoscritti vi sono circa 200 rimandi che collegano la storia di Telegono a vicende note e meno note del corpus mitologico classico. A volte abbiamo dovuto scegliere una versione a scapito di una o due altre, in alcune occasioni le indichiamo alla fine del capitolo corrispondente; non sempre però, in modo da non appesantire la lettura. Si tratta, appunto, di frammenti. Come di frammenti si parla quando si cita la Telegonia di Eugammone di Cirene, composta nel sesto secolo avanti Cristo: che il nostro cantore abbia utilizzato la narrazione perduta di questa opera? Anche questo è un mistero che attende risposta.

Un’ultima considerazione: abbiamo deciso per una traduzione in prosa per rendere maggiormente accessibile il testo, cercando di mantenere il ritmo e lo stile poetico dei quaderni. Ci siamo imbattuti in diverse contraddizioni che lasciamo ai lettori individuare, come in una specie di caccia al tesoro: si tratta principalmente di differenze negli appellativi degli dèi e dei protagonisti, dovuti a fonti diverse che poi durante la narrazione orale venivano presumibilmente adeguati dal narratore, ma che nei quaderni presentano incongruenze anche notevoli. Un esempio è l’appellativo di Telegono, che viene chiamato “giovane” in episodi verso la fine delle sue avventure. Abbiamo però deciso di mantenere queste contraddizioni in quanto proprie del racconto orale. In futuro (maggiori dettagli nelle note tra i capitoli e alla fine del volume) presenteremo anche altri racconti e cicli narrativi contenuti in questo meraviglioso regalo che il Destino, o la Musa, ci ha voluto destinare.” (COPYRIGHT ©2019 CASA EDITRICE ERICLEA e ANDREAS BARELLA. Questo testo può essere utilizzato solo citando la fonte e l’autore.)

Il volume è acquistabile qui.
La recensione del volume di Ludovico Baù.
Il sito della Casa Editrice Ericlea.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Odisseo torna a Itaca – Parte 2 (di 2)

Odisseo torna a Itaca – Parte 2 (di 2)

Il racconto del mito di Odisseo è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Ulisse – Il viaggio della ragione.

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Odisseo torna a Itaca – Parte 1 (di 2).

II giorno seguente, nel corso di un altro banchetto, Agelao di Samo, uno dei pretendenti, chiese a Telemaco se non potesse indurre sua madre a prendere una decisione. Al che Penelope si dichiarò pronta ad accettare come marito chi sapesse emulare Odisseo in una gara di tiro all’arco: si trattava di scagliare una freccia negli anelli di dodici asce disposte in fila. Penelope mostrò loro l’arco che dovevano usare: donato da Ifito a Odisseo venticinque anni prima, quando egli si era recato a protestare a Messene per il furto di trecento pecore compiuto a Itaca dai Messeni, quell’arco era appartenuto un tempo a Eurito, padre di Ifito, che Apollo stesso istruì nell’arte di scoccare frecce, ma che fu poi vinto e ucciso da Eracle. Taluni dei pretendenti vollero saggiarne la potenza, ma non riuscirono neppure a tenderlo, pur avendone ammorbidito il legno con della sugna; si decise dunque di rimandare la prova al giorno seguente. Telemaco, che era quasi riuscito a tendere l’arco, lo depose di nuovo vedendo Odisseo corrugare la fronte. Odisseo allora, nonostante le proteste e gli insulti dei pretendenti (così volgari che Telemaco fu costretto a ordinare a Penelope di ritornare nelle sue stanze), si impadronì dell’arco e lo tese senza sforzo facendone vibrare melodiosamente la corda. Poi, presa accuratamente la mira, scoccò una freccia nei dodici anelli delle asce. Frattanto Telemaco, che era uscito in gran fretta dalla sala, rientrò armato di spada e di lancia e Odisseo si rivelò infine scoccando una seconda freccia che si conficcò nella gola di Antinoo.

I pretendenti balzarono in piedi e corsero verso le pareti per staccare le armi, ma si accorsero troppo tardi che le armi non c’erano più. Eurimaco invocò pietà e quando Odisseo rifiutò di concedergli la vita, strinse la spada e si lanciò contro di lui: ma una freccia gli trapassò il fegato ed egli cadde a terra rantolante. Un’aspra lotta divampò allora tra i pretendenti armati di spade e Odisseo armato soltanto dell’arco, ma piazzato dinanzi all’ingresso principale della sala. Telemaco corse di nuovo all’armeria e ne riportò scudi, elmi e lance per il padre suo e per Eumeo e Filezio, i due servi fedeli che lo spalleggiavano. Infatti benché Odisseo avesse abbattuto i suoi avversari a dozzine, la sua scorta di frecce era quasi esaurita. Melanteo, che era sgattaiolato nell’armeria da una porta secondaria per portare armi ai pretendenti, fu colto sul fatto al secondo tentativo e legato con solide corde. La strage frattanto continuava e Atena in veste di rondine svolazzò nella sala finché tutti i pretendenti giacquero morti, all’infuori di Medonte l’araldo e di Pernio l’aedo; Odisseo li risparmiò perché non gli avevano fatto direttamente alcun torto e le loro persone erano sacre. Si fermò poi per chiedere a Euriclea, che aveva chiuso le donne nelle loro stanze, quante ancelle erano rimaste fedeli alla sua causa. Ed Euriclea rispose: «Dodici soltanto si sono coperte di vergogna». Le ancelle colpevoli ricevettero l’ordine di lavare con spugne e acqua il pavimento della sala insozzato di sangue. Poi Odisseo le impiccò tutte in fila. Scalciarono un poco e tutto finì. Eumeo e Filezio mutilarono Melanteo delle sue estremità (naso, orecchie, mani, piedi e genitali) che furono gettate in pasto ai cani.

Odisseo, riunitosi finalmente alla moglie Penelope e al padre Laerte, raccontò loro le sue avventure, ma questa volta rispettò la verità. Si avvicinò frattanto un gruppo di itacesi ribelli, parenti di Antinoo e degli altri pretendenti; vedendo che Odisseo doveva affrontare un numero preponderante di avversari, il vecchio Laerte prese validamente parte alla lotta, e questa stava volgendo in favore di Odisseo allorché Atena intervenne e propose una tregua. I ribelli allora intentarono un’azione legale contro Odisseo, nominando loro giudice Neottolemo, re delle isole Epirotidi. Odisseo acconsentì ad accettare il verdetto e Neottolemo stabilì che egli lasciasse l’isola per altri dieci anni durante i quali gli eredi dei pretendenti avrebbero dovuto versare a Telemaco, ora re, un adeguato compenso per i danni subiti.

Rimaneva tuttavia Poseidone, che bisognava placare; e Odisseo partì a piedi, seguendo le istruzioni di Tiresia, con un remo sulla spalla. Quando raggiunse la Tesprozia, un contadino gli gridò: «Che fai, con un ventilabro sulla spalla in primavera?» Odisseo allora sacrificò un ariete, un toro e un cinghiale a Poseidone e fu perdonato. Poiché non gli era ancora concesso di tornare a Itaca sposò Callidice, regina dei Tesprozi, e guidò il suo esercito in una guerra contro i Brigidi, sotto la protezione di Ares; ma Apollo invocò una tregua. Nove anni dopo Polipete. figlio di Odisseo e di Callidice, successe al padre sul trono dei Tesprozi e Odisseo ritornò a Itaca dove Penelope regnava in nome del figlioletto Poliportide. Telemaco era stato esiliato a Cefallenia, poiché un oracolo aveva predetto: «Odisseo, sarai ucciso dal tuo stesso figlio!» A Itaca la morte venne a Odisseo dal mare, così come Tiresia aveva previsto. Telegono, il figlio che egli aveva avuto da Circe, salpato in cerca del padre, fece una scorreria a Itaca, credendo che fosse l’isola di Corcira, e Odisseo si preparò a respingere l’attacco. Telegono lo uccise sulla riva del mare e l’arma fatale fu una lancia che aveva per punta l’aculeo di una razza. Trascorso in esilio l’anno prescritto dalla legge, Telegono sposò Penelope. Telemaco sposò allora Circe e i due rami della famiglia si unirono così di più stretti legami.

Taluni negano che Penelope rimanesse fedele a Odisseo. L’accusano di essersi unita ad Anfinomo di Dulichio, oppure con ciascuno dei pretendenti a turno, e dicono che il frutto di questa unione fu il mostruoso dio Pan: al vederlo Odisseo sarebbe fuggito in Etolia per la vergogna, scacciando Penelope che ritornò dal padre suo Icario a Mantinea, dove ancor oggi si mostra la sua tomba. Altri affermano che Penelope generò Pan da Ermes e che Odisseo sposò una principessa etolica, la figlia del re Toante; ebbe da lei Leontofono, il più giovane dei suoi figli, e morì serenamente a tarda età.

Il mito di Odisseo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Odisseo torna a Itaca – Parte 1 (di 2)

Odisseo torna a Itaca – Parte 1 (di 2)

Il racconto del mito di Odisseo è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Ulisse – Il viaggio della ragione.

Prima del ritorno a Itaca, Odisseo ha affrontato il suo lungo viaggio per mare. Inizia qui:  I viaggi di Odisseo – Partenza e Polifemo – Parte 1 (di 4)

Odisseo, quando si destò, non riconobbe subito la sua isola che Atena aveva avvolto in una nebbia leggera. Atena stessa si presentò a lui in veste di pastorello e ascoltò il lungo e mendace racconto che Odisseo le fece: egli disse infatti di essere cretese, fuggito a bordo di una nave sidonia dopo aver ucciso il figlio di Idomeneo, e abbandonato su quella spiaggia contro la sua volontà. «Che isola è mai questa?» chiese. Atena rise e gli accarezzò la guancia. «Sei davvero un meraviglioso bugiardo», replicò; «se già non conoscessi la verità ti avrei creduto. Ciò che mi sorprende, tuttavia, è che tu non mi abbia riconosciuto. Io sono Atena. I Feaci ti sbarcarono qui per mio ordine. Mi spiace che tanti anni siano trascorsi prima che io potessi ricondurti a casa, ma non osavo offendere mio zio Poseidone aiutandoti in modo troppo palese». La dea consigliò a Odisseo di celare in una grotta i bacili, i tripodi, i manti purpurei e i nappi d’oro donatigli dai Feaci, e gli fece subire una metamorfosi tale da renderlo irriconoscibile: gli sbiancò la pelle, gli incanutì i capelli, lo rivestì di luridi stracci e lo guidò verso la capanna di Eumeo, il fedele porcaro. Atena era appena giunta da Sparta dove Telemaco si era recato per chiedere notizie di Odisseo a Menelao, da poco tornato dall’Egitto. Ora, bisogna spiegare che, convinti della morte di Odisseo, non meno di centoventi insolenti principi delle isole che facevano parte del regno, Dulichio, Samo, Zacinto e Itaca stessa, corteggiavano sua moglie Penelope e ciascuno di essi sperava di sposarla per impossessarsi del trono; cedesti principi si erano accordati tra loro per uccidere Telemaco al suo ritorno da Sparta

Quando chiesero a Penelope di scegliersi per marito uno di loro, essa dapprima dichiarò che Odisseo era certamente vivo, poiché il suo ritorno in patria era stato predetto da un oracolo di tutta fiducia; in seguito, per arginare l’insistenza sempre crescente dei pretendenti, promise di prendere una decisione soltanto quando avesse terminato di tessere una certa tela per il vecchio Laerte, suo suocero. Ma passarono tre anni prima che il lavoro fosse completato perché Penelope disfaceva di notte ciò che aveva fatto durante il giorno. Alla fine, i pretendenti scoprirono l’inganno e nel frattempo si erano accampati nel palazzo di Odisseo bevendo il suo vino, sgozzando i suoi porci e i suoi vitelli e seducendo le sue ancelle.

Odisseo, accolto ospitalmente da Eumeo, raccontò al vecchio un’altra storia falsa, pur giurando solennemente che Odisseo era vivo e sulla via del ritorno. Frattanto Telemaco sbarcò inaspettato, eludendo così il complotto dei pretendenti, e si recò subito alla capanna di Eumeo: Atena l’aveva fatto ripartire in gran fretta da Sparta. Odisseo, tuttavia, non rivelò la sua identità finché Atena non gliene diede il permesso restituendogli magicamente il primitivo aspetto. Eumeo però non fu messo a parte del segreto e Telemaco ebbe l’ordine di non rivelare nulla a Penelope.

Travestito nuovamente da mendicante. Odisseo si recò a palazzo per osservare come si comportassero i pretendenti. Strada facendo incontrò il capraro Melanteo che lo ingiuriò oscenamente e gli sferrò un calcio nelle natiche; tuttavia Odisseo frenò la collera e non si vendicò subito come avrebbe voluto. Quando raggiunse il cortile del palazzo, trovò il vecchio Argo, un tempo famoso cane da caccia, sdraiato su un mucchio di letame, magro, rognoso, decrepito e tormentato dalle mosche. Argo agitò debolmente il mozzicone di coda e drizzò le orecchie riconoscendo il padrone, e Odisseo si asciugò segretamente una lacrima quando Argo spirò.

Eumeo guidò Odisseo nella sala dei banchetti, dove Telemaco, fingendo di non sapere chi fosse quel mendicante, gli offrì ospitalità. Apparve allora Atena, invisibile a tutti fuorché a Odisseo, e gli suggerì di aggirarsi tra i tavoli mendicando cibo dai convitati, per rendersi così conto di che razza d’uomini fossero. Odisseo obbedì e si accorse che i pretendenti erano tanto avari quanto avidi. Il più svergognato dell’intera compagnia, Antinoo di Itaca (cui Odisseo narrò una terza versione delle sue avventure), gli scagliò addosso irosamente uno sgabello. Odisseo, massaggiandosi la spalla dolorante, fece appello agli altri convitati, i quali convennero che Antinoo avrebbe potuto mostrarsi più cortese. Penelope, quando le ancelle le riferirono dell’incidente, ne rimase scandalizzata e mandò a chiamare il finto mendicante, sperando che. egli potesse darle notizie di suo marito. Odisseo promise di recarsi nelle sue stanze quella sera stessa e di rivelarle tutto ciò che essa desiderava sapere.

Frattanto, uno zotico accattone di Itaca soprannominato «Iro» perché a somiglianza della dea Iride si incaricava di portare messaggi a questi e a quelli, cercò di scacciare Odisseo dal portico. E poiché Odisseo non si mosse. Iro lo sfidò a una gara di pugilato mentre Antinoo, ridendo di cuore, propose di offrire al vincitore ventrigli di capra avanzati dalla cena e un posto tra i commensali. Odisseo allora si arrotolò i cenci attorno ai lombi e si preparò ad affrontare Iro. Costui arretrò al vedere i poderosi muscoli dell’avversario, ma i dileggi dei pretendenti gli impedirono di darsi alla fuga. Odisseo lo abbatté con un solo colpo, badando però di stordirlo soltanto e non di ucciderlo, per non destare sospetti con un’impresa tanto clamorosa. I pretendenti applaudirono, ingiuriarono il vinto, litigarono tra di loro, sedettero di nuovo a mensa per il banchetto pomeridiano, fecero un brindisi a Penelope che era scesa nella sala per accettare i doni nuziali offerti dai principi (benché non avesse alcuna intenzione di fare la sua scelta) e al cader della notte si ritirarono nei loro alloggi.

Odisseo disse a Telemaco di riporre nell’armeria tutte le lance che stavano appese alle pareti della sala dei banchetti, mentre egli si recava a visitare Penelope. La regina non riconobbe il marito e Odisseo intessé un mendace racconto del suo viaggio, dicendo di aver incontrato di recente Odisseo il quale si recava a consultare l’oracolo di Zeus a Dodona, ma presto sarebbe tornato a Itaca. Penelope lo ascoltò attentamente e ordinò a Euriclea, la vecchia nutrice di Odisseo, di lavargli i piedi. Ed ecco che Euriclea riconobbe la ferita nella coscia di Odisseo e lanciò un grido di sorpresa e di gioia; ma Odisseo, presa la vecchia per la gola, la supplicò di tacere. Penelope non notò l’incidente perché Atena aveva distratto la sua attenzione.

Vai a: Odisseo torna a Itaca – Parte 2 (di 2)

Il mito di Odisseo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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