Durante il viaggio di ritorno da Troia, Agamennone fu protetto da Era (o Latona), moglie di Zeus, che salvò la sua nave da una violenta tempesta, che invece aveva investito le navi dei principi greci e aveva spinto Menelao fino in Egitto.
Clitemnestra, la moglie di Agamennone, aveva precedentemente persuaso il marito ad accendere un falò sul monte Ida non appena avesse espugnato Troia. Una sentinella stava in piedi sul tetto del palazzo di Micene in attesa di scorgere quel fuoco; e quando lo vide, corse a comunicarlo a Clitemnestra. Questa indisse grandi festeggiamenti con ricchi sacrifici agli dèi, simulando riconoscenza e gioia; Egisto, cugino di Agamennone intanto, approntava il suo piano, mise uno degli uomini più fidati di guardia sulla torre presso il mare e gli promise una generosa ricompensa non appena gli avesse annunciato lo sbarco di Agamennone.
Dopo il viaggio fortunoso, Agamennone sbarcò in patria. Portava con sé, come parte del bottino e come sua concubina, la principessa Cassandra, sorella di Paride e sacerdotessa di Apollo, che aveva il dono della preveggenza ma anche la maledizione divina di non essere mai creduta. All’ingresso del palazzo ella ammonì il re di non entrare presagendo l’attentato, ancora una volta non fu creduta e il re non l’ascoltò.
Secondo Pindaro e i tragici greci, Agamennone venne ucciso con un lábrys (λάβρυς), mentre si trovava solo nel bagno. Su istigazione di Egisto, la moglie lo imbrigliò prima nella rete che gli aveva gettato addosso, poi lo colpì. Subito dopo, Clitemnestra si scagliò anche contro Cassandra e, con la stessa arma, la uccise. Il suo sordo rancore per il sacrificio di Ifigenia e la gelosia per Cassandra, avevano finalmente attuato la vendetta di Tieste, come era stato predetto dall’oracolo di Delfi.
ll mito di Agamennone, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
“Nessun altro portò a Troia tante navi come lui, tanti soldati e carri da guerra. Cento navi piene dei guerrieri più forti, scelti dalle molte città; Agamennone li guidava combattendo avvolto nella siua armatura di bronzo rilucente nel sole.” (Giulio Guidorizzi, Io, Agamennone)
Dal risvolto di copertina: “È famosa nell’immaginario comune la maschera funeraria in oro ritrovata a Micene e identificata come quella di Agamennone, ma cosa si nasconde dietro questo volto? Le origini del personaggio si perdono nel tempo: una stirpe maledetta, quella di Pelope, signore della città di Pisa, figlio di Tantalo e padre di Atreo avuto dalla moglie Ippodamia. Atreo, insieme al fratello Tieste, avrebbe poi ucciso il fratellastro Crisippo, un delitto che gli attirò l’ira paterna e la condanna all’esilio. Così i due fratelli si rifugiarono a Micenee successivamente ne assunsero il governo. Agamennone eredita il regno e la condanna. Eroe dell’Iliade, valoroso combattente del “poema della forma”, come lo definì Simone Weil, infine vincitore della guerra ma destinato a una morte violenta per mano della moglie Clitemnestra, che vendica così la morte della figlia Ifigenia da lui sacrificata per consentire la partenza della flotta greca verso Troia. Una vicenda complessa che, come molta della mitologia greca, è soprattutto lotta contro il destino.
Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Agamennone esprime, nei racconti, tutta la forza torva e grandiosa del mondo miceneo, rivelato dalle sue rovine: la porta dei leoni che segna l’ingresso in una cittadella possente, con mura fatte di enormi blocchi di pietra, un nido d’aquila in cui si percepisce il fascino di un’epoca grande e terribile. Il re dei re dipinge la cecità dei grandi: camminano come fossero onnipotenti, eppure dalla grandezza alla rovina il passo è brevissimo. Sembra che il destino di Agamennone, con l’ombra di potere funesto che si allarga sulla sua stirpe, sia quello di rappresentare appunto la grandezza e i limiti del potere, e insieme il ritmo inesorabile del destino che attende di compiersi su tutti, e nel modo più crudele, travolgendo gloria e grandezza.”
Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Agamennone è curato da Caterina Barone, docente di Storia del teatro antico greco e latino e Drammaturgia antica presso l’Università degli studi di Padova. Qui i suoi ultimi volumi pubblicati.
L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.
Quando Elena, la bellissima figlia di Leda, raggiunse l’età da marito, tutti i principi di Grecia si presentarono al palazzo del suo patrigno Tindareo con ricchi doni per chiedere la sua mano, oppure si fecero rappresentare da parenti. Diomede, reduce dalla sua vittoria su Tebe, si trovò colà in compagnia di Aiace, Teucro, Filottete, Idomeneo, Patroclo, Menesteo e molti altri. Anche Odisseo giunse al palazzo, ma a mani vuote, poiché non aveva la minima possibilità di successo. Infatti benché i Dioscuri, fratelli di Elena, volessero maritarla a Menesteo di Atene, essa avrebbe dovuto essere concessa in sposa al principe Menelao, il più ricco degli Achei, rappresentato dal potente genero di Tindareo, Agamennone. E Odisseo lo sapeva. Tindareo non respinse alcuno dei pretendenti né, d’altro canto, volle accettare i doni offerti; poiché temeva che la sua preferenza per questo o quel principe potesse far nascere dispute tra gli altri. Odisseo così gli disse un giorno: «Se ti consigliassi un buon sistema per evitare una disputa, mi aiuteresti tu, in cambio, a sposare Penelope figlia di Icario?» «Affare fatto», rispose Tindareo. «Allora», continuò Odisseo, «il mio consiglio è questo: insisti perché tutti i pretendenti di Elena si impegnino a difendere il suo promesso sposo contro chiunque si adonti per la sua buona sorte». Tindareo convenne che quella era un’ottima soluzione. Dopo aver sacrificato e fatto a pezzi un cavallo, pregò tutti i pretendenti di disporsi in cerchio attorno alle carni sanguinanti e di ripetere il giuramento formulato da Odisseo. La carne del cavallo fu poi bruciata in un punto che ancora si chiama «Tomba del Cavallo».
Non si sa se Tindareo stesso scelse il marito di Elena, oppure se essa indicò la propria preferenza cingendo con una corona il capo dell’eletto. Sposò comunque Menelao che divenne re di Sparta dopo la morte di Tindareo e la divinizzazione dei Dioscuri. Un triste fato tuttavia incombeva sul loro matrimonio: anni prima, mentre stava sacrificando agli dei, Tindareo si era stupidamente scordato di Afrodite che si vendicò giurando di rendere famose per i loro adulteri le tre figlie del re: Clitennestra, Timandra ed Elena. Menelao ebbe da Elena una figlia, che chiamò Ermione; i loro figli maschi furono Eziola, Marafio, da cui si vanta di discendere la famiglia persiana dei Marafioni, e Plistene. Una schiava etolica chiamata Pieride generò poi a Menelao due bastardi gemelli: Nicostrato e Megapente. Perché, ci si chiede, Zeus e Temi fecero scoppiare la guerra di Troia? Forse per rendere famosa Elena che aveva messo l’una contro l’altra Asia ed Europa? Oppure per esaltare la stirpe dei semidei e al tempo stesso decimare le tribù popolose che opprimevano la faccia della Madre Terra? Le ragioni che mossero gli dei rimarranno per sempre oscure, ma la decisione era già stata presa quando Eris gettò la mela d’oro con la scritta «Alla più bella» sul tavolo del banchetto alle nozze tra Peleo e Teti. Zeus Onnipotente si rifiutò di appianare la disputa sorta tra Era, Atena e Afrodite, e lasciò che Ermes guidasse le tre dee sul monte Ida, dove Paride figlio di Priamo avrebbe fatto da arbitro. Ora, poco prima della nascita di Paride, Ecuba sognò di generare una fascina di legna brulicante di serpenti e si destò gridando che la città di Troia e le foreste del monte Ida erano in fiamme. Priamo subito consultò Esaco, il figliolo suo veggente, che annunciò: «II bimbo che sta per nascere sarà la rovina della nostra patria! Ti supplico di liberartene!» Pochi giorni dopo Esaco profetizzò di nuovo: «Le principesse troiane che partoriranno oggi dovranno essere uccise, e così pure i loro figli!» E infatti Priamo uccise sua sorella Cilla e il di lei figlio Munippo, nato quella mattina da segrete nozze con Timete, e li seppellì nel sacro recinto di Troo. Anche Ecuba mise alla luce un bimbo prima del calar del sole, ma Priamo risparmiò le loro vite, benché Erofila, sacerdotessa di Apollo, e altri veggenti, supplicassero Ecuba di uccidere almeno il bambino. Essa non ne ebbe il coraggio e infine Priamo decise di mandare a chiamare uno dei suoi pastori, un certo Agelao, e di affidargli quel triste compito. Agelao, che aveva il cuore troppo tenero per usare la corda o la spada, abbandonò il bimbo sul monte Ida, dove fu allattato da un’orsa. Ritornato sul posto cinque giorni dopo, Agelao rimase di stucco alla vista di quel prodigio e portò con sé il bimbo in una borsa (di qui il nome di Paride) e lo allevò con il proprio figlio appena nato; presentò poi a Priamo la lingua di un cane come prova che i suoi ordini erano stati eseguiti; ma alcuni dicono che Ecuba pagò Agelao perché risparmiasse la vita di Paride e celasse la verità a Priamo.
II nobile sangue di Paride si palesò ben presto nella sua radiosa bellezza, nella sua intelligenza e nella sua forza eccezionale; ancora fanciullo mise in fuga una banda di razziatori e ricuperò le bestie che essi avevano rubate, meritandosi così il soprannome di Alessandro. Benché a quell’epoca egli fosse poco più che uno schiavo, divenne l’amante prediletto di Enone, figlia del fiume Eneo e Ninfa delle fonti. Rea le aveva insegnato l’arte della profezia e Apollo, mentre era mandriano di Laomedonte, l’aveva istruita nella scienza della medicina. Paride ed Enone, radunati i loro greggi, usavano cacciare assieme; egli incideva il nome della Ninfa sulle cortecce dei faggi e dei pioppi. Lo svago favorito di Paride consisteva nel far lottare i tori di Agelao l’uno contro l’altro; coronava poi il vincitore con dei fiori, e il perdente con della paglia. Quando uno di codesti tori cominciò a vincere con regolarità. Paride lanciò una sfida ai tori campioni delle mandrie vicine e tutti furono sconfitti. Infine Paride propose come premio una corona d’oro al toro che riuscisse a superare il suo; Ares allora, per capriccio, si tramutò in toro e riportò la vittoria. Paride senza esitare lo premiò con la corona promessa, e quel gesto piacque molto ad Ares e a tutti gli altri dei che stavano a guardare dall’Olimpo. Ecco perché Zeus lo scelse come arbitro nella contesa delle tre dee. Paride stava pascolando la sua mandria sul monte Gargare, la vetta più alta dell’Ida, quando Ermes, accompagnato da Era, Atena e Afrodite, gli consegnò la mela d’oro e il messaggio di Zeus: «Paride, poiché tu sei un giovane tanto bello quanto esperto negli affari di cuore. Zeus ti ordina di giudicare quale di queste dee è la più bella». Paride dubbioso prese la mela tra le mani. «Come potrebbe un semplice mandriano come me divenire arbitro della divina bellezza?» disse. «Dividerò la mela fra le tre dee.» «No, no», replicò ansioso Ermes, «non puoi disobbedire all’ordine dell’Onnipotente Zeus, ne io sono autorizzato a darti il mio consiglio. Fai buon uso della tua naturale intelligenza». «E così sia», sospirò Paride. «Ma prima vorrei pregare le perdenti di non serbarmi rancore. Sono soltanto un essere umano, in grado di commettere i più stupidi errori.» Le dee in coro promisero di rimettersi alle sue decisioni. «Basterà che io le giudichi così come sono», chiese Paride a Ermes, «oppure debbono essere nude?» «Tocca a te stabilire le regole della gara», rispose Ermes con un discreto sorriso. «In tal caso, vogliono acconsentire a spogliarsi?» Ermes disse alle dee di obbedire ed educatamente voltò loro la schiena. Afrodite fu subito pronta, ma Atena volle che ella si togliesse anche la famosa cintura magica che le dava lo sleale vantaggio di fare innamorare tutti di sé. «Benissimo», rispose Afrodite seccata, «io me la toglierò, ma a patto che tu ti liberi dell’elmo: sei orribile, senza». «Ora, se non vi dispiace», disse Paride, «vorrei esaminarvi a una a una, per non essere distratto dalle discussioni. Avvicinati, divina Era! E voi due, sarete gentili da lasciarci per qualche minuto?» «Esaminami coscienziosamente», disse Era girando piano piano su se stessa per mettere in luce la sua splendida figura, «e ricordati che se mi giudicherai la più bella farò di te il padrone dell’Asia e il più ricco dei viventi». «Io non mi lascio comprare, mia signora… Benissimo, grazie. Ho veduto quanto basta. Vieni avanti, divina Atena!» «Eccomi», rispose Atena avanzando con passo risoluto. «E tu ascoltami. Paride: se sarai tanto assennato da assegnarmi il premio, farò di te il più bello e il più saggio degli uomini, vincitore di tutte le battaglie.» «Sono un umile pastore, non un guerriero», disse Paride, «e tu stessa puoi vedere che la pace regna nella Lidia e nella Frigia, e che la sovranità di re Priamo è incontestata. Ma prometto di tenere in considerazione le tue legittime pretese alla mela. Ora puoi rivestirti e rimetterti l’elmo. È pronta Afrodite?» Afrodite gli scivolò accanto e Paride arrossì perché era tanto vicina che quasi i loro corpi si toccavano. «Guarda bene. Paride, e che nemmeno un particolare ti sfugga… Bada che appena ti vidi, dissi a me stessa: “Parola mia, questo è il più bei giovane dell’intera Frigia! Perché si è seppellito su una montagna badando a una stupida mandria?” Ebbene, perché caro Paride? perché non te ne vai in città per vivere una vita civile? Che ci perderesti a sposare Elena di Sparta, a esempio, che è bella quanto me e non meno ardente? Sono certa che, se ti vedesse, abbandonerebbe la sua casa e la sua famiglia, tutto insomma, per divenire la tua amante. Certo tu hai sentito parlare di Elena!» «Mai fino ad oggi, mia signora, e ti sarò grato se vorrai descrivermela.» «Elena è bionda e di carnagione delicata, poiché nacque da un uovo di cigno. Può vantarsi di avere Zeus come padre, ama la caccia e la lotta, provocò una guerra quando era ancora bambina e, raggiunta l’età da marito, fu chiesta in sposa da tutti i principi della Grecia. Ora è moglie di Menelao, fratello del gran re Agamennone; ma ciò non crea ostacoli, può essere tua se lo vorrai,» «Come è possibile, se è già sposata?» «O cielo! Quanta innocenza! Non hai mai saputo che è mio divino dovere sistemare questioni del genere? Ti consiglio di recarti in Grecia sotto la guida di mio figlio Eros. Non appena avrai raggiunto Sparta, egli farà in modo che Elena si innamori pazzamente di te.» «Puoi giurarmelo?» gridò Paride eccitato. Afrodite pronunciò un giuramento solenne e Paride, senza pensarci due volte, le consegnò la mela d’oro. Con questo suo giudizio si attirò l’odio insanabile di Era e di Atena, che si allontanarono a braccetto complottando la distruzione di Troia; mentre Afrodite, con un perfido sorriso, già pensava a come tenere fede alla sua promessa.
Poco tempo dopo, Priamo mandò i suoi servi a scegliere un toro nella mandria di Agelao. L’animale avrebbe dovuto essere assegnato in premio al vincitore dei giochi funebri che si celebravano ogni anno in onore del morto figlio del re. Quando i servi scelsero il toro campione. Paride provò l’irresistibile desiderio di partecipare ai giochi. Invano Agelao tentò di distoglierlo dal suo proposito: «Puoi continuare a far combattere i tori anche quassù. Che altro vuoi?» Ma Paride insistette e infine Agelao lo accompagnò a Troia. Era usanza troiana che, al termine del sesto giro di pista della corsa dei cocchi, i concorrenti alla gara di pugilato cominciassero a battersi dinanzi al trono. Paride decise di competere e, nonostante le suppliche di Agelao, balzò nell’arena e vinse la corona, più per coraggio che per abilità. Arrivò primo anche nella gara di corsa e la cosa esasperò i figli di Priamo che lo sfidarono di nuovo: e così vinse la terza corona. Vergognandosi per quella pubblica umiliazione, i principi pensarono allora di ucciderlo e posero una guardia armata a ogni uscita dello stadio, mentre Ettore e Deifobo attaccavano Paride con le loro spade. Paride si rifugiò sull’altare di Zeus e Agelao corse verso Priamo gridando: «Maestà, questo giovane è il figlio vostro che credevate perduto!» Priamo convocò subito Ecuba la quale, esaminato un sonaglio che Agelao aveva trovato nelle mani del bimbo abbandonato, confermò l’identità di Paride. Questi allora fu condotto trionfalmente al palazzo dove Priamo festeggiò il suo ritorno con un sontuoso banchetto e sacrifici agli dei. Tuttavia, non appena i sacerdoti di Apollo ebbero udito questa notizia, annunciarono che Paride doveva essere immediatamente condannato a morte, altrimenti Troia sarebbe stata distrutta. Il loro verdetto fu riferito a Priamo che rispose: «Perisca pure Troia, ma non il mio bel figliolo!» I fratelli di Paride che erano già sposati insistettero perché egli prendesse moglie; ma Paride rispose che Afrodite gli avrebbe scelto la sposa, e come al solito innalzava a lei ogni giorno le sue preghiere. Quando fu convocato un altro concilio per discutere della liberazione di Esione, dato che le offerte pacifiche erano state respinte dai Greci, Paride si offerse volontario per guidare la spedizione, se Priamo gli avesse allestito una flotta potente e ben munita. Aggiunse astutamente che, se non fosse riuscito a riprendersi Esione, forse avrebbe portato con sé una principessa greca sua pari per trattare il riscatto. Ma in cuor suo, naturalmente, egli aveva già deciso di recarsi a Sparta e di rapire Elena.Quello stesso giorno Menelao arrivò inaspettatamente a Troia e chiese di visitare le tombe di Lieo e di Chimere, figli di Prometeo e di Celeno l’Atlantide; disse che l’oracolo delfico gli aveva imposto di sacrificare sulle loro tombe per por fine alla pestilenza che faceva strage in Sparta. Paride si intrattenne con Menelao e gli chiese di essere purificato da lui a Sparta, poiché senza volerlo egli aveva ucciso Anteo, il giovane figlio di Antenore, con una spada da bambini. Quando Menelao acconsentì, Paride, per consiglio di Afrodite, ordinò a Fereclo, figlio di Tettone, di allestire la flotta promessagli da Priamo; la figura che ornava la prua della nave ammiraglia era un’Afrodite con un piccolo Eros tra le braccia. Il cugino di Paride, Enea, figlio di Anchise, acconsentì ad accompagnarlo. Cassandra, i capelli irti in capo, predisse la guerra che sarebbe nata da quel viaggio ed Eleno appoggiò le sue parole; ma Priamo non badò ai suoi figli profetici. Nemmeno Enone riuscì a dissuadere Paride benché egli piangesse al momento del congedo. «Ritorna da me semmai sarai ferito», gli disse Enone, «perché io sola saprò curarti.» Appena la flotta fu salpata, Afrodite fece alzare una brezza favorevole e Paride ben presto giunse a Sparta, dove Menelao festeggiò il suo arrivo per nove giorni. Durante il banchetto, Paride offrì a Elena i doni che le aveva portato da Troia; e i suoi sguardi infuocati, i suoi alti sospiri e i suoi arditi cenni la misero in grande imbarazzo. Preso tra le mani il calice di Elena, Paride se lo portò alle labbra dalla parte dove la regina aveva bevuto; arrivò a tracciare sulla tovaglia col dito intinto di vino le parole: «Ti amo, Elena!» Elena ebbe paura che Menelao la sospettasse di incoraggiare la passione di Paride; ma Menelao che era uomo poco osservatore partì per Creta, dove doveva partecipare alle esequie di suo nonno Catreo, e lasciò a Elena il compito di intrattenere gli ospiti e di governare in sua assenza.
Elena fuggì con Paride la sera stessa e gli fece dono di sé nel primo porto dove gettarono l’ancora, cioè nell’isola di Cranae. Sulla terraferma, di fronte a Cranae, sorge ora il tempio di Afrodite che Unisce, fondato da Paride per ricordare l’evento. Alcuni sostengono erroneamente che Elena rifiutò le proposte di Paride e che egli la rapì con la forza mentre partecipavano assieme a una partita di caccia; oppure in Sparta stessa; oppure assumendo, con l’aiuto di Afrodite, l’aspetto di Menelao. Elena abbandonò a Sparta la figlia Ermione di nove anni, ma portò via con sé il figlio Plistene, la maggior parte dei tesori di corte e oro per il valore di tre talenti dal tempio di Apollo; inoltre la accompagnarono cinque ancelle, tra le quali erano due ex regine, Etra, la madre di Teseo e Tisadia, sorella di Piritoo. Mentre la flotta troiana veleggiava verso Troia, una violenta tempesta suscitata da Era costrinse Paride a rifugiarsi a Cipro. Di lì egli fece vela per Sidone e ivi fu accolto dal re; ma Paride, ormai esperto degli usi del mondo greco, assassinò e derubò a tradimento il suo ospite nella sala dei banchetti. Mentre il ricco bottino veniva imbarcato sulle navi, un gruppo di Sidoni attaccò i Troiani; questi li respinsero, e dopo aspra lotta che costò loro la perdita di due navi, presero il largo. Temendo di essere inseguito da Menelao, Paride si attardò per molti mesi in Fenicia, a Cipro e in Egitto; poi, raggiunta infine Troia, celebrò le sue nozze con Elena. I Troiani accolsero Elena con entusiasmo, rapiti da tanta bellezza. Un giorno, trovato sulla cittadella di Troia un sasso che stillava sangue se lo si soffregava contro un altro, Elena riconobbe in esso un potente afrodisiaco e lo usò per tener desta la passione di Paride. Non soltanto: tutta Troia si innamorò di lei e Priamo giurò di non lasciarla mai più ripartire.
Secondo una versione del tutto diversa, Ermes rapì Elena per ordine di Zeus e la affidò a re Proteo d’Egitto; frattanto un fantasma di Elena, fabbricato da Era (o secondo altri, da Proteo) con una nuvola, fu mandato a Troia con Paride, al solo scopo di provocare la guerra. I sacerdoti egiziani affermano, e la loro ipotesi è altrettanto improbabile, che la flotta troiana fu spinta fuori rotta dai venti contrari e che Paride approdò alla Pianura Salata, presso la bocca canopica del Nilo. Là sorge un tempio di Eracle, asilo per gli schiavi fuggiaschi che quando vi giungono si offrono al dio e ricevono certe sacre impronte sul loro corpo. I servi di Paride vi si rifugiarono e, dopo essersi assicurata la protezione dei sacerdoti, accusarono il padrone d’aver rapito Elena. La notizia fu portata a conoscenza di re Proteo a Menti e il re fece arrestare Paride e ordinò che glielo portassero dinanzi, con Elena e il tesoro rubato. Dopo un severo interrogatorio. Proteo scacciò Paride ma trattenne in Egitto Elena e il tesoro, in attesa che Menelao venisse a riprenderseli. In Menti sorge il tempio di Afrodite la Straniera, che si dice sia stato consacrato da Elena stessa. Elena generò a Paride tre figli, Bunomo, Agano e Ideo, morti tutti e tre ancora bambini, a Troia, per il crollo di un tetto; e una figlia, chiamata anch’essa Elena. Paride aveva avuto da Enone un figlio maggiore, di nome Corito; ed Enone, gelosa di Elena, lo mandò tra i Greci perché li guidasse contro Troia.
ll mito di Elena, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
La puntata del 1 settembre 2019 di Mitologia Express. Il sommario: “La puntata odierna di Mitologia Express va in onda dall’isola di Serifos, nelle Cicladi. Su questa isola approdò la madre di Perseo con il suo piccolo figlio appena nato. Oggi vi narreremo, affacciati alla “Finestra delle meraviglie”, la nostra rubrica dedicata ai più piccini, alcuni episodi tratti dal mito di questo grande eroe che volava sopra il mondo in groppa a Pegaso, il cavallo alato. In seguito, scenderemo nell’antro della Pizia per una carrellata su film e siti internet…per chi ha voglia di approfondire la propria cultura mitologica.”
Care amiche, Cari amici, Andreas Barella (una delle tre Muse), assieme a Loriana Sertoni, ha condotto la prima stagione di MITOLOGIA EXPRESS, in onda su RETE UNO della Radio Svizzera di lingua italiana (RSI). Ogni settimana i nostri due esploratori mitologici hanno scoperto un nuovo luogo intrigante sulla mappa fantastica del mondo del mito: la biblioteca perduta di Alessandria, la grotta del Ciclope Polifemo, il palazzo di Cnosso a Creta… Per spostarsi da un luogo all’altro, Loriana e Andreas hanno viaggiato sul Mitologia Express, uno stupendo convoglio a vapore che percorre le rotaie della fantasia, della curiosità e dell’esplorazione in un ambito tanto importante e tanto amato dagli esseri umani: quello della mitologia. Si è trattato, nelle parole di Andreas, della “realizzazione di un sogno che da tanti anni accarezzavo: quello di scrivere una trasmissione che rendesse leggere e fruibili da tutte le persone le ricche e variegate storie della mitologia greca.” A noi pare che l’esperimento sia pienamente riuscito.
Partite con loro e lasciatevi allettare dalle ricche rubriche. “Il mito quotidiano”: un racconto tratto dal mito greco e commentato da Andreas Barella. “L’antro della Pizia”: la rubrica di domande e risposte. “La finestra delle meraviglie”: il racconto di un mito in una versione pensata espressamente per le ascoltatrici e gli ascoltatori più giovani. Interpretato da Loriana Sertoni. “Il Dizionario mitologico”: gli dèi e le dee dalla A alla Z.
La undicesima e ultima puntata (per il 2019) di Mitologia Express è andata in onda il 1 settembre 2019 e ha come protagonista il mito di Perseo e la Gorgone. Ascolta la trasmissione.
La puntata del 25 agosto 2019 di Mitologia Express. Il sommario: “Cominceremo oggi con “Il mito quotidiano”, che ci narra la storia della ninfa Eco e di Narciso il giovane bellissimo che amava solo sé stesso. Ascolteremo questo mito nella versione che Ovidio ci ha donato nelle sue Metamorfosi. In seguito, vi presenteremo una nuova voce del nostro Dizionario Mitologico: oggi parleremo di Zeus, il re dell’Olimpo.”
Care amiche, Cari amici, Andreas Barella (una delle tre Muse), assieme a Loriana Sertoni, ha condotto la prima stagione di MITOLOGIA EXPRESS, in onda su RETE UNO della Radio Svizzera di lingua italiana (RSI). Ogni settimana i nostri due esploratori mitologici hanno scoperto un nuovo luogo intrigante sulla mappa fantastica del mondo del mito: la biblioteca perduta di Alessandria, la grotta del Ciclope Polifemo, il palazzo di Cnosso a Creta… Per spostarsi da un luogo all’altro, Loriana e Andreas hanno viaggiato sul Mitologia Express, uno stupendo convoglio a vapore che percorre le rotaie della fantasia, della curiosità e dell’esplorazione in un ambito tanto importante e tanto amato dagli esseri umani: quello della mitologia. Si è trattato, nelle parole di Andreas, della “realizzazione di un sogno che da tanti anni accarezzavo: quello di scrivere una trasmissione che rendesse leggere e fruibili da tutte le persone le ricche e variegate storie della mitologia greca.” A noi pare che l’esperimento sia pienamente riuscito.
Partite con loro e lasciatevi allettare dalle ricche rubriche. “Il mito quotidiano”: un racconto tratto dal mito greco e commentato da Andreas Barella. “L’antro della Pizia”: la rubrica di domande e risposte. “La finestra delle meraviglie”: il racconto di un mito in una versione pensata espressamente per le ascoltatrici e gli ascoltatori più giovani. Interpretato da Loriana Sertoni. “Il Dizionario mitologico”: gli dèi e le dee dalla A alla Z.
La decima puntata di Mitologia Express è andata in onda il 25 agosto 2019 e ha come protagonista il mito di Narciso ed Eco e ci illustra vita e gesta del re degli dèi, il potente Zeus. Ascolta la trasmissione.
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