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Due saggi maestri: il Centauro Chirone e la Maga Circe

Due saggi maestri: il Centauro Chirone e la Maga Circe

La Voce delle Muse è spesso attiva nelle scuole con insegnanti e ragazzi (qui tutti i dettagli del nostro lavoro nelle scuole). Andreas Barella, una delle Muse, ha pubblicato qualche anno fa un volume sul lavoro scolastico con la mitologia. Il libro si intitola “Adolescenza, il Giardino Nascosto”. Eccone un estratto dedicato a tutti i docenti che ci leggono! Maggiori dettagli sul libro li trovate sul sito della Casa Editrice Ericlea, dove potete anche ordinare il volume.

I docenti e il loro ruolo mitologico – Nell’antichità l’educazione dei giovani di famiglia altolocata (ma spesso il mito situa in questa categoria le persone che hanno un valore intrinseco, interiore e psichico, e non solo quelle nate da un alto lignaggio) è affidato a persone di prestigio. Un esempio illustre è l’educazione di Achille. L’eroe della guerra di Troia, abbandonato dalla madre, viene affidato dal padre al centauro Chirone.

Altri personaggi sono altrettanto ricchi, per esempio il ruolo delle sacerdotesse della magia femminile che insegnano i loro segreti alle persone che amano (Medea con Giasone, Arianna con Teseo e soprattutto Circe con Ulisse), oppure i molti insegnamenti divini che gli esseri umani colgono come eccezionali occasioni di crescita.

Il centauro ha la peculiarità di occuparsi a tempo pieno della educazione dei giovani, è la sua attività principale. Per questo motivo Chirone è la prima figura mitologica che vorrei assurgere a simbolo del ruolo di docente all’interno del percorso di crescita degli adolescenti. La figura del centauro ha la ricchezza della ambivalenza di cui abbiamo parlato a lungo nei capitoli precedenti e che contraddistingue il mondo adolescenziale.

Chirone è una figura di natura doppia, a metà strada tra bestia ed essere umano. Il suo corpo è di cavallo, mentre il busto e la testa sono umani. Esso ha un temperamento selvaggio e aggressivo, ma sa dimostrarsi anche benevolo e ospitale. Un po’ come la nostra società dei consumi: sa essere aggressiva, ma sa anche come prendersi cura dei suoi membri. E come l’adolescenza ha questa capacità di essere una cosa e anche il suo esatto contrario. È uno straordinario maestro di caccia (colui che dà la morte) ma anche uno scienziato che conosce a menadito la medicina (colui che dona e mantiene la vita). Si tratta di un essere intermedio tra natura e cultura. È il più saggio e il più sapiente tra tutti i Centauri, ed è immortale. Il suo insegnamento è basato sulla musica, sull’arte della guerra e della caccia, sulla morale e sulla medicina.

Il centauro offre ai giovani a lui affidati ciò che nessun essere umano potrebbe dar loro: trasforma infanzia e adolescenza in un incantesimo silvestre che annulla qualsiasi distanza tra natura e cultura. Non insegna ai suoi allievi le complesse regole della caccia nelle selve, fa di loro, come Achille, dei corridori dei boschi che non si servono di trappole né di armi. Il centauro confonde le categorie e la sua scienza non viene trasmessa attraverso l’insegnamento, egli esercita sui fanciulli a lui affidati un’imposizione dei suoi doni che li trasforma mediante una sorta di modificazione strutturale della loro personalità. La storia del centauro costituisce una versione mitologica dell’iniziazione.

È proprio questo il primo augurio che porgo ai docenti: quello di essere partecipi come il centauro all’insegnamento che donano ai ragazzi. Sono naturalmente cosciente che la vita quotidiana dell’insegnamento è ricca di molti aspetti burocratici e strutturali che hanno la tendenza a soffocare la personalità degli insegnanti, ma perché non arricchire la propria visione di se stessi con queste immagini? Trasmetterli agli allievi, vivere la materia che si insegna e renderla squillante per i giovani è una sfida che dovrebbe sempre capeggiare nella mente e nella programmazione degli insegnanti. Perché è questo compito che rende vivi, nella mia esperienza, i docenti, la materia e gli allievi stessi.

Anche la maga Circe che compare nel Canto X dell’Odissea (e maga sta per sacerdotessa che conosce le arti segrete della natura) è una straordinaria insegnante. Il suo modo di istruire è diverso, almeno all’inizio, da quello di Chirone, in quanto per imparare da lei bisogna riconoscere il suo potere e la sua diversità, senza averne paura. Cosa che i marinai di Ulisse non riescono a fare, e vengono tramutati in porci. Ulisse, con l’aiuto di Ermes, diviene immune alla magia trasformativa di Circe e può, una volta tenutane a bada la pericolosità, impararne i segreti. Di nuovo, come con Chirone, si tratta di insegnamenti che vengono impartiti grazie all’esperienza, al vivere a stretto contatto l’una con l’altro e sono segreti e insegnamenti legati al mondo naturale e istintivo. In questo regno si imparano i segreti che permettono poi di vivere e regnare anche nel mondo della ragione.

È questo il grande segreto che i due prototipi degli insegnanti ci comunicano. Proprio con questa mentalità si può e si deve affrontare il lavoro di docente. La messa in scena rituale che andiamo a presentare nella seconda parte è un esempio di come sia possibile farlo. Lo svolgimento di questo tipo di attività può essere facilmente programmato all’interno delle ore scolastiche che le scuole medie riservano alla conoscenza e allo studio della mitologia. E che le scuole superiori dedicano allo studio della filosofia. Si tratta di un’ottima occasione per rendere naturali e vive le storie che lette nell’antologia scolastica suonano vecchie e noiose. È l’occasione per le docenti e i docenti di diventare un po’ Chirone e un po’ Circe e trasportare gli studenti da un mondo interamente fattuale e nozionistico in un mondo fatato, in un incantesimo che diminuisce le distanze tra mondo mentale, mondo emotivo e mondo fisico, ricreando quella atmosfera silvana e boschiva in cui Circe e Chirone formano i futuri Re, i futuri Eroi e le future Eroine, le future Maghe.

Tratto da: Andreas Barella, Adolescenza, il Giardino Nascosto, Ericlea, 2010. Maggiori dettagli sul libro e possibilità di ordinarlo in formato cartaceo o e-book.

Le Muse a Rete UNO a parlare della Maga Circe

Le Muse a Rete UNO a parlare della Maga Circe

Andreas Barella, una delle tre Muse de La Voce delle Muse, è stato invitato da Rossana Maspero alla Radio Svizzera di Lingua Italiana (RSI) e ha partecipato al Millevoci del 9 ottobre 2017 dal titolo Il tempo della seduzione. Visto che durante la trasmissione Andreas ha citato l’Odissea e soprattutto la Maga Circe, mettiamo qua il podcast della trasmissione. Ecco la presentazione dal sito RSI: “Sedurre chi si desidera per amore o attrazione; sedurre un cliente per vendergli un prodotto reale o virtuale; sedurre un cittadino per aver il consenso, ma anche sedurre uno spettatore, un lettore, un allievo per attirare l’attenzione. Ma di cosa parliamo quando parliamo di seduzione? Andreas Barella, psicoterapeuta e studioso di mitologia ne discute con Amalia Mirante, economista e attiva sulle tematiche di genere e Maria Rosaria Valentini, scrittrice.” Qui potete ascoltare la trasmissione.

Recensione a “Il mio nome è Nessuno” di Valerio Massimo Manfredi

Recensione a “Il mio nome è Nessuno” di Valerio Massimo Manfredi

Un’amante della mitologia come me non poteva lasciarsi sfuggire il romanzo “Il mio nome è Nessuno – Il ritorno” di Valerio Massimo Manfredi, uscito per Mondadori un anno dopo la prima parte di questo dittico romanzesco, intitolata “Il mio nome è Nessuno – Il giuramento”. Se nel primo volume Manfredi ripercorre le esperienze di Ulisse a partire dall’infanzia e fino alla fine della guerra di Troia, nel secondo narra invece il viaggio di ritorno del re di Itaca da Troia fino alla sua isola. Viaggio che, come noto, dura dieci anni e contempla numerose e svariate avventure. Non riassumerò la vicenda, ai più nota, ma volevo spendere alcune parole sull’esperimento di Manfredi di rinarrare il mito di Ulisse-Odisseo.

Manfredi fa quello che ogni lettore dell’Odissea (e dell’Iliade) fa nella sua testa e nel suo cuore quando si immerge davvero nei testi di Omero: costella nella sua esperienza personale gli archetipi che le due epiche contengono e fanno danzare nella psiche di chi le ascolta (o legge). Manfredi lo fa nel suo modo personale: come già in altri suoi romanzi, per dare un tocco esotico alle vicende cambia leggermente i nomi dei personaggi (Kirke invece di Circe, Odysseo invece di Odisseo, e così via) e intesse la vicenda di Ulisse con quelle di altri personaggi di suoi romanzi (Diomede, per esempio, o il destino del Palladio). E soprattutto, colma il racconto con quello che possiamo definire l’”inchiostro bianco”, vale a dire quelle parti che il lettore immagina, gli spazi vuoti tra una frase e l’altra, le frasi non dette, i sentimenti non espressi, i dubbi che restano tali nella mente dei personaggi e del lettore. Come è giusto che sia, Manfredi spiega, interpreta, aggiunge pensieri e interpretazioni e dolori espressi dalla voce in prima persona di Ulisse. A volte suggerisce interpretazioni interessanti, e si ha la percezione che l’Ulisse che parla tramite Manfredi, parli la voce del ventunesimo secolo ed esprima dubbi e paure proprie del nostro tempo. Quando questo accade la lettura si fa interessante e ricca di spunti sui quali riflettere. A volte quando invece Manfredi tenta di descrivere dubbi e problemi che immagina dei greci antichi, e lo fa usando un linguaggio che scimmiotta un po’ quello di Omero, ecco che, secondo me, la voce di Manfredi si fa meno interessante. Anche la lunga parte finale, in cui l’Autore descrive l’ultimo viaggio di Ulisse (non quello dantesco descritto nella Divina Commedia!), viaggio profetizzato da Tiresia e in cui Ulisse dovrà andare alla ricerca del perdono da parte di Poseidone, sembra più un’epica da fumetto americano con il protagonista preda di dubbi esistenziali, che un’epopea mitologica.

Se la mitologia adempie al suo scopo, parla ai lettori-ascoltatori di cose importanti per loro, nel momento in cui vengono lette e lasciate danzare nella psiche. Il compito del mito è proprio questo: rimanere vago e interpretabile per continuare a sussurrare quello che la nostra interiorità ha bisogno di sentire e di elaborare. E deve farlo in modo ricco e pieno di significati simbolici assodati e che hanno funzionato per generazioni di esseri umani. Per questo motivo, il libro di Manfredi è parziale e ci racconta UNA versione, UNA visione del ricco mondo omerico. Al lettore giudicare se vale la pena affidarsi all’interpretazione di una persona singola o se affidarsi al ricco e simbolico linguaggio di Omero, e colmare personalmente gli spazi lacunosi della vicenda, soffrendo in modo personale e per motivi diversi quando Ulisse piange ma non spiega perché. Io ho letto volentieri il libro di Manfredi, come se fosse (e lo è) una variante su di un tema conosciuto, che è l’opera di Omero in versione originale. Se però non avete mai letto l’Odissea e pensate di approcciarvi al poema che è alla base della nostra cultura e civiltà, allora il mio suggerimento è quello di cominciare dall’originale. Per esempio nella leggibilissima versione in prosa a cura di Maria Grazia Ciani ed edito da Marsilio. Buona scoperta o riscoperta delle avventure di Ulisse, l’uomo dalla mente colorata.

Andreas

Manfredi, Valerio Massimo.  Il mio nome è Nessuno – Il Ritorno.  Milano: Mondadori, 2013.
Omero.  Odissea.  A cura di Maria Grazia Ciani.  Venezia: Marsilio, 1994.
Manfredi, Valerio Massimo.  Il mio nome è Nessuno – La Promessa.  Milano: Mondadori, 2012.

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