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Le Empuse e le Lamie

Le Empuse e le Lamie

I sozzi demoni chiamati Empuse, figlie di Ecate, hanno natiche d’asino e calzano pianelle di bronzo, a meno che, come taluni vogliono, esse abbiano una gamba di asino e una gamba di bronzo. È loro costume terrorizzare i viandanti, ma si può scacciarle prorompendo in insulti, poiché all’udirli esse fuggono con alte strida. Le Empuse assumono l’aspetto di cagne, di vacche o di belle fanciulle e, in quest’ultima forma, si giacciono con gli uomini la notte o durante la siesta pomeridiana, e succhiano le loro forze vitali portandoli alla morte. Le Empuse («che si introducono a forza») erano demoni femminili smaniosi di sedurre gli uomini: una concezione probabilmente giunta in Grecia dalla Palestina, dove tali demoni portavano il nome di Lilim («figlie di Lilith») e venivano raffigurate con le natiche d’asino, poiché l’asino simboleggiava la crudeltà e la lussuria. Lilith («civetta») era l’Ecate cananea e gli Ebrei, fino al Medio Evo, portarono amuleti per proteggersi dai suoi attacchi. Ecate, la vera padrona del Tartaro, calzava un sandalo di bronzo (i sandali d’oro erano prerogativa di Afrodite) e le sue figlie, le Empuse, ne seguirono l’esempio. Si potevano trasformare in cagne, in vacche o in belle fanciulle poiché la Cagna Ecate, essendo uno dei membri della triade lunare, si identificava con Afrodite e con Era dagli occhi bovini. Anche le Empuse, come le Lamie, possono venire considerate una sorta di vampiro ante litteram in quanto si nutrivano di sangue e carne umana. Per questo motivo, anche la mantide religiosa, che uccide il maschio dopo l’accoppiamento, porta il nome scientifico di “empusa”

Le lamie erano figure femminili in parte umane e in parte animali, rapitrici di bambini o fantasmi seduttori che adescavano giovani uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne. Nel medioevo il termine venne usato come sinonimo di strega. L’origine di questa figura va probabilmente ricercata nell’archetipo della dea della notte o dea-uccello, dal quale originarono Ištar, Atargatis e Atena. La connessione con la notte (per associazione: magia, soprannaturale, mistero, ma anche morte, fenomeni inspiegabili e così via) spiega, almeno in parte, l’ambivalenza dei sentimenti nei confronti della lamia. Altro elemento da tener presente è il processo di autentica demonizzazione o mistificazione subito da numerose figure di divinità o semi-divinità antiche, in specie dalla fine del mondo classico in poi. In altri termini, non è da escludere che qualcosa di analogo abbia preso forma anche a proposito della lamia, determinando nella cultura popolare una serie di credenze e precauzioni superstiziose da prendere per difendersi da essa. L’idea della bellezza legata a un collocarsi, da parte di questa figura, al di fuori delle leggi morali, quella del sale come mezzo capace di uccidere la lamia, richiamano molte credenze relative alle cosiddette streghe. Ad esempio, ve n’era una secondo cui bisognava cospargere le panche della chiesa di sale grosso: quelle streghe che, nascondendo la propria vera natura si fossero sedute fingendo di presenziare alla cerimonia religiosa, sarebbero inevitabilmente rimaste attaccate alle panche.

Insomma: strega, lamia/vampiro, empusa e altre creature soprannaturali (o a metà tra il naturale e il divino) sono ampiamente presenti nella cultura occidentale, avendo resistito ai mutamenti religiosi, non solo, discendono, probabilmente, da uno stesso immaginario, e si collocano nello stesso ambito spirituale (quello di dea collegata alla notte, appunto).

La figura delle Empuse, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Odisseo a Rete Due

Odisseo a Rete Due

L’indimenticato Bekim Fehmiu nel ruolo di Odisseo nello sceneggiato RAI degli anni 70

RIPRENDIAMO LA PRESENTAZIONE DEL RADIODRAMMA (andato in onda da lunedì 21 novembre a giovedì 22 dicembre 2022) DIRETTAMENTE DAL SITO DI RETE DUE.

L’opera di Omero, archetipo di tutti i racconti di viaggio, racconta la storia antica della Grecia. Nel radiodramma di 24 puntate, tante quanti sono i canti originali di Omero, Marco Colli ha cercato di cogliere in quei racconti popolari le radici di un’epoca segnata dalle guerre. Forte di una lunga frequentazione di miti e storia antica della Grecia, ha affrontato un mostro sacro come l’Odissea, riscrivendo i versi di Omero per gli ascoltatori, affinché potessero vivere le atmosfere di quei giorni lontani, approfittando del potere immaginifico del mezzo radiofonico. I remi delle navi che si immergono nei flutti, i sibili delle frecce, le grida dei feriti durante le battaglie, sono state ricostruite dal maestro del suono Yuri Ruspini nel solco di una tradizione fantasy che attirerà l’attenzione degli ascoltatori contemporanei. La radio come una macchina del tempo, attraverso la poesia di Omero ci mostrerà la vita degli Dei e l’anima degli Uomini.

Nel settimo secolo avanti Cristo, in Grecia si verificò un grande sconvolgimento sociale che determinò la decadenza delle monarchie e portò in alto i tiranni. Questi, dopo aver blandito le forze popolari, presero con la prepotenza il potere. Questo fu il tempo dei tiranni, la guerra di Troia uno di questi racconti infiniti.

Dieci anni durò l’assedio, gli schieramenti che si formarono videro tra le loro fila opposti ai greci i troiani. Si videro scendere in campo grandi guerrieri, eroi, semidei. Tra gli eroi degli elleni primeggiarono Nestore, il vecchio re di Pilo domatore di cavalli, Menelao, il ricchissimo signore di Sparta e marito della bella Elena, Aiace, Diomede e il coraggioso Achille, piè veloce. Fra i troiani si distinse Ettore, protetto da Zeus. Tra i valorosi troiani anche Admeto, Adrasto, Enea, infallibile con l’arco e amico del Dio Apollo. Durò dieci anni l’assedio, infine il tranello di Odisseo: il cavallo di legno, lasciato sulla spiaggia carico di guerrieri armati e pronti a combattere, dette i suoi frutti. I greci dilagarono nottetempo nelle strade di Troia, seminando la morte tra i nemici. Così gli eroi espugnarono la città per poi darle fuoco. Quello fu il giorno in cui ebbe inizio “Il ritorno di Odisseo” verso Itaca, dove la tirannia dei Proci, guidati da Antinoo, minacciava il suo trono.

Il ritorno di Odisseo – Originale radiofonico di Marco Colli – Colpo di scena – RETE DUE della RSI (Radio Svizzera Italiana). Con Giuseppe Palasciano (Odisseo), Patrizia Salmoiraghi e Diego Pitruzzella (narratori) e con Anahì Traversi (Atena), Augusto di Bono (Zeus), Margherita Coldesina (Penelope) Luca Maciacchini (Eurimaco), Camilla Parini (Calipso), Valentino Mannias (Ermes), Dario Sansalone (Alcinoo), Jasmine Laurenti (Circe), Riccardo Buffonini (Telemaco), Claudio Moneta (Antinoo) e con Roberto Regazzoni, Marco Cortesi, Giorgio Bonino, Tatiana Winteler Tommaso Giacopini, Simone Visparelli.
Musiche di Lamberto Macchi.
Presa del suono, editing e sonorizzazione Yuri Ruspini.
Regia Marco Colli

ASCOLTA SUL SITO DI RETE DUE-RSI

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I vari miti sulle creature del mare

I vari miti sulle creature del mare

Le cinquanta Nereidi, gentili e benefiche assistenti della dea del mare Teti, sono sirene, figlie della Ninfa Doride e di Nereo, un profetico vecchio marino, che ha il potere della metamorfosi. Pare che le cinquanta Nereidi fossero un collegio di cinquanta sacerdotesse della Luna, i cui magici riti assicuravano pesca abbondante. I Forcidi, loro cugini, figli di Ceto e di Forcio, un altro saggio vecchio del mare, sono Ladone, Echidna e le tre Gorgoni che abitano in Libia; le tre Graie; e, secondo taluni, anche le tre Esperidi.

Le Gorgoni si chiamavano Stimo, Furiale e Medusa, un tempo tutte e tre bellissime. Ma una notte Medusa si giacque con Poseidone, e Atena, infuriata perché si erano accoppiati in uno dei suoi templi, tramutò la Gorgone in un mostro alato con occhi fiammeggianti, denti lunghissimi dai quali sporgeva la lingua, unghielli di bronzo e capelli di serpenti: il suo sguardo faceva impietrire gli uomini. Quando, più tardi, Perseo decapitò Medusa, e i figli di Poseidone, Crisaore e Pegaso, balzarono fuori dal suo cadavere, Atena ne applicò la testa alla sua egida; ma altri dicono che quell’egida fu fatta con la pelle di Medusa, che Atena le strappò di dosso. Le Gorgoni rappresentavano la triplice dea e portavano maschere profilattiche, con occhi fiammeggianti e la lingua che sporgeva fra i denti lunghissimi, per spaventare gli estranei e allontanarli dai loro misteri. Gli omeridi conoscevano soltanto una Gorgone che vagava come ombra nel Tartaro (Odissea XI 633-35) e la cui testa, che terrorizzò Odisseo (Odissea XI 634), spiccava sull’egida di Atena, indubbiamente per ammonire la gente a non volere scrutare nei divini misteri nascosti dietro l’egida stessa. I fornai greci usavano dipingere una testa di Gorgone sui loro forni per impedire ai curiosi di aprire lo sportello, rischiando così di rovinare il pane in cottura con un soffio improvviso di aria fresca.

Crisaore era il segno del primo quarto di luna di Demetra, cioè del falcetto d’oro; le compagne della dea lo reggevano in mano quando lo rappresentavano nelle cerimonie. Atena, in questa versione, è la collaboratrice di Zeus, rinata dalla sua testa, e traditrice dell’antica religione. Le tre Arpie, considerate da Omero come personificazione dei venti di tempesta (Odissea XX 66-78), rappresentavano la Alena primitiva, cioè la triplice dea nella sua veste di distruggitrice. Tali erano anche le Graie o le Grigie, come dimostrano i loro nomi Enio («guerresca»), Penfredo («vespa») e Dino («terribile»); la leggenda del loro unico occhio e del loro unico dente deriva dalla interpretazione erronea di qualche dipinto sacro e il cigno nella mitologia europea è l’uccello della morte.

I nomi delle Gorgoni, Steno («forte») Euriale («ampio-vagante») e Medusa («astuta»), sono appellativi della dea-Luna. Gli orfici chiamavano «testa di Medusa» la faccia della luna. Le Graie sono bianche di carnagione e simili a cigni, ma con i capelli grigi fin dalla nascita e un solo dente e un solo occhio in comune. Si chiamano Enio, Penfredo e Dino.

Le tre Esperidi, chiamate Espera, Egle ed Eriteide, vivono nel lontano Occidente, nel giardino che la Madre Terra donò a Era. Taluni le dicono figlie della Notte, altri di Atlante e di Esperide, figlia di Espero; esse cantano dolcemente. I nomi delle Esperidi, descritte come figlie di Ceto e Forco, o della Notte o di Atlante il Titano che regge il cielo nell’estremo Occidente, si riferiscono al tramonto. A quell’ora il cielo si tinge di verde, di giallo e di rosso e ricorda un albero di mele carico di frutti; e il Sole, tagliato dalla linea dell’orizzonte come una mela purpurea, cala verso la morte nelle onde dell’Occidente. Quando il sole è tramontato appare Espero. Questa stella era sacra alla dea dell’amore Afrodite. Se si dimezza trasversalmente una mela, si può vedere in ogni metà una stella a cinque punte.

Echidna era per metà una bellissima donna, per metà un serpente dalla pelle maculata. Viveva un tempo in una grotta profonda tra gli Arimi; mangiava uomini crudi e procreò mostri orrendi a suo marito Tifone; ma Argo dai cento occhi la uccise nel sonno. Echidna generò orrendi figli a Tifone, e cioè Cerbero, il cane infernale a tre teste; l’Idra, serpente acquatico dalle molte teste che viveva a Lerna; la Chimera, capra che sputava fiamme, con la testa di leone e la coda di serpente; e Orione, il cane a due teste di Gerione, che si giacque con la propria madre e generò in lei la Sfinge e il Leone Nemeo.

 

I vari miti sulle creature del mare, riassunti dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Il mito di Tiche e il mito di Nemesi

Il mito di Tiche e il mito di Nemesi

Tiche è la figlia di Zeus ed egli le diede il potere di decidere quale sarà la sorte di questo o quel mortale. A taluni essa concede i doni contenuti nella cornucopia, ad altri nega persino il necessario. Tiche è irresponsabile delle sue decisioni e corre qua e là facendo rimbalzare una palla per dimostrare che la sorte è cosa incerta. Ma se capita che un uomo, che essa abbia favorito, si vanti delle sue ricchezze né mai ne sacrifichi parte agli dèi, né se ne serva per alleviare le pene dei suoi concittadini, ecco che l’antica dea Nemesi si fa avanti per umiliarlo. Nemesi, che abita a Ramnunte in Attica, porta un ramo di melo in una mano e una ruota nell’altra, e in capo una corona adorna di cervi; uno scudiscio pende dalla sua cintura. Essa è figlia dell’Oceano e la sua bellezza è paragonabile a quella di Afrodite. Taluni dicono che Zeus un giorno si innamorò di Nemesi e la inseguì per terra e per mare. Benché essa mutasse continuamente forma, egli riuscì infine a violarla assumendo l’aspetto di un cigno, e dall’uovo che Nemesi depose nacque Elena, causa della guerra di Troia.

Tiche («fortuna») come Diche ed Edo (personificazioni della Legge Naturale o Giustizia, e della Vergogna) è una divinità artificiale inventata dai primi filosofi. Nemesi («debita esecuzione») era stata la dea-Ninfa della Morte e della Vita, cui gli stessi filosofi diedero un nuovo aspetto affidandole un controllo morale su Tiche. La ruota di Tiche rappresentava in origine l’anno solare come indica il suo nome latino. Fortuna (da vortumna, «colei che fa volgere l’anno»). Quando la ruota aveva compiuto mezzo giro, il re sacro, raggiunto l’apice della sua buona sorte, doveva morire (e il suo destino era preannunciato dai cervi di Atteone presenti nella corona di Nemesi), ma quando la ruota aveva compiuto l’intero giro, il re si vendicava del rivale che l’aveva soppiantato. Lo scudiscio era usato nei tempi antichi per la flagellazione sacra, che aveva lo scopo di far fruttificare gli alberi e maturare le messi, mentre il ramo di melo era il lasciapassare del re per i Campi Elisi. La Nemesi che Zeus inseguì non era la personificazione filosofica della giustizia degli dèi, ma la dea-Ninfa originaria, il cui nome più comunemente usato fu Leda.

Nel mito pre-ellenico, è la dea che insegue il divino paredro e, benché questi si sottoponga alle trasformazioni stagionali, essa si trasforma a sua volta e infine lo divora al solstizio d’estate. Nel mito ellenico le parti sono rovesciate: la dea fugge, muta d’aspetto, ma il re la insegue e infine la viola, come nella leggenda di Zeus e di Meti o di Peleo e Teti. Probabilmente queste trasformazioni rituali erano indicate sui raggi della ruota di Nemesi; ma nelle Ciprie omeriche si parla soltanto di un pesce e di «vari animali». «Leda» è un’altra forma di Latona (in greco Letò), che fu inseguita da Pitone, e non da Zeus. I cigni erano sacri alla dea (Euripide, Ifigenia in Tauride) sia per le loro bianche piume, sia per la loro formazione di volo a V, che è un simbolo femminile, sia perché, a mezza estate, si dirigono a nord per accoppiarsi in terre ignote e si pensò che portassero con sé l’anima del re defunto. La Nemesi dei filosofi era onorata a Ramnunte dove, secondo Pausania (I 33 2-3) il comandante in capo dei Persiani, che si preparava a innalzare un trofeo marmoreo per celebrare la sua conquista dell’Attica, fu costretto a ritirarsi quando gli giunse notizia della sconfitta navale di Salamina; il marmo fu allora usato per farne una statua della dea-Ninfa locale. Nemesi. Si suppone che da quel giorno in poi tale dea-Ninfa divenne la personificazione della «Vendetta Divina» anziché della «debita esecuzione» dell’annuale dramma di morte. Dai tempi di Omero in poi, invece, nemesis aveva significato quel caldo sentimento umano che suggerisce di pagare ciò che si deve e di portare a termine il proprio compito. Ma Nemesi, la dea-Ninfa, aveva l’appellativo di Adrastea («ineluttabile»: Strabone, XIII 1 13), e Adrastea era pure il nome della nutrice di Zeus, una Ninfa del frassino; e poiché le Ninfe del frassino e le Erinni erano sorelle, nate dal sangue di Urano, ciò potrebbe spiegare come mai Nemesi finì col personificare la vendetta. Il frassino era uno degli aspetti in cui la dea si trasformava stagionalmente ed era un albero molto importante per i pastori suoi devoti, poiché era associato con i temporali e con il mese in cui nascevano gli agnelli, il terzo dell’anno sacro. Nemesi è detta figlia di Oceano, poiché come dea-Ninfa dal ramo di melo, essa rappresentava anche Afrodite nata dal mare, sorella delle Erinni.

Il mito di Tiche e Nemesi, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Recensione: “Simboli della trasformazione” di Carl Gustav Jung

Recensione: “Simboli della trasformazione” di Carl Gustav Jung

Simboli della trasformazione è il quinto volume delle Opere dello psichiatra e analista svizzero ed esplora il processo di individuazione e la natura simbolica dell’inconscio. Prima di parlarne, ecco un riassunto costruito con alcune citazioni significative tratte dall’opera:

  • “La trasformazione inizia con la consapevolezza della propria ombra, quella parte di noi stessi che preferiamo ignorare o rifiutare. Solo accettando l’ombra possiamo intraprendere un vero cammino di crescita interiore.”
  • “L’inconscio si esprime attraverso simboli, che rappresentano archetipi universali. Questi simboli possono assumere forme mitologiche, religiose o oniriche, ma sono sempre veicoli di significato profondo.”
  • “La visione onirica è una finestra sull’inconscio. I sogni ci mostrano immagini simboliche che riflettono i nostri desideri, le nostre paure e le nostre aspirazioni più profonde.”
  • “La trasformazione richiede un confronto con l’animus (nella donna) o l’anima (nell’uomo), le rappresentazioni interne dell’altro sesso. Integrare queste figure interiori porta a una maggiore completezza e equilibrio.”
  • “I simboli alchemici rappresentano il processo di trasformazione interiore. L’opera alchemica di trasmutazione degli elementi corrisponde alla nostra ricerca di integrazione e realizzazione di sé.”
  • “Il mandala è un potente simbolo di totalità e integrazione. La sua forma circolare rappresenta l’unità e l’armonia degli opposti, offrendo un punto di riferimento stabile durante il percorso di trasformazione.”
  • “L’archetipo del Sè rappresenta la totalità e l’essenza più profonda dell’individuo. Il Sè è il punto di equilibrio che cerca di realizzarsi nel corso della vita, spingendo verso l’integrazione e l’individuazione.”
  • “La trasformazione richiede un atto di coraggio e di abbandono di vecchi schemi. Bisogna essere disposti a lasciare andare le vecchie identità e ad abbracciare l’incertezza del processo di cambiamento.”

Simboli della trasformazione è il libro con cui Jung diede inizio a quello che chiamò il progetto di psicologia complessa e che trasformò la psicoanalisi da una “setta” ad una disciplina multidisciplinare e attenta alla complessità. “Questo libro fu da me scritto nel 1911 a 36 anni: un momento critico, giacché segna l’inizio della seconda metà della vita nella quale non di rado si verifica una metanoia, un mutamento d’opinione. 

Simboli della trasformazione fu il libro che segnò profondamente il rapporto – allora già incrinato – tra i due pionieri della psicoanalisi e della psicologia moderna, quello tra Freud e Jung, che furono appassionati colleghi e amici. In Ricordi, Sogni, Riflessioni (di cui abbiamo parlato qui), Jung parla di questo libro come del volume che la psiche gli “impose” di scrivere di getto per liberarsi del senso di abbandono e di vuoto conseguente alla rottura con Freud. Infatti, nel libro (ed è la parte forse più noiosa, per il lettore del 2023 che nella diatriba Freud-Jung ha poco interesse) spesso Jung confuta le idee del suo collega cercando di allargare il concetto di libido da una forza puramente “sessuale” a una forza più genericamente “creativa”. Per far questo utilizza il caso, riportato in una rivista di settore di qualche tempo prima, della signorina Miller, una poetessa e professoressa di New York, che Jung non incontrò mai, ma che aveva raccontato al suo analista diversi suoi sogni e visioni commentandoli.

Parlando del libro, Jung disse che “Il vero intento di questo libro è solo quello di elaborare il più a fondo possibile tutti i fattori storici e spirituali che confluiscono nei prodotti involontari di una fantasia individuale. Accanto alle ovvie fonti personali, la fantasia creatrice dispone anche dello spirito primitivo, dimenticato e da lungo tempo sepolto con le sue immagini peculiari palesantisi nelle mitologie di tutti i tempi e di tutti i popoli. L’insieme di queste immagini costituisce l’inconscio collettivo, retaggio presente potenzialmente in ogni individuo. Esso è il corrispettivo psichico della differenziazione del cervello umano. Questo è il motivo per il quale le immagini mitologiche possono rinascere senza posa spontaneamente sempre in armonia tra di loro, non solo in tutti gli angoli del vasto mondo ma anche in tutti i tempi. Esse sono presenti sempre e dappertutto. Ne deriva ovviamente la possibilità di mettere in relazione i mitologemi più distinti fra loro per divario temporale ed etnico con un sistema di fantasie individuali. La base creativa è dappertutto la stessa psiche umana e lo stesso cervello umano che, con varianti relativamente minime, funziona dappertutto nello stesso modo.”

Non entrerò nel dettaglio della struttura del libro, che parla della nascita e sviluppo della figura dell’Eroe  e del suo rapporto ed emancipazione dalla figura della madre, o per dirla in altre parole, il percorso dell’Io che si individua differenziandosi dall’Inconscio, rimanendone però indissolubilmente legato. Da questo confronto scaturiscono innumerevoli immagini e motivi archetipici che continuano a ritornare nelle visioni e sogni ed esperienze di tutte le persone di tutti i tempi di tutti i luoghi della terra. Il libro ne elenca e discute alcuni con il supporto di tavole che riportano opere d’arte antica e medievale e che suffragano le teorie esposte. Una lettura affascinante e abbastanza scorrevole (seppur ricca e complessa).

Ancora Jung: “La conoscenza dei contenuti soggettivi della coscienza non dice ancora assolutamente nulla della psiche e della sua vera vita sotterranea. Anche in psicologia, come in tutte le scienze, per il lavoro di ricerca occorre un corredo di conoscenze sufficientemente estese. Un po’ di patologia e di teoria delle nevrosi non bastano assolutamente in questo caso; questo tipo di conoscenze mediche consente unicamente d’essere informati su una malattia, ma ignora tutto dell’anima che è malata. Con questo libro – allora come oggi – ho voluto, per quanto era in mio potere, ovviare a questo inconveniente.”

Jung, Carl Gustav, Simboli della trasformazione, Bollati Boringhieri.

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