Cominciamo con il dire che questo volume di Graves NON è un libro da leggere dall’inizio alla fine, come un romanzo ma è un’opera di consultazione da andare a prendere quando si vuole conoscere o rispolverare la propria conoscenza di un determinato mito greco. Se lo si legge per intero diventa un pesantissimo mattone: attenzione quindi a non associare la noia con la mitologia. Sarebbe un grave errore. La Voce delle Muse usa il libro di Graves per preparare i racconti mitologici che narriamo ai bambini, ma anche per preparare il lavoro con adolescenti e adulti.
Il grande pregio dell’opera di Graves è quello di presentare i miti in modo asciutto e stringato, senza interpretazioni o divagazioni. Questo concentrarsi sull’”inchiostro nero”, vale a dire sui fatti nudi e crudi e non su interpretazioni dei medesimi, permette al lettore di aggiungere facilmente l’”inchiostro bianco”, vale a dire il proprio vissuto personale e le proprie interpretazioni che si vanno a sommare alle immagini descritte dal mito.
I Miti Greci pur senza dover invidiar nulla ad altre raccolte analoghe condotte sulla scorta della filologia e dell’erudizione, ha un pregio fondamentale: i 171 capitoli che lo compongono si snodano con la sveltezza e il brio di “un racconto” ben scritto, di una rievocazione partecipe e disincantata al tempo stesso, di un mondo incantato e incantevole. E tutto senza “smitizzare” i miti, ma – al contrario – con la preoccupazione di salvaguardarne, assieme alla sostanza, anche il sapore, con uno stile e un piglio che debbono più alla grande lezione del “Ramo d’oro” di Frazer che forse al necessario ma anche triste lavoro di scavo di un Freud, di uno Jung, di un Kerényi…
Le note ai miti meritano un discorso a parte. Nelle note Graves tesse le sue teorie, interessanti e affascinanti, che cercano di collegare i miti a momenti storici e culturali del passato. Come poi farà nella Dea Bianca, Graves collega molti aspetti presentati nei miti al passaggio della società arcaica dal matriarcato al patriarcato e ai festival misterici legati alla celebrazione di riti propri di società stazionarie e dedite all’agricoltura, riti soppressi dagli invasori guerrieri venuti da nord. Miti in sé e note sono quasi due libri separati e vanno letti come tali.
RETE DUE della Radio svizzera di lingua italiana ha proposto, in occasione della presentazione del libro alla Biblioteca Cantonale di Bellinzona, una bella intervista di Michela Daghini ad Andreas Barella sul libro e sul suo lavoro. Buon ascolto!
MERCOLEDÌ 4 giugno alle 18:30 alla Biblioteca Cantonale di Bellinzona vi sarà la presentazione libro “ORFEO E EURIDICE. Un’interpretazione del mito che parla di Poesia, di Amore, di Morte e di Rinascita”. L’Autore Andreas Barella (una delle tre Muse de LA VOCE DELLE MUSE) parlerà del suo libro con Stefano Vassere, direttore delle Biblioteche Cantonali di Bellinzona e Locarno. Siete tutte e tutti cordialmente invitate/i!
Un’amante della mitologia come me non poteva lasciarsi sfuggire il romanzo “Il mio nome è Nessuno – Il ritorno” di Valerio Massimo Manfredi, uscito per Mondadori un anno dopo la prima parte di questo dittico romanzesco, intitolata “Il mio nome è Nessuno – Il giuramento”. Se nel primo volume Manfredi ripercorre le esperienze di Ulisse a partire dall’infanzia e fino alla fine della guerra di Troia, nel secondo narra invece il viaggio di ritorno del re di Itaca da Troia fino alla sua isola. Viaggio che, come noto, dura dieci anni e contempla numerose e svariate avventure. Non riassumerò la vicenda, ai più nota, ma volevo spendere alcune parole sull’esperimento di Manfredi di rinarrare il mito di Ulisse-Odisseo.
Manfredi fa quello che ogni lettore dell’Odissea (e dell’Iliade) fa nella sua testa e nel suo cuore quando si immerge davvero nei testi di Omero: costella nella sua esperienza personale gli archetipi che le due epiche contengono e fanno danzare nella psiche di chi le ascolta (o legge). Manfredi lo fa nel suo modo personale: come già in altri suoi romanzi, per dare un tocco esotico alle vicende cambia leggermente i nomi dei personaggi (Kirke invece di Circe, Odysseo invece di Odisseo, e così via) e intesse la vicenda di Ulisse con quelle di altri personaggi di suoi romanzi (Diomede, per esempio, o il destino del Palladio). E soprattutto, colma il racconto con quello che possiamo definire l’”inchiostro bianco”, vale a dire quelle parti che il lettore immagina, gli spazi vuoti tra una frase e l’altra, le frasi non dette, i sentimenti non espressi, i dubbi che restano tali nella mente dei personaggi e del lettore. Come è giusto che sia, Manfredi spiega, interpreta, aggiunge pensieri e interpretazioni e dolori espressi dalla voce in prima persona di Ulisse. A volte suggerisce interpretazioni interessanti, e si ha la percezione che l’Ulisse che parla tramite Manfredi, parli la voce del ventunesimo secolo ed esprima dubbi e paure proprie del nostro tempo. Quando questo accade la lettura si fa interessante e ricca di spunti sui quali riflettere. A volte quando invece Manfredi tenta di descrivere dubbi e problemi che immagina dei greci antichi, e lo fa usando un linguaggio che scimmiotta un po’ quello di Omero, ecco che, secondo me, la voce di Manfredi si fa meno interessante. Anche la lunga parte finale, in cui l’Autore descrive l’ultimo viaggio di Ulisse (non quello dantesco descritto nella Divina Commedia!), viaggio profetizzato da Tiresia e in cui Ulisse dovrà andare alla ricerca del perdono da parte di Poseidone, sembra più un’epica da fumetto americano con il protagonista preda di dubbi esistenziali, che un’epopea mitologica.
Se la mitologia adempie al suo scopo, parla ai lettori-ascoltatori di cose importanti per loro, nel momento in cui vengono lette e lasciate danzare nella psiche. Il compito del mito è proprio questo: rimanere vago e interpretabile per continuare a sussurrare quello che la nostra interiorità ha bisogno di sentire e di elaborare. E deve farlo in modo ricco e pieno di significati simbolici assodati e che hanno funzionato per generazioni di esseri umani. Per questo motivo, il libro di Manfredi è parziale e ci racconta UNA versione, UNA visione del ricco mondo omerico. Al lettore giudicare se vale la pena affidarsi all’interpretazione di una persona singola o se affidarsi al ricco e simbolico linguaggio di Omero, e colmare personalmente gli spazi lacunosi della vicenda, soffrendo in modo personale e per motivi diversi quando Ulisse piange ma non spiega perché. Io ho letto volentieri il libro di Manfredi, come se fosse (e lo è) una variante su di un tema conosciuto, che è l’opera di Omero in versione originale. Se però non avete mai letto l’Odissea e pensate di approcciarvi al poema che è alla base della nostra cultura e civiltà, allora il mio suggerimento è quello di cominciare dall’originale. Per esempio nella leggibilissima versione in prosa a cura di Maria Grazia Ciani ed edito da Marsilio. Buona scoperta o riscoperta delle avventure di Ulisse, l’uomo dalla mente colorata.
Andreas
Manfredi, Valerio Massimo. Il mio nome è Nessuno – Il Ritorno. Milano: Mondadori, 2013.
Omero. Odissea. A cura di Maria Grazia Ciani. Venezia: Marsilio, 1994.
Manfredi, Valerio Massimo. Il mio nome è Nessuno – La Promessa. Milano: Mondadori, 2012.
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