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Il mito di Arianna

Il mito di Arianna

Arianna e Dioniso

Il racconto del mito di Arianna (e Teseo e Dioniso) è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 5: Arianna – Le insidie dell’amore

In espiazione della morte di Androgeo, Minosse volle che gli Ateniesi inviassero ogni nove anni (e cioè al termine di ogni Grande Anno) sette fanciulli e sette fanciulle nel Labirinto di Creta, dove il Minotauro li avrebbe divorati. Questo Minotauro, che si chiamava Asterie o Asterione, era il mostro dalla testa di toro generato da Pasifae e dal toro bianco. Poco dopo l’arrivo di Teseo in città, gli Ateniesi avrebbero dovuto pagare per la terza volta il gravoso tributo e lo spettacolo dei genitori angosciati all’idea di separarsi per sempre dai loro figli era così triste che Teseo si offrì come vittima volontaria, benché suo padre Egeo, il re di Atene, cercasse in ogni modo di dissuaderlo da tale proposito. Altri invece dicono che il suo nome fu estratto a sorte; e, secondo altri ancora, lo stesso Minosse accompagnato da una grande flotta sarebbe giunto ad Atene per scegliere le vittime; il suo sguardo si posò su Teseo il quale, benché nato a Trezene e non Atene, si offrì di unirsi alle vittime a patto che se fosse riuscito ad abbattere il Minotauro con le sole mani Atene sarebbe stata esentata dal tributo.

Nei due viaggi precedenti, le navi che portavano le vittime a Creta avevano inalberato vele nere, ma Teseo si sentiva certo del favore degli dei ed Egeo gli affidò dunque una vela bianca, perché la inalberasse al ritorno, in segno di vittoria; altri dicono che si trattava di una vela rossa, tinta nel sugo delle bacche di cocciniglia.

Quando i nomi delle vittime furono estratti a sorte dinanzi al tribunale supremo, Teseo guidò i suoi compagni al Tempio del Delfino dove, in nome di tutti, offrì ad Apollo un ramo di olivo avvolto in un filo di lana bianca, Le quattordici madri portarono le provviste per il viaggio e narrarono ai loro figli favole prodigiose ed eroiche per rincuorarli. Teseo sostituì a due delle fanciulle dei giovanetti dall’aspetto effeminato ma dotati di insolito coraggio e presenza di spirito. Raccomandò loro di fare dei bagni caldi, di evitare i raggi solari, di profumarsi il corpo e i capelli con oli ed essenze, e di imitare l’incedere e il gestire delle donne. Riuscì così a ingannare Minosse e a far credere che quei due fossero fanciulle.

Quando la nave giunse a Creta alcuni giorni dopo. Minosse si recò al porto per contare le vittime. Innamoratesi di una delle vergini ateniesi (ancor si discute se si trattasse di Peribea, che divenne poi madre di Aiace, di Eribea o di Ferebea, poiché i nomi erano tanto simili da generar confusione) l’avrebbe violentata sul posto se Teseo non fosse insorto dichiarando che era suo compito, come figlio di Poseidone, di difendere le vergini dall’oltraggio dei tiranni. Minosse, con una risata di scherno, rispose che Poseidone non aveva mai rispettato le vergini che avessero acceso il suo desiderio, «Dunque», concluse, «se davvero sei figlio di Poseidone provamelo ripescando questo anello dal fondo del mare», e ciò dicendo gettò tra le onde l’aureo sigillo che portava al dito. «Tocca a te per primo dimostrarmi che sei figlio di Zeus! » replicò Teseo. Subito Minosse innalzò una preghiera al cielo e alle sue parole: «Padre Zeus, ascoltami!» rispose il balenare di un lampo e un fragore di tuono. Senza esitare Teseo si tuffò allora nel mare dove un branco di delfini lo scortò fino al palazzo delle Nereidi. Taluni dicono che la Nereide Teti donò a Teseo la corona ingioiellata, dono nuziale di Afrodite, che più tardi cinse il capo di Arianna; altri, che Anfitrite, la dea del mare, gli consegnò la corona e ordinò alle Nereidi di nuotare tutt’attorno per trovare l’anello. In ogni caso, Teseo emerse dal fondo del mare reggendo sia l’anello sia la corona, così come Micene l’ha dipinto sulla terza parete del santuario di Teseo.

II favore di Afrodite accompagnava dunque Teseo; non soltanto Peribea e Ferebea invitarono il cavalleresco giovane a giacersi con loro e non furono respinte, ma la stessa figlia di Minosse, Arianna, si innamorò di lui a prima vista. «Ti aiuterò a uccidere il mio fratellastro, il Minotauro», essa gli promise in segreto, «purché io possa ritornare con te ad Atene, come tua moglie». Teseo accettò con piacere questa proposta e giurò di sposare Arianna. Ora, prima di lasciare Creta, Dedalo aveva donato ad Arianna un gomitolo di filo magico, spiegandole come sarebbe potuta entrare e uscire dal Labirinto; essa doveva aprire la porta di ingresso e assicurare allo stipite un capo del filo; il gomitolo si sarebbe poi srotolato via via negli intricati recessi, fino alla camera segreta dove si trovava il Minotauro. Arianna diede il gomitolo a Teseo e gli raccomandò di seguire il filo finché avesse sorpreso il Minotauro addormentato; avrebbe potuto così afferrare il mostro per i capelli e sacrificarlo a Poseidone. Arrotolando poi il filo in gomitolo, sarebbe giunto di nuovo alla porta d’ingresso.

Quella notte stessa Teseo fece quanto gli era stato detto, ma non si sa con certezza se egli uccise il Minotauro con la spada donatagli da Arianna o con le nude mani o con la sua famosa clava. Un bassorilievo ad Amicle ci mostra il Minotauro legato e portato in trionfo ad Atene; ma questa versione non è accettata da tutti. Quando Teseo, con le vesti macchiate di sangue, emerse dal Labirinto, Arianna lo abbracciò appassionatamente e guidò il gruppo di tutti gli Ateniesi al porto. Nel frattempo, infatti, i due giovani dall’aspetto effeminato avevano ucciso le guardie dinanzi all’appartamento delle donne, liberando le vergini. Salirono in fretta sulla nave, dove Nausiteo e Feace vegliavano in attesa, e si allontanarono rapidamente a forza di remi. Tuttavia, benché Teseo avesse aperto delle falle negli scafi cretesi per impedire che lo inseguissero, dovette affrontare una battaglia navale nelle acque del porto; per fortuna non subì perdite e riuscì a fuggire con il favore delle tenebre.

Alcuni giorni dopo, sbarcato nell’isola allora chiamata Dia e ora nota col nome di Nasso, Teseo abbandonò Arianna addormentata sulla spiaggia e riprese il largo senza di lei. Perché l’abbia fatto è rimasto un mistero. Taluni dicono che Teseo abbandonò Arianna per la sua nuova amante, Egle figlia di Panopeo; altri sostengono che, mentre venti contrari lo trattenevano a Dia, egli riflette sulla sua posizione e temette che l’arrivo di Arianna ad Atene suscitasse uno scandalo.15 Altri ancora dicono che Dioniso, apparso a Teseo in sogno, gli ordinò minacciosamente di abbandonargli Arianna e che Teseo, ridestatesi, vide la flotta di Dioniso avvicinarsi a Dia e salpò le ancore atterrito. Dioniso infatti, per opera di magia, gli aveva fatto dimenticare la promessa fatta ad Arianna e persino l’esistenza di lei. I sacerdoti di Dioniso ad Atene affermano che quando Arianna si trovò sola sul lido deserto ruppe in disperati lamenti, rammentando con quanta angoscia aveva assistito Teseo che si preparava ad affrontare il suo mostruoso fratellastro, e quali fervide preghiere aveva innalzato per il suo successo; per amore di Teseo, inoltre, essa aveva abbandonato i genitori e la patria. Invocò ora vendetta dall’intero universo e Zeus annuì consenziente. Ed ecco Dioniso con il suo gaio corteo di Satiri e Menadi giungere in aiuto di Arianna. Egli la sposò senza por tempo in mezzo, posandole sul capo la corona di Teti, e Arianna gli generò numerosi figli. Tra costoro, soltanto Toante ed Enopione sono a volte chiamati figli di Teseo. La corona, che Dioniso più tardi immortalò in cielo nella costellazione della Corona Boreale, era stata fabbricata da Efesto con oro e rubini indiani disposti in forma di rose.

Il mito di Arianna riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Recensione: Arianna – Le insidie dell’amore

Recensione: Arianna – Le insidie dell’amore

Dal risvolto di copertina: “Decifrare il nome di questa eroina sembra difficile, Ma in realtà non lo è poi così tanto: la potremmo chiamare la “tutta pura”, la “tutta bella”, la “tutta luminosa”. Niente di strano se pensiamo che Arianna è la figlia di Pasifae, la “luminosa”, per l’appunto,  a sua volta nata dal Sole; E che suo fratello Asterione (uno dei nomi con cui veniva chiamato il Minotauro) aveva radici di stella. La figlia di Minosse ricorda, quindi, una stella cadente e non è difficile immaginarla nel ruolo di signora del labirinto, capace di attrarre senza rimedio lo sguardo e il cuore del capitano di una nave che viene da Atene, portando con sé un presagio di morte.”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Le eroine cretesi raffigurano quindi donne diverse da quelle dei miti tradizionali: i loro nomi alludono spesso alla sfera luminosa e lunare; la loro sessualità è anomala (Europa e Pasifae amano un toro, Arianna fugge da casa con l’uomo che ha ucciso il fratello, Fedra ama il figliastro). Di Arianna resta soprattutto l’immagine della donna che srotola il gomitolo davanti al labirinto buio per essere poi vittima dell’ingratitudine di colui che ha salvato. Anche se… un uomo non l’ha voluta, ma un dio la sposerà.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla fortuna del mito nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Arianna è curato da Silvia Romani che insegna mitologia e religioni del mondo classico all’Università Statale di Milano. Per Einaudi ha pubblicato Il mito di Arianna e Una passeggiata nell’aldilà. È autrice di libri per ragazzi. Qui trovate una lista dei suoi ultimi volumi pubblicati.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Arianna
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Il mito di Zeus: primi amori

Il mito di Zeus: primi amori

Il racconto del mito dei primi amori di Zeus è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 4: Zeus – Le origini del mondo

Zeus, Meti e Atena – Taluni Elleni dicono che Atena ebbe un padre chiamato Pallade, un gigante alato a forma di caprone, che in seguito tentò di usarle violenza; ma la dea, strappategli le ali che si applicò alle spalle, e la pelle con cui si fabbricò l’egida, aggiunse il nome di Pallade al proprio, a meno che, come altri sostengono, l’egida non fosse stata fatta con la pelle della Gorgone Medusa, che Atena scorticò dopo che Perseo l’ebbe decapitata. Altri dicono che suo padre fosse un certo Itono, re di Itone nella Ftiotide, e che Atena uccise inavvertitamente Iodama, figlia di codesto re, lasciando che vedesse la testa della Gorgone  mentre oltrepassava di notte il sacro recinto: e subito Iodama si trasformò in pietra.

Altri ancora sostengono che il padre di Atena fosse Poseidone, ma che la dea lo rinnegò e chiese di essere adottata da Zeus, e Zeus volentieri acconsentì.

Ma i sacerdoti di Atena narrano così la storia della sua nascita: Zeus inseguiva voglioso la Titanessa Meti che per sfuggirgli assunse diverse forme, ma infine fu raggiunta e fecondata. Un oracolo della Madre Terra disse che sarebbe nata una figlia e che, se Meti avesse concepito una seconda volta, sarebbe nato un figlio destinato a detronizzare Zeus così come Zeus aveva detronizzato Crono, e come Crono aveva detronizzato Urano. Zeus allora, dopo aver indotto Meti, con melate parole, a giacere accanto a lui, improvvisamente spalancò la bocca e la inghiottì, e questa fu la fine di Meti, né più si seppe nulla di lei, benché Zeus sostenesse che dal fondo del suo ventre essa gli dava a volte preziosi consigli. A tempo debito. Zeus fu colto da un terribile dolore di capo mentre camminava lungo le rive del lago Tritone, e gli parve che il suo cranio dovesse scoppiare, e ululò per il dolore tanto da destare gli echi del firmamento. Subito accorse Ermete, che indovinò la causa della pena di Zeus. Egli indusse dunque Efesto o, come altri sostengono. Prometeo, a munirsi di ascia e di maglio per aprire una fessura nel cranio di Zeus, ed ecco balzar fuori Atena, tutta armata, con un potente grido.5

Zeus ed Era – Soltanto Zeus, il Padre del Cielo, può maneggiare la folgore; e con la minaccia del suo scoppio fatale riuscì a tenere sotto controllo la litigiosa e ribelle famiglia degli dei olimpi. Quando sua madre Rea, prevedendo i guai che la lussuria di Zeus avrebbe provocato, gli proibì di sposarsi, egli, infuriato, minacciò di usarle violenza. E benché subito Rea si trasformasse in un minaccioso serpente, Zeus non si lasciò ammansire, ma, trasformatesi a sua volta in un serpente maschio, si unì a Rea in un nodo indissolubile e fece quanto aveva minacciato di fare. Cominciò così la sua lunga serie di avventure amorose. Egli generò in Temi le Stagioni e le tre Moire; in Eurinome le tre Grazie; le tre Muse in Mnemosine, con la quale si giacque per nove notti; e, come alcuni riferiscono, generò nella ninfa Stige la dea Persefone, regina dell’Oltretomba, che il fratello di Zeus, Ade, sposò con la forza. Zeus estese così il suo potere sopra e sotto la terra, e sua moglie Era lo uguagliava in una cosa sola, poteva cioè concedere il dono della profezia a qualunque uomo o animale le piacesse.

Zeus ed Era si azzuffavano di continuo. Irritata dalle infedeltà del marito, Era lo umiliava spesso con tortuosi raggiri. Benché le confidasse i suoi segreti, e a volte ne accettasse i consigli. Zeus non si fidava completamente di Era, ed essa sapeva che, se l’avesse offeso oltre un certo limite, Zeus avrebbe potuto fulminarla. Si rassegnava dunque a intessere intrighi, come accadde in occasione della nascita di Eracle; e a volte si faceva prestare da Afrodite la magica cintura, per risvegliare la passione di Zeus e indebolirne la volontà.

Un giorno la superbia e la petulanza di Zeus divennero intollerabili ed Era, Poseidone, Apollo e tutti gli altri olimpi, a eccezione di Estia, lo circondarono all’improvviso mentre dormiva e lo legarono al letto con corde di cuoio, annodate cento volte, cosicché non si potesse più muovere. Zeus li minacciò di morte, ma gli dei avevano già messo le folgori al sicuro e gli risero in faccia. Mentre festeggiavano la loro vittoria, e già cominciavano a discutere su chi dovesse succedere a Zeus, la nereide Teti, prevedendo una guerra civile sull’Olimpo, andò a chiamare il centimane Briareo che rapidamente sciolse tutti i nodi, servendosi di tutte le sue mani, e liberò il suo padrone. Poiché la congiura contro di lui era stata organizzata da Era, Zeus appese la dea al cielo fissandole due bracciali d’oro ai polsi, e le legò un’incudine a ogni caviglia. Gli altri dei erano angosciati in modo indescrivibile, ma non osarono accorrere in aiuto di Era che lanciava grida strazianti. Zeus infine decise di liberarla se tutti avessero giurato di non ribellarsi mai più; e ciascuno obbedì a malincuore. Zeus punì Apollo e Poseidone costringendoli a servire il re Laomedonte, per il quale costruirono le mura di Troia; ma perdonò tutti gli altri, perché avevano agito istigati dai primi.

Il mito dei primi amori di Zeus riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Recensione: Zeus – Le origini del mondo

Recensione: Zeus – Le origini del mondo

Dal risvolto di copertina: “In Omero, Zeus è il padre degli dei e degli uomini: vale a dire non un dominatore assoluto, bensì il capo della famiglia divina, colui che convoca le assemblee celesti e prende le decisioni supreme, un patriarca, anzi l’espressione stessa della cultura patriarcale. È molto più forte delle altre divinità il suo potere si basa sul fulmine sulla folgore con cui sottomette dei gli uomini. Ma c’è un altro aspetto: Zeus è il dio capace di generare continuamente senza mai invecchiare, ed è questo, la sua pioggia che feconda ai campi, a rendere possibile la vita. Tutto ciò nel mito si traduce in innumerevoli storie d’amore con dee e mortali, tanto che a lui molte stirpi aristocratiche facevano risalire le proprie origini. Infatti, la semplice forza non basterebbe a farmi il re degli dei, poiché sarebbe solo brutalità.”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Il re degli dei greci era in origine un Dio celeste che i lontani antenati importarono in Grecia dalle pianure in cui vivevano come nomadi, il luogo in cui il cielo e i suoi fenomeni si manifestavano in modo poderoso e impressionante. Zeus è un patriarca, anzi l’espressione stessa della cultura patriarcale.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla fortuna del mito nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Zeus è curato da Chiara Lombardi, professore associato di letterature comparate e critica letteraria nel Dipartimento di Studi Umanistici di Torino. I suoi ultimi volumi pubblicati.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Zeus: primi amori.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Il mito di Apollo

Il mito di Apollo

Il racconto del mito di Apollo è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 3: Apollo – La divina bellezza.

Apollo, figlio di Zeus e di Latona, nacque di sette mesi, ma gli dei crescono in fretta. Temi lo nutrì di nettare e ambrosia, e dopo quattro giorni il bimbo già chiedeva a gran voce arco e frecce, che Efesto subito gli porse. Partito da Delo, Apollo si diresse senza indugio verso il monte Parnaso, dove si celava il serpente Pitone, nemico di sua madre, e lo ferì gravemente con le sue frecce. Pitone si rifugiò presso l’oracolo della Madre Terra a Delfi, città così chiamata in onore del mostro Delfine, compagna di Pitone; ma Apollo osò inseguirlo anche nel tempio e lo finì dinanzi al sacro crepaccio.

La Madre Terra, oltraggiata, ricorse a Zeus che non soltanto ordinò ad Apollo di farsi purificare a Tempe, ma istituì i giochi Pitici in onore di Pitone, e costrinse Apollo a presiederli per penitenza. Apollo, sfrontatamente, non si curò di obbedire agli ordini di Zeus e invece di recarsi a Tempe andò a Egialia, in compagnia di Artemide, per purificarsi; e poiché il luogo non gli piacque, salpò per Tarra in Creta, dove re Carmanore eseguì la cerimonia di purificazione.

Al suo ritorno in Grecia, Apollo andò a cercare Pan, il dio arcade dalle gambe di capra e dalla dubbia riputazione, e dopo avergli strappato con blandizie i segreti dell’arte divinatoria, si impadronì dell’oracolo delfico e ne costrinse la sacerdotessa, detta pitonessa, a servirlo.

Latona, udita questa notizia, si recò con Artemide a Delfi, dove si appartò in un sacro boschetto per adempiere a certi riti. Il gigante Tizio interruppe le sue devozioni e stava tentando di violentarla, quando Apollo e Artemide, udite le grida della dea, accorsero e uccisero Tizio con un nugolo di frecce: una vendetta che Zeus, padre di Tizio, si compiacque di giudicare pio atto di giustizia. Nel Tartaro Tizio fu condannato alla tortura con le braccia e le gambe solidamente fissate al suolo; il suo enorme corpo copriva un’area di nove acri e due avvoltoi gli mangiavano il fegato.

In seguito Apollo uccise il satiro Marsia, seguace della dea Cibele. Ed ecco come si svolsero gli eventi. Un giorno Atena si fabbricò un doppio flauto con ossa di cervo e lo suonò a un banchetto degli dei. Essa non riuscì a capire, dapprima, perché mai Era e Afrodite ridessero silenziosamente nascondendosi il volto tra le mani, benché la sua musica paresse deliziare gli altri dei; appartatasi perciò nel bosco frigio, riprese a suonare nei pressi di un ruscello e così facendo osservò la sua immagine riflessa nello specchio delle acque. Resasi subito conto di quanto fosse orribile a vedersi, col viso paonazzo e le gote enfiate, gettò via il flauto e lanciò una maledizione contro chiunque lo avesse raccolto.

Marsia fu l’innocente vittima di quella maledizione. Egli trovò per caso il flauto e non appena se lo portò alle labbra lo strumento si mise a suonare da solo, quasi ispirato dal ricordo della musica di Atena. Marsia allora percorse la Frigia al seguito di Cibele, deliziando con le sue melodie i contadini ignoranti. Costoro infatti proclamavano che nemmeno Apollo con la sua lira avrebbe saputo far di meglio, e i Marsia fu tanto sciocco da non contraddirli. Ciò naturalmente provocò l’ira di Apollo che sfidò Marsia a una gara: il vincitore avrebbe inflitto al vinto la punizione che più gli fosse piaciuta. Marsia acconsentì e Apollo affidò il giudizio alle Muse. I due contendenti chiusero la gara alla pari, poiché le Muse si dichiararono egualmente deliziate dalle loro melodie, ma Apollo gridò allora a Marsia: «Ti sfido a fare col tuo strumento ciò che io farò con il mio; dovrai capovolgerlo e suonare e cantare al tempo stesso». II flauto, come logico, non si prestava a una simile esibizione e Marsia non poté raccogliere la sfida. Apollo invece rovesciò la sua lira e cantò inni così dolci in onore degli dei olimpi, che le Muse non poterono fare a meno di dichiararlo vincitore. Allora Apollo, nonostante la sua presunta dolcezza, si vendicò di Marsia in modo veramente efferato e crudele, scorticandolo vivo e appendendo la sua pelle a un pino (oppure a un platano, come altri sostengono) presso la sorgente del fiume che ora porta il suo nome.

Apollo vinse poi una seconda gara musicale, cui presiedette il re Mida, e questa volta sconfisse Pan. Divenuto così ufficialmente il dio della musica, suonò sempre la sua lira dalle sette corde durante i banchetti degli dei. Altro suo compito fu quello di sorvegliare le greggi e le mandrie che gli olimpi possedevano nella Pieria; ma in seguito delegò questo incarico a Ermes.

Pur rifiutando di legarsi in matrimonio. Apollo ha generato molti figli in Ninfe o in donne mortali; tra costoro ricordiamo Ftia, che diede alla luce Doro e i suoi fratelli; e Talia la Musa, madre di Coribante; e Coronide, madre di Asclepio; e Aria, madre di Mileto; e Cirene, madre di Aristeo.

Apollo sedusse anche la ninfa Driope che custodiva le greggi di suo padre sul monte Eta in compagnia delle sue amiche, le Amadriadi. Apollo si tramutò in tartaruga e tutte le fanciulle si dilettarono con quell’animaletto: ma non appena Driope se lo pose in grembo. Apollo si trasformò in serpente e sibilando mise in fuga le Amadriadi, per poi godere della Ninfa. Driope gli generò Anfisso, che fondò la città di Eta ed eresse un tempio in onore di suo padre; colà Driope servì come sacerdotessa finché un giorno le Amadriadi la rapirono e lasciarono un pioppo suo posto.

Non sempre il successo arrideva ad Apollo nelle imprese d’amore. Un giorno cercò di sottrarre Marpessa a Ida, ma essa rimase fedele a suo marito. Un altro giorno inseguì Dafne, la Ninfa dei monti, sacerdotessa della Madre Terra e figlia del fiume Peneo di Tessaglia; ma quando l’ebbe raggiunta, Dafne invocò la Madre Terra che in un baleno la trasportò in Creta, dove essa divenne Pasifae. La Madre Terra fece poi crescere un lauro, là dove si trovava Dafne, e Apollo intrecciò una corona con le sue foglie per consolarsi.

Bisogna aggiungere che il tentativo di usare violenza a Dafne non fu fatto di impulso; da molto tempo Apollo l’amava e aveva provocato la morte del suo rivale Leucippo, figlio di Enomao, che si era travestito da fanciulla per unirsi a Dafne sulle pendici del monte. Apollo, scoperto l’inganno grazie all’arte divinatoria, consigliò le Ninfe montane di bagnarsi nude per accertarsi che il loro gruppo fosse composto di sole donne: l’inganno di Leucippo fu così scoperto, e le Ninfe lo fecero a pezzi.

Vi fu poi l’episodio del bel giovane Giacinto, un principe spartano, di cui si innamorarono non soltanto Tamiri (il primo uomo che concupì un individuo del suo sesso) ma anche Apollo, il primo dio che fece altrettanto. Per Apollo, Tamiri non fu un rivale pericoloso; saputo infatti che egli si vantava di superare le Muse nel canto. Apollo riferì tali parole alle Muse stesse, che subito privarono Tamiri della vista, della voce e della memoria. Ma anche il Vento dell’Ovest si era invaghito di Giacinto e divenne pazzamente geloso di Apollo; questi stava un giorno insegnando al fanciullo come si lancia un disco, quando il Vento dell’Ovest fermò il disco a mezz’aria e lo mandò a sbattere contro il cranio di Giacinto, uccidendolo. Dal suo sangue nacque il fiore del giacinto, su cui si vedono le lettere iniziali del suo nome.

Apollo attirò su di sé la collera di Zeus soltanto una volta, dopo il famoso complotto organizzato dagli dei per detronizzarlo. Ciò accadde quando il figlio del dio, Asclepio il medico, ebbe l’ardire di risuscitare un uomo morto, privando così Ade di un suddito; Ade naturalmente se ne lagnò in Olimpo; Zeus uccise Asclepio con una folgore e Apollo per vendicarsi uccise i Ciclopi. Zeus, furibondo al vedere sterminata la sua guardia del corpo, avrebbe esiliato per sempre Apollo nel Tartaro se Latona non ne avesse implorato il perdono, assicurandogli che da quel giorno in poi Apollo si sarebbe emendato. La sentenza fu ridotta a un anno di lavori forzati che Apollo scontò pascolando le greggi di re Admeto di Pere. Obbedendo ai consigli di Latona, il dio non soltanto accettò umilmente il verdetto, ma colmò Admeto di favori.

Ammaestrato dall’esperienza, Apollo in seguito predicò la moderazione in ogni cosa: le frasi: «Conosci te stesso» e «Nulla in eccesso» erano sempre sulle sue labbra. Indusse le Muse ad abbandonare la loro sede sul monte Elicona per trasferirsi a Delfi, domò la loro furia selvaggia e insegnò loro a intrecciare danze decorose e garbate.

Il mito di Apollo riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

 

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