Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare
Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Eracle (Parte 2 di 11): prime avventure e la pazzia
Il leone di Nemea – La prima fatica che Euristeo impose a Eracle, quando egli si stabilì a Tirinto, fu di uccidere e scuoiare il leone Nemeo o Cleoneo, una belva enorme invulnerabile da ferro, bronzo o pietra. Benché alcuni dicano che questo leone fosse nato da Tifone o dalla Chimera e dal cane Ortro, altri sostengono che Selene lo generò con un terrificante sobbalzo e lo lasciò cadere sulla terra, e precisamente sul monte Treto presso Nemea, dinanzi a una grotta a due uscite. E che per punire il mancato adempimento di un sacrificio, là lo lasciò, affinché divorasse la sua gente. Chi ne soffrì di più furono i Bambinei. Altri ancora dicono che, per seguire il desiderio di Era, Selene creò il leone dalla spuma del mare rinchiusa in un’ampia arca e che Iride, servendosi della sua cintura a mo’ di guinzaglio, lo guidò tra i monti Nemei; questi monti presero il nome da una figlia di Asopo, oppure di Zeus e Selene; e la grotta del leone ancora si vede, a due miglia dalla città di Nemea. Giunto a Cleone, tra Corinto e Argo, Eracle alloggiò nella casa di un contadino o pastore chiamato Molorco, il cui figlio era stato ucciso dal leone. Molorco già si preparava a offrire un capro a Era come sacrificio propiziatorio, ma Eracle lo trattenne: «Aspetta trenta giorni», disse. «Se ritornerò sano e salvo sacrificherai a Zeus Salvatore; se no sacrificherai a me siccome eroe!» Eracle raggiunse Nemea a mezzogiorno, ma, poiché il leone aveva fatto stragi nel vicinato, non trovò nessuno che potesse dargli indicazioni, né vedeva tracce da seguire. Dopo aver battuto le pendici del monte Apesante, così chiamato da Apesante, un pastore divorato dal leone, benché altri dicano che Apesante fosse figlio di Acrisie che morì per un morso di serpente al tallone, Eracle si recò sul monte Treto e finalmente vide da lontano il leone che ritornava alla sua tana, il mantello chiazzato dal sangue della sua quotidiana strage. Eracle scagliò frecce in rapida successione, ma tutte rimbalzarono sulla fitta pelliccia, e il leone si leccò le labbra sbadigliando. Eracle allora die di piglio alla spada, che si piegò quasi fosse di stagno. Infine agguantò la sua clava e vibrò un tale colpo sul muso del leone che la belva entrò nella sua tana scrollando il capo: non per il dolore, però, ma perché gli ronzavano le orecchie. Eracle, fissando con rammarico la sua clava infranta, decise allora di bloccare uno degli ingressi della caverna ed entrò dall’altro. Certo ormai che il mostro fosse invulnerabile dalle armi, iniziò con lui una lotta terribile. Il leone gli amputò un dito con un morso; ma, immobilizzatagli la testa. Eracle gli premette il braccio contro la gola finché lo soffocò. Con la carcassa del leone sulle spalle. Eracle ritornò a Cleone; vi giunse al trentesimo giorno e trovò Molorco sul punto di offrirgli un sacrificio eroico; invece, sacrificarono assieme a Zeus Salvatore. Compiuto il sacrificio. Eracle si fabbricò una nuova clava e, dopo aver in parte modificato i Giochi Nemei, fino a quel giorno celebrati in onore di Ofelte, li dedicò a Zeus. Poi portò la carcassa del leone sino a Micene. Euristeo, stupito e terrorizzato, gli ordinò di non mettere mai più piede in città. In futuro avrebbe dovuto deporre i frutti delle sue Fatiche dinanzi alle porte. Eracle si adoperò inutilmente per scuoiare il leone, finché, per divina ispirazione, pensò di servirsi degli artigli della belva, affilati come rasoi, e ben presto poté indossare la pelle invulnerabile a guisa di armatura, mentre il cranio del leone gli copriva il capo come elmo. Frattanto Euristeo ordinò ai suoi fabbri di forgiargli un’urna di bronzo, che seppellì sottoterra. E da quel giorno, ogni qual volta veniva annunciato l’arrivo di Eracle, egli si rifugiava in quell’urna e trasmetteva i suoi ordini per mezzo di un araldo, un figlio di Pelope chiamato Copreo, che Euristeo aveva purificato da un omicidio. Gli onori tributatigli dai cittadini di Nemea in segno di gratitudine per l’impresa da lui compiuta Eracle, in seguito, li cedette ai suoi alleati di Cleone che combatterono con lui durante la Guerra Elea e caddero nel numero di trecentosessanta. Quanto a Molorco, egli fondò la vicina città di Molorca e piantò il Bosco Nemeo, dove ora si svolgono i Giochi Nemei. Eracle non fu il solo che strangolò un leone in quei giorni. La medesima prodezza fu compiuta dal suo amico Filio come la prima delle tre prove d’amore impostegli da Cicno, figlio di Apollo e di Iria. Filio aveva inoltre catturati vivi alcuni mostruosi uccelli antropofagi, simili ad avvoltoi, e sostenuta un’aspra lotta con un toro selvaggio, che guidò poi all’altare di Zeus. Dopo queste tre fatiche Cicno, non contento, pretese anche un bue che Filio aveva vinto come premio a certi giochi funebri. Eracle consigliò a Filio di rifiutare, insistendo invece affinché Cicno tenesse fede ai patti. Cicno allora, disperato, si gettò in un lago che fu chiamato lago Cicneo. Sua madre Ina lo seguì nella morte, e ambedue furono trasformati in cigni.
L’idra di Lerna – La seconda Fatica che Euristeo impose a Eracle fu di distruggere l’idra di Lerna, mostro nato da Echidna e da Tifone e che Era aveva addestrato per minacciare la vita di Eracle. Lerna sorge accanto al mare, a circa cinque miglia dalla città di Argo. A occidente la sovrasta il monte Fontino, con il suo sacro bosco di platani che digrada sino alla spiaggia. In questo bosco, chiuso da un lato dal fiume Pontino, presso il quale Danao dedicò un tempio ad Atena, e dall’altro dal fiume Amimene, vi sono statue di Demetra, Dioniso Salvatore e Prosinna, una delle nutrici di Era; e sul lido un simulacro in pietra di Afrodite offerto dalle Danaidi. Ogni anno si svolgono a Lerna riti notturni e segreti in onore di Dioniso, che in quel luogo discese al Tartaro alla ricerca di sua madre Semele; e non molto lontano si celebrano i Misteri di Demetra Lernea, in un recinto che segna il punto da dove anche Ade e Persefone discesero al Tartaro. Questo fertile e sacro distretto fu un tempo terrorizzato dall’idra, che aveva la sua tana sotto un platano, presso la settuplice sorgente del fiume Amimene e si aggirava nella palude Lernea, di cui nessuno riuscì a misurare la profondità (l’imperatore Nerone ci si provò di recente, ma invano), e che divenne la tomba di molti incauti viandanti. L’idra aveva un mostruoso corpo di cane e otto o nove teste serpentine, una di esse immortale; ma taluni parlano di cinquanta, altri di cento, persino di diecimila teste. A ogni modo, l’idra era così velenosa che il suo solo respiro e persino il puzzo delle sue tracce potevano uccidere. Atena aveva ben meditato in quale modo Eracle potesse uccidere l’idra, e quando egli giunse a Lerna, sul suo cocchio guidato da Iolao, gli indicò la tana del mostro. Dietro consiglio della dea, Eracle costrinse l’idra a uscire dalla tana tempestandola di frecce infuocate, e poi l’assalì trattenendo il fiato. Il mostro si avvolse attorno ai suoi piedi, nel tentativo di farlo inciampare. Invano Eracle si accanì con la clava: non appena gli riusciva di spaccare una delle teste dell’idra, subito ne ricrescevano due o tre altre per sostituirla. Un enorme granchio emerse allora dalla palude per aiutare l’idra e si attaccò al piede di Eracle; schiacciando violentemente il guscio del granchio sotto il tallone, Eracle gridò per invocare il soccorso di Iolao. Iolao diede fuoco a un lembo del bosco e poi, per impedire che nuove teste germogliassero sul corpo dell’idra, ne cauterizzava la radice con rami infuocati, e così fermava il flusso del sangue. Usando una spada o un aureo falcetto, Eracle tagliò allora la testa immortale, che era in parte d’oro, e la seppellì, ancor sibilante, sotto una pesante roccia ai margini della strada che conduceva a Elea. Poi squartò la carcassa e immerse la punta delle sue frecce nella bile del mostro. Da quel giorno la minima scalfittura prodotta da tali frecce fu sempre fatale. Per ricompensare il granchio dei suoi servigi, Era lo immortalò tra i segni dello Zodiaco, ed Euristeo dichiarò che quella Fatica non era stata compiuta a dovere, perché Iolao aveva aiutato Eracle con i suoi rami infuocati.
Vai a: Le dodici fatiche di Eracle: 3) La cerva di Cerinea; 4) Il cinghiale Erimanzio
ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.
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