Presentiamo Silvia Ronchey, oltre naturalmente perché ha scritto libri interessantissimi e ricchi (vedi sotto per una scelta bibliografica), in relazione al video dell’intervista a James Hillmandi cui abbiamo parlato qua.
Silvia Ronchey è una saggista e bizantinista italiana. Già professoressa associata all’Università di Siena, è oggi ordinaria di Civiltà bizantina nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Roma Tre.
Figlia della scrittrice Vittoria Aliberti e di Alberto Ronchey – giornalista, scrittore e ministro dei Beni Culturali – ha frequentato negli anni ’70 il liceo classico Massimo d’Azeglio di Torino e poi il liceo classico Ennio Quirino Visconti di Roma. Proprio durante gli anni liceali ha maturato il suo interesse per la civiltà bizantina:
«… passavo il mio [tempo] nell’adiacente Biblioteca Casanatense, o mi spingevo fino all’Angelica. Ho continuato per tutti i tre anni del liceo, e quando mi sono accorta che la letteratura greca non finiva con quella che all’epoca si chiamava ellenistica, come poteva sembrare dai manuali scolastici, ma continuava per undici secoli, appunto a Bisanzio, ho cominciato a inoltrarmi con emozione in quella frontiera sconosciuta.» (Gian Paolo Grattarola Mangialibri.it intervista Silvia Ronchey, 2011)
Insieme allo scrittore e docente universitario Giuseppe Scaraffia è stata autrice e conduttrice di trasmissioni per la RAI e ha anche realizzato una serie di interviste a grandi nomi della cultura come Ernst Jünger, Claude Lévi-Strauss, James Hillman, David Lodge, Jean-Pierre Vernant.
L’incontro con lo psicoanalista, saggista e filosofo statunitense James Hillman, in particolare, ha dato origine a una duratura collaborazione che si è espressa, oltre che nelle interviste televisive, nei due libri-dialogo L’anima del mondo e Il piacere di pensare, protraendosi fino alla scomparsa di Hillman, del cui ultimo libro Silvia Ronchey ha curato nel 2021 la pubblicazione postuma, dal titolo L’ultima immagine, opera vincitrice l’anno successivo del Premio Viareggio sezione Saggistica.
SCELTA DI OPERE DI SILVIA RONCHEY – Silvia Ronchey ha scritto centinaia di articoli specialistici e numerosi libri. L’elenco completo delle sue pubblicazioni lo trovate qua. Se dovessimo scegliere alcuni dei suoi volumi, sceglieremmo i seguenti.
L’ultima immagine (2023) James Hillman con Silvia Ronchey – Questo libro postumo racchiude l’estremo pensiero di James Hillman. Non è solo la summa e l’ultimo approdo della riflessione sull’immagine, che fin dall’inizio sostanzia la sua idea di anima e tutta la sua psicologia. È anche il testamento, etico e politico, che uno dei massimi pensatori del Novecento ha voluto strenuamente concludere sul letto di morte, restando pensante sino alla soglia finale dell’intelletto, dell’introspezione, della biologia stessa
Ipazia(2011) – Con rigore filologico e storiografico e grande abilità narrativa, Silvia Ronchey ricostruisce in tutti i suoi aspetti l’avventura esistenziale e intellettuale di Ipazia, inserendola nella realtà culturale e sociale del mondo tardoantico, sullo sfondo del tumultuoso passaggio di consegne tra il paganesimo e il cristianesimo.
LA CHICCA: “Il seme del male”, la postfazione al romanzo di Robert Graves Sette giorni fra mille anni, romanzo distopico di un futuro in cui una società di stampo matriarcale. Di Robert Graves abbiamo parlato qua (al link trovi anche numerose recensioni).
La bibliografia di James Hillman è sterminata: avrebbe poco senso pubblicarla qua. Una buona bibliografia delle opere in italiano la trovate su Wikipedia, a questo indirizzo. Ci limitiamo qua a una scelta commentata di alcuni volumi. Se vuoi maggiori info su Hillman leggi questo post.
Il codice dell’anima. Carattere, Vocazione, Destino (1996) – Se volete andare alla scoperta dell’opera di Hilman, questo è il libro da cui inizare! Best seller internazionale in cui Hillman esplora il concetto di “daimon” e come la nostra vocazione e il nostro carattere siano inscritti nel nostro destino.
Puer Aeternus (1999) – Fra i lettori di Hillman si sentono spesso ricordare due scritti: il saggio sul tradimento e Senex e puer. Di fatto sarebbe difficile trovare una migliore via d’accesso al pensiero di Hillman. Nel primo caso perché in poche pagine egli ci offre un’analisi esemplare di una di quelle realtà condannate e deprecate che solo lo scandaglio psicologico riesce a illuminare dietro le grevi cortine della morale. Nel secondo perché la caratterizzazione del puer aeternus e quella parallela del senex hanno una tale precisione e capacità individuante da offrirsi come ausilio immediato per riconoscere nella nostra psiche i tratti dell’eterna fanciullezza e della saturnina vecchiaia. FORSE IL LIBRO PREFERITO DA ANDREAS!
Anima. Anatomia di una nozione personificata (1985) – Hillman approfondisce il concetto di anima, esaminando come sia rappresentata e vissuta nella cultura e nella psiche umana. Un gioco di canto e controcanto: 439 estratti da Jung intorno all’Anima e una sequenza di testi con cui Hillman risponde a Jung, ampliando il pensiero e talvolta contrapponendosi ad esso.
L’ultima immagine (2023) con Silvia Ronchey – Questo libro postumo racchiude l’estremo pensiero di James Hillman. Non è solo la summa e l’ultimo approdo della riflessione sull’immagine, che fin dall’inizio sostanzia la sua idea di anima e tutta la sua psicologia. È anche il testamento, etico e politico, che uno dei massimi pensatori del Novecento ha voluto strenuamente concludere sul letto di morte, restando pensante sino alla soglia finale dell’intelletto, dell’introspezione, della biologia stessa
Re-visione della psicologia (1975) – In questo libro, Hillman sfida le concezioni tradizionali di psicologia e presenta la sua visione della psicologia archetipica. “Re-visione della psicologia” significa allora riconoscere che religione e psicologia crescono sullo stesso terreno (non può esserci psicologia senza religione) e che la psicologia occidentale – il cui carattere nordico-protestante-monoteistico minaccia la “sopravvivenza dell’anima” e conduce lontano dal politeismo greco-rinascimentale – dev’essere abbandonata movendo “verso sud”. La terapia non è un operare scientifico-razionale, ma “un lavoro che invoca gli Dei”»
Il mito dell’analisi: Tre saggi di psicologia archetipica (1972) – Questo libro raccoglie tre saggi che affrontano criticamente il processo analitico in psicologia. Si può dire che questo libro segni il più importante sviluppo della psicologia analitica dopo la morte di Jung. James Hillman vi ha messo in questione l’analisi stessa con una radicalità e una consequenzialità che sconvolgono e scalzano ogni possibile routine delle varie scolastiche (junghiane non meno che freudiane). Dopo che per decenni l’analisi ha preteso di sezionare il mito, qui per la prima volta ci si chiede: qual è il mito che sta dietro all’analisi e la determina nel profondo?
Il sogno e il mondo infero (1979) – Hillman esplora il significato dei sogni e la loro connessione con il mondo dell’inconscio. A che cosa somiglia il sogno? Fin dall’antica domanda di Aristotele, possiamo inquadrare il paesaggio onirico solo per analogie, paragoni, metafore. Oppure, come ci suggerisce James Hillman in questo percorso sconcertante e provocatorio, possiamo accedervi lasciandoci alle spalle ogni tentativo di razionalizzarlo e di tradurlo nel linguaggio diurno, come era avvenuto, seppure con metodi opposti, nel caso di Freud e di Jung. La soluzione, per Hillman, consiste invece nel tornare alla mitologia come a una vera e propria “psicologia dell’antichità” e a una lettura del sogno come dimensione del “mondo infero”, in quanto invisibilmente intrecciato a quello superno.
La forza del carattere. La vita che dura(1999) – Questo libro affronta il concetto di carattere e esplora come possiamo svilupparlo per una vita significativa.. Non sempre è giusto cedere al fascinoso luogo comune secondo il quale chi muore giovane è caro agli dei, perché “così come il carattere guida l’invecchiamento, l’invecchiamento guida il carattere“. La senilità, quindi, non è un caso, né una dannazione, né l’abominio di una medicina moderna devota alla longevità, ma la condizione naturale e necessaria affinché si verifichino l’intensificazione e la messa a punto del nostro carattere, ossia della forma del nostro durare. Ma anche se il carattere sopravvive per immagini, invecchiare è una forma d’arte che ogni essere umano deve affrontare perché la vecchiaia si configuri come una “struttura estetica” che permetta di svolgere il ruolo archetipico di avo cui ogni anziano è chiamato.
Cent’anni di psicoanalisi. E il mondo va sempre peggio(1992) con Michael Ventura – In questo libro, Hillman e Ventura discutono le limitazioni della psicoterapia moderna e esplorano il rapporto tra terapia e società. Perché in cent’anni la psicoanalisi non è riuscita a curare il malessere dell’uomo, non ci ha reso più felici, non ha creato un mondo migliore? A oltre un secolo dalla nascita della terapia psicoanalitica, uno dei grandi filosofi e psicologi del Novecento e uno scrittore dialogano, interrogandosi sugli obiettivi raggiunti da questa disciplina e ne tracciano un bilancio.
Fuochi blu (1989) – Questo libro è una raccolta di scritti di Hillman che coprono una vasta gamma di argomenti, dalla psicologia all’arte, alla politica.
James Hillman è nato il 12 aprile 1926 a Atlantic City, New Jersey, negli Stati Uniti. Ha conseguito il dottorato in psicologia presso l’Università di Zurigo, in Svizzera, sotto la guida di Carl Gustav Jung, una figura chiave nella psicologia analitica. Dopo gli studi, Hillman ha lavorato in diverse istituzioni e ha scritto numerosi libri (vedi sotto per la bibliografia) che hanno avuto un impatto significativo nel campo della psicologia. È stato direttore di studi presso il C.G. Jung Institute a Zurigo e ha insegnato presso diverse università negli Stati Uniti. James Hillman è deceduto il 27 ottobre 2011 a Thompson, Connecticut, lasciando un’eredità duratura nel campo della psicologia e della filosofia dell’anima. La sua opera continua a influenzare psicologi, filosofi e studiosi interessati alla comprensione più profonda della psiche umana.
Le sue teorie – che egli definirà psicologia archetipale – non passano senza scandalo, nella comunità degli psicologi analisti junghiani europei ma Hillman procede per la sua strada, e le sue idee sul lavoro psicologico troveranno seguito, nel tempo, non solo tra accademici, studenti, clinici, ma anche tra artisti, scrittori e operatori sociali. Hillman si va convincendo che l’America ha più bisogno di (e interesse per) lui, che non l’Europa: così nel 1978, dopo più di trent’anni di Europa, l’americano Hillman torna negli USA. Negli Stati Uniti, Hillman non smette di pensare, di scrivere e di supervisionare il training di analisti junghiani, e continua comunque a mantenere forti legami con l’Europa, insegna in numerose università, e, seguendo il filo delle proprie riflessioni, si dedica anche ad attività di animazione culturale, rivolta a vari aggregati sociali: architetti, educatori, operatori sociali, artisti. Figura non riducibile in schemi accademici nonostante i titoli curriculari, letterato, ormai più filosofo che psicologo, Hillman è riuscito a evidenziare e a far condividere la necessità, per l’uomo postmoderno, di riconoscere e coltivare le connessioni mentali e psicologiche che lo legano alle sue radici culturali antiche, o addirittura arcaiche – e non solo in quanto singolo portatore di turbamenti e patologie dell’anima, ma in quanto componente di una società non meno turbata e patologica di lui.
Nel 1970 (Jung era morto da 9 anni) Hillman assume la direzione della Spring Publications, che allora aveva sede a Zurigo. Fu questo il punto di manifestazione della rielaborazione della psicologia analitica che egli andava conducendo, e la casa editrice ne divenne il centro. Il discorso sugli archetipi non era un’invenzione di Hillman. Era stato già aperto da Jung, negli anni Trenta, quando aveva individuato in essi le forme primarie delle esperienze vissute dall’umanità nello sviluppo della coscienza. Pure forme, che stanno ai simboli come la figura geometrica del quadrato sta a una cornice (intesa come oggetto) quadrata, e che – così come le forme geometriche – sono condivise da tutta l’umanità, sedimentate nell’inconscio collettivo di tutti i popoli, senza alcuna distinzione di luogo e di tempo, si manifestano come simboli, e pre-esistono alla psiche individuale, che organizzano.
La novità del punto di vista di Hillman – l’aspetto rivoluzionario della sua psicologia – è stata nell’intenzione di portare l’analisi fuori da un rapporto a due medicalizzato e nella scelta di polarizzare l’attività psicologica e psicoanalitica su due nuovi centri dinamici: l’anima e l’archetipo. Come scriveva più tardi in Re-visione della psicologia: “La terapia, o l’analisi, non è solo qualcosa che gli analisti fanno ai pazienti, essa è un processo che si svolge in modo intermittente nella nostra individuale esplorazione dell’anima, negli sforzi per capire le nostre complessità, negli attacchi critici, nelle prescrizioni e negli incoraggiamenti che rivolgiamo a noi stessi. Nella misura in cui siamo impegnati a fare anima, siamo tutti, ininterrottamente, in terapia.”
Quanto agli archetipi, Hillman li definisce nella stessa occasione come “i modelli più profondi del funzionamento psichico, come le radici dell’anima che governano le prospettive attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo. Essi sono le immagini assiomatiche a cui ritornano continuamente la vita psichica e le teorie che formuliamo su di essa”. Essi possono essere raggiunti anche attraverso l’analisi dei sogni, il cui “mondo infero” ci ricollega alle “ombre universali” dell’inconscio collettivo.
Gli archetipi costituiscono dunque la radice dei miti. E i miti sono le figure nelle quali si incanala e si esprime l’energia dell’anima, delle singole anime viventi: in alcuni casi e situazioni queste figure si impadroniscono del loro ospite, e lì nasce l’alienazione, cioè la perdita di sé. Il codice dell’anima porta come sottotitolo “Carattere, vocazione, destino”. La nozione di anima che Hillman reintroduce nella cultura psicologica occidentale, ma anche nella storia, traendola fuori dal linguaggio poetico e religioso nel quale era stata confinata dopo il neoplatonismo rinascimentale, è fortemente connessa al mito, che in essa trova il proprio luogo di manifestazione ininterrotto, e rivaluta fortemente l’immaginazione. Concludendo La vana fuga dagli dèi, egli definisce così questo nuovo uomo: “Attraverso la forza dell’immagine, che si esprime come sintomo […] l’uomo naturale, che si identifica con lo sviluppo armonico, l’uomo spirituale, che si identifica con la perfezione trascendente, e l’uomo normale, che si identifica con l’adattamento pratico e sociale, deformati, si trasformano nell’uomo psicologico, che si identifica con l’anima”.
Un aspetto interessante della psicologia di Hillman è appunto la sua attenzione, accentuatasi dal ritorno negli Stati Uniti, alla manifestazione del mito nella società moderna, sia nell’esperienza dei singoli che nelle opinioni collettive. Gli dèi non sono scomparsi, benché noi abbiamo creduto di essercene disfatti. Per esempio, «Ermes-Mercurio oggi è dovunque. Vola per l’etere, viaggia, telefona, è nei mercati, e gioca in borsa, va in banca, commercia, vende, acquista, e naviga in Rete. Seduto davanti al computer, te ne puoi stare nudo, mangiare pizza tutto il giorno, non lavarti mai, non spazzare per terra, non incontrare mai nessuno, e tutto questo continuando a essere connesso via Internet. Questa è Intossicazione Ermetica».
Riassunto del pensiero di James Hillman:
Psicologia archetipica: Hillman ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della psicologia archetipica, un approccio che si concentra sugli archetipi e sulle immagini simboliche come chiavi per comprendere l’anima umana. Ha sviluppato questa prospettiva in opposizione all’orientamento prevalentemente razionale della psicologia tradizionale.
Anima e immaginazione: Uno dei concetti centrali nel pensiero di Hillman è l’”anima”, che egli vedeva come il principio fondamentale e unificante della vita umana. Ha enfatizzato l’importanza dell’immaginazione come veicolo per accedere alla profondità dell’anima e ha incoraggiato un approccio più poetico e simbolico alla comprensione della psiche.
Critica della psicologia razionale: Hillman ha criticato la tendenza della psicologia moderna a ridurre l’esperienza umana a concetti razionali e scientifici. Ha sottolineato l’importanza di abbracciare l’irrazionalità, l’ambiguità e la complessità dell’anima umana.
Ecologia dell’anima: Un altro aspetto importante del pensiero di Hillman è la sua enfasi sull’ecologia dell’anima. Ha cercato di promuovere una connessione più profonda e rispettosa tra gli esseri umani e il mondo naturale, sottolineando l’importanza di considerare la psiche in relazione all’intero ambiente.
Psicologia politica: Hillman ha esteso la sua prospettiva psicologica anche al contesto sociale e politico. Ha esplorato la dimensione psicologica delle questioni politiche e sociali, cercando di comprendere come le dinamiche dell’anima possano influenzare la vita collettiva.
Il titolo di questo post è estrapolato da una frase che James Hillman pronuncia durante la lunga e interessante intervista che concesse a Silvia Ronchey. “Silvia Ronchey incontra James Hillman” è andato in onda la prima volta il 22 novembre 1999.
In questo post (in basso) trovate anche la bibliografia dei volumi menzionati nel filmato, oltre a una biografia, un riassunto del pensiero e la bibliografia ragionata delle opere di Hillman, e una biografia e bibliografia di Slivia Ronchey.
Come già Italo Calvino nel 1985, che nelle sue Lezioni americane. Six Memos for the Next Millenium elencava e spiegava sei valori propri della letteratura e che ci avrebbero dovuto accompagnare nel nuovo millennio, anche Silvia Ronchey e James Hillman nel 1999 affrescavano alcune immagini per permetterci di affrontare con archetipica copiosità il millennio che si stava per aprire. Nella ricchissima intervista si discetta dell’Anima del Mondo, del Giardino come metafora dell’anima e della vita psichica e che solo a tratti prende vita e diviene Anima.
Se dovessimo ricordare una frase una pronunciata da Hillman sceglieremmo questa: “Ciò che conta è imparare i miti, pensare miticamente. La nostra origine è nei miti”. Per noi Muse, che nei miti ci viviamo, e che da sempre ci affascinano e guidano le nostre scelte di vita, questa frase è un balsamo divino! 🙂
Qui trovate tutto la lunga e ricca intervista, sul canale youtube di Andreas, ISCRIVETEVI AL CANALE! GRAZIE MILLE E BUONA VISIONE!
BIBLIOGRAFIA MENZIONATA NEL FILMATO – Nel corso dell’intervista, si parla dei seguenti volumi (in ordine di menzione):
Fedro di Platone – Il Fedro, uno dei capolavori assoluti della filosofia e della letteratura occidentali, è in Platone il dialogo dell’eros e della bellezza, della follia divina e della felicità che dona ai mortali, dell’anima e del suo destino oltremondano, della filosofia come persuasione dialettica, infine dell’enigma della scrittura. Forse la più complessa e la più bella tra le opere del filosofo, o se vogliamo dell’inventore stesso della filosofia, opera prediletta dagli iniziati ai misteri platonici lungo il corso dei secoli fino a oggi, il Fedro respira un’aria sorgiva, popolata di spiriti misteriosi, in cui riecheggia un canto melodioso: si sentono il profumo dell’erba del prato, lo scorrere limpido delle fonti, il frinire delle cicale. L’estate statica, immota, placidamente sopita, ospita e racchiude la conversazione di Socrate con il personaggio eponimo, l’adorabile Fedro, per la cui persuasione e conversione si strugge e disputa l’eros della filosofia
Tutta l’Opera di Platone – Per chi vuole scoprire l’AUTORE filosofico per eccellenza, che continua a nutrire e influenzare la cultura occidentale.
Il suicidio dell’anima di James Hillman – James Hillman capovolge ogni prospettiva rispetto allo spinoso tema del suicidio. Come egli stesso scrive, non senza vigore polemico, questo libro “mette in discussione la prevenzione del suicidio; va a indagare l’esperienza della morte; accosta la questione del suicidio non dal punto di vista della vita, della società e della “salute mentale”, bensì in relazione alla morte e all’anima.
Repubblica di Platone – Nel mondo antico e poi ancora in quello moderno, “La Repubblica” non ha mai mancato di svolgere il suo compito principale: quello di invitare a pensare sul destino della vita individuale e sociale degli uomini. Un destino, secondo Platone, non prescritto e immutabile, ma da immaginare, argomentare, costruire.
Karl Kerényi – Una selezione di scritti del grande filologo classico e storico delle religioni ungherese, ritenuto fra i fondatori degli studi moderni, anche in chiave psicologica, della mitologia greca.
Opere e frammenti di Epicuro – All’idea che il mondo non abbia valore di per sé, Epicuro oppone il suo meccanicismo e il suo “materialismo”; all’idea che la vita umana non abbia senso, il filosofo greco oppone il suo ideale di felicità tutta mondana; alla concezione della scienza come contemplazione di verità eterne, Epicuro oppone quella della scienza come progressivo strumento di liberazione dai timori e dalla superstizione religiosa.
Il codice dell’anima. Carattere, Vocazione, Destino di James Hillman- Se volete andare alla scoperta dell’opera di Hilman, questo è il libro da cui inizare! Best seller internazionale in cui Hillman esplora il concetto di “daimon” e come la nostra vocazione e il nostro carattere siano inscritti nel nostro destino.
Politica della bellezza di James Hillman – La politica della bellezza di Hillman è una denuncia della prevalenza del brutto nella politica, a causa del dominio asfissiante dell’economia, della funzionalità, dell’utilità, del materialismo e del tecno-scientismo. Hillman rivendica la necessità per la psicoterapia di mettere al centro del suo interesse il bisogno essenziale che ha l’anima della bellezza, per la stretta connessione di Eros con entrambe. Hillman mostra le conseguenze che ha la perdita di bellezza per la vita pubblica, per la comunità e la città, e per il paziente
Puer Aeternus di James Hillman – Fra i lettori di Hillman si sentono spesso ricordare due scritti: il saggio sul tradimento e Senex e puer. Di fatto sarebbe difficile trovare una migliore via d’accesso al pensiero di Hillman. Nel primo caso perché in poche pagine egli ci offre un’analisi esemplare di una di quelle realtà condannate e deprecate che solo lo scandaglio psicologico riesce a illuminare dietro le grevi cortine della morale. Nel secondo perché la caratterizzazione del puer aeternus e quella parallela del senex hanno una tale precisione e capacità individuante da offrirsi come ausilio immediato per riconoscere nella nostra psiche i tratti dell’eterna fanciullezza e della saturnina vecchiaia.
La forza del carattere. La vita che dura di James Hillman – Non sempre è giusto cedere al fascinoso luogo comune secondo il quale chi muore giovane è caro agli dei, perché “così come il carattere guida l’invecchiamento, l’invecchiamento guida il carattere”. La senilità, quindi, non è un caso, né una dannazione, né l’abominio di una medicina moderna devota alla longevità, ma la condizione naturale e necessaria affinché si verifichino l’intensificazione e la messa a punto del nostro carattere, ossia della forma del nostro durare. Ma anche se il carattere sopravvive per immagini, invecchiare è una forma d’arte che ogni essere umano deve affrontare perché la vecchiaia si configuri come una “struttura estetica” che permetta di svolgere il ruolo archetipico di avo cui ogni anziano è chiamato.
Sant’Agostino – Citazione nel filmato: “Il tempo è semplicemente il riflesso dell’eternità”. Sant’Agostino, il teologo che pose le fondamenta della dottrina cristiana. Un libro introduttivo al Padre della Chiesa. La sua opera più famosa, Le Confessioni, opera scritta tra il 397 e il 400 d.C, è uno dei massimi capolavori della letteratura cristiana. Di carattere autobiografico, esse si suddividono in tredici libri nei quali il Santo confessa i propri peccati e rende grazie a Dio per averlo liberato dal male. L’autore descrive gli eventi principali della propria esistenza, analizzando così i passi che lo hanno portato a diventare un vero cristiano.
Poesie di John Keats – Citazione dal filmato: “Chiamate il mondo, vi prego, la valle del fare anima”. Questa citazione è stata utilizzata da Hillman per descrivere la sua “psicologia archetipica”. Secondo Hillman (nel Codice dell’anima, descritto sopra), questa citazione suggerisce che il mondo è un luogo in cui possiamo fare anima, ovvero un luogo in cui possiamo sviluppare la nostra identità personale e diventare ciò che siamo destinati a diventare.
Metafisica di Aristotele – La Metafisica è l’opera più famosa di Aristotele. Si tratta degli appunti che Aristotele preparava per le sue lezioni all’interno del Peripato. Lo Stagirita pone qui i problemi fondamentali sull’essere e sul perché del divenire ricercandone le cause e i principi primi.
Organon di Aristotele – Il volume presenta una nuova e originale traduzione dei sei trattati che costituiscono la raccolta conosciuta con il nome di Organon e che viene considerata come l’atto di nascita della “logica” occidentale.
Quando Elena, la bellissima figlia di Leda, raggiunse l’età da marito, tutti i principi di Grecia si presentarono al palazzo del suo patrigno Tindareo con ricchi doni per chiedere la sua mano, oppure si fecero rappresentare da parenti. Diomede, reduce dalla sua vittoria su Tebe, si trovò colà in compagnia di Aiace, Teucro, Filottete, Idomeneo, Patroclo, Menesteo e molti altri. Anche Odisseo giunse al palazzo, ma a mani vuote, poiché non aveva la minima possibilità di successo. Infatti benché i Dioscuri, fratelli di Elena, volessero maritarla a Menesteo di Atene, essa avrebbe dovuto essere concessa in sposa al principe Menelao, il più ricco degli Achei, rappresentato dal potente genero di Tindareo, Agamennone. E Odisseo lo sapeva. Tindareo non respinse alcuno dei pretendenti né, d’altro canto, volle accettare i doni offerti; poiché temeva che la sua preferenza per questo o quel principe potesse far nascere dispute tra gli altri. Odisseo così gli disse un giorno: «Se ti consigliassi un buon sistema per evitare una disputa, mi aiuteresti tu, in cambio, a sposare Penelope figlia di Icario?» «Affare fatto», rispose Tindareo. «Allora», continuò Odisseo, «il mio consiglio è questo: insisti perché tutti i pretendenti di Elena si impegnino a difendere il suo promesso sposo contro chiunque si adonti per la sua buona sorte». Tindareo convenne che quella era un’ottima soluzione. Dopo aver sacrificato e fatto a pezzi un cavallo, pregò tutti i pretendenti di disporsi in cerchio attorno alle carni sanguinanti e di ripetere il giuramento formulato da Odisseo. La carne del cavallo fu poi bruciata in un punto che ancora si chiama «Tomba del Cavallo».
Non si sa se Tindareo stesso scelse il marito di Elena, oppure se essa indicò la propria preferenza cingendo con una corona il capo dell’eletto. Sposò comunque Menelao che divenne re di Sparta dopo la morte di Tindareo e la divinizzazione dei Dioscuri. Un triste fato tuttavia incombeva sul loro matrimonio: anni prima, mentre stava sacrificando agli dei, Tindareo si era stupidamente scordato di Afrodite che si vendicò giurando di rendere famose per i loro adulteri le tre figlie del re: Clitennestra, Timandra ed Elena. Menelao ebbe da Elena una figlia, che chiamò Ermione; i loro figli maschi furono Eziola, Marafio, da cui si vanta di discendere la famiglia persiana dei Marafioni, e Plistene. Una schiava etolica chiamata Pieride generò poi a Menelao due bastardi gemelli: Nicostrato e Megapente. Perché, ci si chiede, Zeus e Temi fecero scoppiare la guerra di Troia? Forse per rendere famosa Elena che aveva messo l’una contro l’altra Asia ed Europa? Oppure per esaltare la stirpe dei semidei e al tempo stesso decimare le tribù popolose che opprimevano la faccia della Madre Terra? Le ragioni che mossero gli dei rimarranno per sempre oscure, ma la decisione era già stata presa quando Eris gettò la mela d’oro con la scritta «Alla più bella» sul tavolo del banchetto alle nozze tra Peleo e Teti. Zeus Onnipotente si rifiutò di appianare la disputa sorta tra Era, Atena e Afrodite, e lasciò che Ermes guidasse le tre dee sul monte Ida, dove Paride figlio di Priamo avrebbe fatto da arbitro. Ora, poco prima della nascita di Paride, Ecuba sognò di generare una fascina di legna brulicante di serpenti e si destò gridando che la città di Troia e le foreste del monte Ida erano in fiamme. Priamo subito consultò Esaco, il figliolo suo veggente, che annunciò: «II bimbo che sta per nascere sarà la rovina della nostra patria! Ti supplico di liberartene!» Pochi giorni dopo Esaco profetizzò di nuovo: «Le principesse troiane che partoriranno oggi dovranno essere uccise, e così pure i loro figli!» E infatti Priamo uccise sua sorella Cilla e il di lei figlio Munippo, nato quella mattina da segrete nozze con Timete, e li seppellì nel sacro recinto di Troo. Anche Ecuba mise alla luce un bimbo prima del calar del sole, ma Priamo risparmiò le loro vite, benché Erofila, sacerdotessa di Apollo, e altri veggenti, supplicassero Ecuba di uccidere almeno il bambino. Essa non ne ebbe il coraggio e infine Priamo decise di mandare a chiamare uno dei suoi pastori, un certo Agelao, e di affidargli quel triste compito. Agelao, che aveva il cuore troppo tenero per usare la corda o la spada, abbandonò il bimbo sul monte Ida, dove fu allattato da un’orsa. Ritornato sul posto cinque giorni dopo, Agelao rimase di stucco alla vista di quel prodigio e portò con sé il bimbo in una borsa (di qui il nome di Paride) e lo allevò con il proprio figlio appena nato; presentò poi a Priamo la lingua di un cane come prova che i suoi ordini erano stati eseguiti; ma alcuni dicono che Ecuba pagò Agelao perché risparmiasse la vita di Paride e celasse la verità a Priamo.
II nobile sangue di Paride si palesò ben presto nella sua radiosa bellezza, nella sua intelligenza e nella sua forza eccezionale; ancora fanciullo mise in fuga una banda di razziatori e ricuperò le bestie che essi avevano rubate, meritandosi così il soprannome di Alessandro. Benché a quell’epoca egli fosse poco più che uno schiavo, divenne l’amante prediletto di Enone, figlia del fiume Eneo e Ninfa delle fonti. Rea le aveva insegnato l’arte della profezia e Apollo, mentre era mandriano di Laomedonte, l’aveva istruita nella scienza della medicina. Paride ed Enone, radunati i loro greggi, usavano cacciare assieme; egli incideva il nome della Ninfa sulle cortecce dei faggi e dei pioppi. Lo svago favorito di Paride consisteva nel far lottare i tori di Agelao l’uno contro l’altro; coronava poi il vincitore con dei fiori, e il perdente con della paglia. Quando uno di codesti tori cominciò a vincere con regolarità. Paride lanciò una sfida ai tori campioni delle mandrie vicine e tutti furono sconfitti. Infine Paride propose come premio una corona d’oro al toro che riuscisse a superare il suo; Ares allora, per capriccio, si tramutò in toro e riportò la vittoria. Paride senza esitare lo premiò con la corona promessa, e quel gesto piacque molto ad Ares e a tutti gli altri dei che stavano a guardare dall’Olimpo. Ecco perché Zeus lo scelse come arbitro nella contesa delle tre dee. Paride stava pascolando la sua mandria sul monte Gargare, la vetta più alta dell’Ida, quando Ermes, accompagnato da Era, Atena e Afrodite, gli consegnò la mela d’oro e il messaggio di Zeus: «Paride, poiché tu sei un giovane tanto bello quanto esperto negli affari di cuore. Zeus ti ordina di giudicare quale di queste dee è la più bella». Paride dubbioso prese la mela tra le mani. «Come potrebbe un semplice mandriano come me divenire arbitro della divina bellezza?» disse. «Dividerò la mela fra le tre dee.» «No, no», replicò ansioso Ermes, «non puoi disobbedire all’ordine dell’Onnipotente Zeus, ne io sono autorizzato a darti il mio consiglio. Fai buon uso della tua naturale intelligenza». «E così sia», sospirò Paride. «Ma prima vorrei pregare le perdenti di non serbarmi rancore. Sono soltanto un essere umano, in grado di commettere i più stupidi errori.» Le dee in coro promisero di rimettersi alle sue decisioni. «Basterà che io le giudichi così come sono», chiese Paride a Ermes, «oppure debbono essere nude?» «Tocca a te stabilire le regole della gara», rispose Ermes con un discreto sorriso. «In tal caso, vogliono acconsentire a spogliarsi?» Ermes disse alle dee di obbedire ed educatamente voltò loro la schiena. Afrodite fu subito pronta, ma Atena volle che ella si togliesse anche la famosa cintura magica che le dava lo sleale vantaggio di fare innamorare tutti di sé. «Benissimo», rispose Afrodite seccata, «io me la toglierò, ma a patto che tu ti liberi dell’elmo: sei orribile, senza». «Ora, se non vi dispiace», disse Paride, «vorrei esaminarvi a una a una, per non essere distratto dalle discussioni. Avvicinati, divina Era! E voi due, sarete gentili da lasciarci per qualche minuto?» «Esaminami coscienziosamente», disse Era girando piano piano su se stessa per mettere in luce la sua splendida figura, «e ricordati che se mi giudicherai la più bella farò di te il padrone dell’Asia e il più ricco dei viventi». «Io non mi lascio comprare, mia signora… Benissimo, grazie. Ho veduto quanto basta. Vieni avanti, divina Atena!» «Eccomi», rispose Atena avanzando con passo risoluto. «E tu ascoltami. Paride: se sarai tanto assennato da assegnarmi il premio, farò di te il più bello e il più saggio degli uomini, vincitore di tutte le battaglie.» «Sono un umile pastore, non un guerriero», disse Paride, «e tu stessa puoi vedere che la pace regna nella Lidia e nella Frigia, e che la sovranità di re Priamo è incontestata. Ma prometto di tenere in considerazione le tue legittime pretese alla mela. Ora puoi rivestirti e rimetterti l’elmo. È pronta Afrodite?» Afrodite gli scivolò accanto e Paride arrossì perché era tanto vicina che quasi i loro corpi si toccavano. «Guarda bene. Paride, e che nemmeno un particolare ti sfugga… Bada che appena ti vidi, dissi a me stessa: “Parola mia, questo è il più bei giovane dell’intera Frigia! Perché si è seppellito su una montagna badando a una stupida mandria?” Ebbene, perché caro Paride? perché non te ne vai in città per vivere una vita civile? Che ci perderesti a sposare Elena di Sparta, a esempio, che è bella quanto me e non meno ardente? Sono certa che, se ti vedesse, abbandonerebbe la sua casa e la sua famiglia, tutto insomma, per divenire la tua amante. Certo tu hai sentito parlare di Elena!» «Mai fino ad oggi, mia signora, e ti sarò grato se vorrai descrivermela.» «Elena è bionda e di carnagione delicata, poiché nacque da un uovo di cigno. Può vantarsi di avere Zeus come padre, ama la caccia e la lotta, provocò una guerra quando era ancora bambina e, raggiunta l’età da marito, fu chiesta in sposa da tutti i principi della Grecia. Ora è moglie di Menelao, fratello del gran re Agamennone; ma ciò non crea ostacoli, può essere tua se lo vorrai,» «Come è possibile, se è già sposata?» «O cielo! Quanta innocenza! Non hai mai saputo che è mio divino dovere sistemare questioni del genere? Ti consiglio di recarti in Grecia sotto la guida di mio figlio Eros. Non appena avrai raggiunto Sparta, egli farà in modo che Elena si innamori pazzamente di te.» «Puoi giurarmelo?» gridò Paride eccitato. Afrodite pronunciò un giuramento solenne e Paride, senza pensarci due volte, le consegnò la mela d’oro. Con questo suo giudizio si attirò l’odio insanabile di Era e di Atena, che si allontanarono a braccetto complottando la distruzione di Troia; mentre Afrodite, con un perfido sorriso, già pensava a come tenere fede alla sua promessa.
Poco tempo dopo, Priamo mandò i suoi servi a scegliere un toro nella mandria di Agelao. L’animale avrebbe dovuto essere assegnato in premio al vincitore dei giochi funebri che si celebravano ogni anno in onore del morto figlio del re. Quando i servi scelsero il toro campione. Paride provò l’irresistibile desiderio di partecipare ai giochi. Invano Agelao tentò di distoglierlo dal suo proposito: «Puoi continuare a far combattere i tori anche quassù. Che altro vuoi?» Ma Paride insistette e infine Agelao lo accompagnò a Troia. Era usanza troiana che, al termine del sesto giro di pista della corsa dei cocchi, i concorrenti alla gara di pugilato cominciassero a battersi dinanzi al trono. Paride decise di competere e, nonostante le suppliche di Agelao, balzò nell’arena e vinse la corona, più per coraggio che per abilità. Arrivò primo anche nella gara di corsa e la cosa esasperò i figli di Priamo che lo sfidarono di nuovo: e così vinse la terza corona. Vergognandosi per quella pubblica umiliazione, i principi pensarono allora di ucciderlo e posero una guardia armata a ogni uscita dello stadio, mentre Ettore e Deifobo attaccavano Paride con le loro spade. Paride si rifugiò sull’altare di Zeus e Agelao corse verso Priamo gridando: «Maestà, questo giovane è il figlio vostro che credevate perduto!» Priamo convocò subito Ecuba la quale, esaminato un sonaglio che Agelao aveva trovato nelle mani del bimbo abbandonato, confermò l’identità di Paride. Questi allora fu condotto trionfalmente al palazzo dove Priamo festeggiò il suo ritorno con un sontuoso banchetto e sacrifici agli dei. Tuttavia, non appena i sacerdoti di Apollo ebbero udito questa notizia, annunciarono che Paride doveva essere immediatamente condannato a morte, altrimenti Troia sarebbe stata distrutta. Il loro verdetto fu riferito a Priamo che rispose: «Perisca pure Troia, ma non il mio bel figliolo!» I fratelli di Paride che erano già sposati insistettero perché egli prendesse moglie; ma Paride rispose che Afrodite gli avrebbe scelto la sposa, e come al solito innalzava a lei ogni giorno le sue preghiere. Quando fu convocato un altro concilio per discutere della liberazione di Esione, dato che le offerte pacifiche erano state respinte dai Greci, Paride si offerse volontario per guidare la spedizione, se Priamo gli avesse allestito una flotta potente e ben munita. Aggiunse astutamente che, se non fosse riuscito a riprendersi Esione, forse avrebbe portato con sé una principessa greca sua pari per trattare il riscatto. Ma in cuor suo, naturalmente, egli aveva già deciso di recarsi a Sparta e di rapire Elena.Quello stesso giorno Menelao arrivò inaspettatamente a Troia e chiese di visitare le tombe di Lieo e di Chimere, figli di Prometeo e di Celeno l’Atlantide; disse che l’oracolo delfico gli aveva imposto di sacrificare sulle loro tombe per por fine alla pestilenza che faceva strage in Sparta. Paride si intrattenne con Menelao e gli chiese di essere purificato da lui a Sparta, poiché senza volerlo egli aveva ucciso Anteo, il giovane figlio di Antenore, con una spada da bambini. Quando Menelao acconsentì, Paride, per consiglio di Afrodite, ordinò a Fereclo, figlio di Tettone, di allestire la flotta promessagli da Priamo; la figura che ornava la prua della nave ammiraglia era un’Afrodite con un piccolo Eros tra le braccia. Il cugino di Paride, Enea, figlio di Anchise, acconsentì ad accompagnarlo. Cassandra, i capelli irti in capo, predisse la guerra che sarebbe nata da quel viaggio ed Eleno appoggiò le sue parole; ma Priamo non badò ai suoi figli profetici. Nemmeno Enone riuscì a dissuadere Paride benché egli piangesse al momento del congedo. «Ritorna da me semmai sarai ferito», gli disse Enone, «perché io sola saprò curarti.» Appena la flotta fu salpata, Afrodite fece alzare una brezza favorevole e Paride ben presto giunse a Sparta, dove Menelao festeggiò il suo arrivo per nove giorni. Durante il banchetto, Paride offrì a Elena i doni che le aveva portato da Troia; e i suoi sguardi infuocati, i suoi alti sospiri e i suoi arditi cenni la misero in grande imbarazzo. Preso tra le mani il calice di Elena, Paride se lo portò alle labbra dalla parte dove la regina aveva bevuto; arrivò a tracciare sulla tovaglia col dito intinto di vino le parole: «Ti amo, Elena!» Elena ebbe paura che Menelao la sospettasse di incoraggiare la passione di Paride; ma Menelao che era uomo poco osservatore partì per Creta, dove doveva partecipare alle esequie di suo nonno Catreo, e lasciò a Elena il compito di intrattenere gli ospiti e di governare in sua assenza.
Elena fuggì con Paride la sera stessa e gli fece dono di sé nel primo porto dove gettarono l’ancora, cioè nell’isola di Cranae. Sulla terraferma, di fronte a Cranae, sorge ora il tempio di Afrodite che Unisce, fondato da Paride per ricordare l’evento. Alcuni sostengono erroneamente che Elena rifiutò le proposte di Paride e che egli la rapì con la forza mentre partecipavano assieme a una partita di caccia; oppure in Sparta stessa; oppure assumendo, con l’aiuto di Afrodite, l’aspetto di Menelao. Elena abbandonò a Sparta la figlia Ermione di nove anni, ma portò via con sé il figlio Plistene, la maggior parte dei tesori di corte e oro per il valore di tre talenti dal tempio di Apollo; inoltre la accompagnarono cinque ancelle, tra le quali erano due ex regine, Etra, la madre di Teseo e Tisadia, sorella di Piritoo. Mentre la flotta troiana veleggiava verso Troia, una violenta tempesta suscitata da Era costrinse Paride a rifugiarsi a Cipro. Di lì egli fece vela per Sidone e ivi fu accolto dal re; ma Paride, ormai esperto degli usi del mondo greco, assassinò e derubò a tradimento il suo ospite nella sala dei banchetti. Mentre il ricco bottino veniva imbarcato sulle navi, un gruppo di Sidoni attaccò i Troiani; questi li respinsero, e dopo aspra lotta che costò loro la perdita di due navi, presero il largo. Temendo di essere inseguito da Menelao, Paride si attardò per molti mesi in Fenicia, a Cipro e in Egitto; poi, raggiunta infine Troia, celebrò le sue nozze con Elena. I Troiani accolsero Elena con entusiasmo, rapiti da tanta bellezza. Un giorno, trovato sulla cittadella di Troia un sasso che stillava sangue se lo si soffregava contro un altro, Elena riconobbe in esso un potente afrodisiaco e lo usò per tener desta la passione di Paride. Non soltanto: tutta Troia si innamorò di lei e Priamo giurò di non lasciarla mai più ripartire.
Secondo una versione del tutto diversa, Ermes rapì Elena per ordine di Zeus e la affidò a re Proteo d’Egitto; frattanto un fantasma di Elena, fabbricato da Era (o secondo altri, da Proteo) con una nuvola, fu mandato a Troia con Paride, al solo scopo di provocare la guerra. I sacerdoti egiziani affermano, e la loro ipotesi è altrettanto improbabile, che la flotta troiana fu spinta fuori rotta dai venti contrari e che Paride approdò alla Pianura Salata, presso la bocca canopica del Nilo. Là sorge un tempio di Eracle, asilo per gli schiavi fuggiaschi che quando vi giungono si offrono al dio e ricevono certe sacre impronte sul loro corpo. I servi di Paride vi si rifugiarono e, dopo essersi assicurata la protezione dei sacerdoti, accusarono il padrone d’aver rapito Elena. La notizia fu portata a conoscenza di re Proteo a Menti e il re fece arrestare Paride e ordinò che glielo portassero dinanzi, con Elena e il tesoro rubato. Dopo un severo interrogatorio. Proteo scacciò Paride ma trattenne in Egitto Elena e il tesoro, in attesa che Menelao venisse a riprenderseli. In Menti sorge il tempio di Afrodite la Straniera, che si dice sia stato consacrato da Elena stessa. Elena generò a Paride tre figli, Bunomo, Agano e Ideo, morti tutti e tre ancora bambini, a Troia, per il crollo di un tetto; e una figlia, chiamata anch’essa Elena. Paride aveva avuto da Enone un figlio maggiore, di nome Corito; ed Enone, gelosa di Elena, lo mandò tra i Greci perché li guidasse contro Troia.
ll mito di Elena, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
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