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Il mito di Eracle (Parte 1 di 11): nascita e giovinezza

Il mito di Eracle (Parte 1 di 11): nascita e giovinezza

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prolegomena –  Elettrione, figlio di Perseo, gran re di Micene e marito di Anasso, marciò assetato di vendetta contro i Tafi e i Telebani. Essi si erano riuniti per razziare il bestiame di Elettrione, seguendo il consiglio di un certo Pterelao, pretendente al trono di Micene; e nello scontro che seguì perirono gli otto figli di Elettrione. Durante la sua assenza, suo nipote, Anfitrione, re di Trezene, assunse la carica di reggente. «Governa con saggezza e, quando tornerò vittorioso, potrai sposare mia figlia Alcmena», disse Elettrione salutandolo. Anfitrione, informato dal re dell’Elide che la mandria rubata era in suo possesso, pagò il forte riscatto richiesto e poi mandò a chiamare Elettrione perché identificasse il bestiame. Elettrione, per nulla soddisfatto all’idea di dover rifondere ad Anfitrione la somma del riscatto, gli chiese bruscamente quale diritto avessero gli Elei di vendere la roba rubata, e perché mai Anfitrione aveva ammesso tale frode. Senza degnarsi di rispondere, Anfitrione diede sfogo alla propria ira scagliando un bastone contro una delle vacche che si erano scostate dalla mandria; il bastone le batté contro le corna, rimbalzò e uccise Elettrione. Anfitrione allora fu bandito dall’Argolide da suo zio Stenelo, che si impadronì di Micene e di Tirinto e affidò il resto del regno, con Midea come capitale, ad Atreo e a Tieste, figli di Pelope.

Anfitrione accompagnato da Alcmena fuggì a Tebe, dove re Creonte lo purificò e diede in sposa sua sorella Perimeda all’unico figlio superstite di Elettrione, Licinnio, un bastardo nato da una donna frigia chiamata Midea. Ma la pia Alcrnena non volle giacersi con Anfitrione finché egli non avesse vendicato la morte degli otto fratelli di lei. Creonte gli concesse di reclutare un esercito di Beoti, a patto che egli liberasse i Tebani dalla volpe Teumessia; e Anfitrione vi riuscì, chiedendo a prestito il famoso cane Leiape a Cefalo l’Ateniese. Poi, aiutato da contingenti ateniesi, focesi, argivi e locresi, Anfitrione sopraffece i Telebani e i Tafì e consegnò le loro isole ai suoi alleati, tra i quali era anche lo zio di Anfitrione, Eleo.

Frattanto, approfittando dell’assenza di Anfitrione, Zeus ne assunse l’aspetto e si presentò ad Alcmena, le assicurò che i suoi fratelli erano ormai vendicati (infatti Anfitrione aveva ottenuto la sospirata vittoria quel mattino stesso) e giacque con lei per una notte che egli fece durare quanto tre. Ermete, per ordine di Zeus, aveva indotto Elio a spegnere i fuochi solari e a trascorrere il dì seguente a casa, mentre le Ore staccavano i cavalli dal suo carro; la procreazione di un grande eroe quale Zeus aveva in mente non era infatti cosa che si potesse sbrigare in fretta. Elio obbedì, rimpiangendo tuttavia i vecchi tempi, quando il giorno era il giorno e la notte la notte e quando Crono, allora dio onnipotente, non abbandonava la moglie fedele per andarsene a Tebe in cerca di avventure. Ermete poi ordinò alla Luna di rallentare il suo corso, e al Sonno di intorpidire le menti degli uomini affinché non si accorgessero di quanto stava accadendo. Alcmena, tratta in inganno, ascoltò con gioia quanto Zeus le raccontava sulla clamorosa sconfitta inflitta a Pterelao a Ecalia, e godette innocentemente delle gioie coniugali col suo supposto marito per trentasei ore intere. Il giorno seguente, quando Anfitrione ritornò, esaltato dalla vittoria e dalla passione per Alcmena, non fu accolto nel letto coniugale col trasporto che si aspettava. «Non abbiamo dormito affatto la scorsa notte», si lagnò Alcmena, «e spero che tu non voglia raccontarmi daccapo la storia delle tue gloriose imprese». Anfitrione, che non riusciva a capire il significato di quella frase consultò il veggente Tiresia e seppe di essere stato cornificato da Zeus; in seguito non osò più giacere con sua moglie, per paura di incorrere nella gelosia divina.

Nascita di Eracle – Nove mesi dopo, sull’Olimpo, Zeus si vantò di aver procreato un figlio, ora sul punto di nascere, che sarebbe stato chiamato Eracle, e cioè «gloria di Era» e avrebbe governato sulla nobile casa di Perseo. Era allora gli fece promettere che il primo principe della casa di Perseo nato anzi il calar del sole sarebbe stato gran re. Quando Zeus ebbe pronunciato un solenne giuramento a questo proposito. Era si recò subito a Micene, dove affrettò le doglie di Nicippe, moglie di re Stenelo. Poi si precipitò a Tebe e sedette a gambe incrociate dinanzi alla porta di Alcmena, con i lembi della veste annodati e le dita congiunte; in tal modo riuscì a ritardare la nascita di Eracle, finché fu certa che Euristeo figlio di Stenelo, un bimbo nato settimino, fosse già nella culla. Quando Eracle venne alla luce, un’ora troppo tardi, si scoprì che aveva un gemello, che fu chiamato Ificle, figlio di Anfitrione e più giovane di lui di una notte. Ma altri dicono che Eracle, e non Ificle, era più giovane di una notte; e altri ancora, che i due gemelli furono generati la medesima notte e nacquero assieme e il padre loro Zeus illuminò di luce divina la stanza del parto. Dapprima Eracle fu chiamato Alceo o Palemone. Quando Era risalì all’Olimpo e soddisfatta si vantò di essere riuscita a tenere lontana Ilizia, dea del parto, dalla soglia di Alcmena, Zeus fu colto da una collera violentissima; afferrata sua figlia maggiore Ate, che l’aveva reso cieco all’inganno di Era, giurò solennemente che non avrebbe mai più rivisto l’Olimpo; poi la fece roteare sopra la propria testa stringendone fra le dita la bionda chioma e la scaraventò sulla terra. Benché Zeus non potesse rimangiarsi il giuramento e permettere a Eracle di governare sulla casa di Perseo, persuase tuttavia Era ad acconsentire che, dopo aver compiuto dodici fatiche impostegli da Euristeo a suo piacimento, il giovane sarebbe divenuto un dio.

Ora, contrariamente a quanto era accaduto per i suoi precedenti amori mortali, da Niobe in poi, Zeus non scelse Alcmena soltanto per il suo piacere, benché essa superasse tutte le contemporanee per bellezza, dignità e saggezza, ma con il proposito di generare un figlio tanto forte da impedire lo sterminio degli uomini e degli dei. Alcmena, la sedicesima discendente della stessa Niobe, fu l’ultima donna mortale con la quale Zeus si giacque, poiché in nessun’altra egli sperava di generare un eroe che eguagliasse Eracle; e tenne Alcrnena in così gran conto che, invece di violentarla bruscamente, si prese la briga di assumere le sembianze di Anfitrione e di sedurla con parole affettuose e carezze. Egli sapeva che Alcmena era incorruttibile e quando, all’alba, le offrì una coppa carchesia, essa l’accettò con naturalezza, come parte del bottino di guerra: un dono che Telebo aveva avuto da suo padre Posidone.

Altri dicono che Era non scese dall’Olimpo per ritardare il parto di Alcmena, ma affidò quel compito alle streghe, e che Istoride, figlia di Tiresia, le ingannò lanciando un grido di gioia nella camera del parto, che ancor oggi si può visitare a Tebe. Le streghe allora se ne andarono e permisero al bimbo di nascere. Secondo altri, fu Ilizia che ostacolò il travaglio per ordine di Era; la fedele serva di Alcmena, la bionda Galantide, o Galena, lasciò la camera del parto per annunciare, mentendo, che Alcmena si era sgravata. Quando Ilizia balzò in piedi stupita, allargando le dita e raddrizzando le ginocchia. Eracle nacque e Galantide rise per la buona riuscita del suo inganno; Ilizia, infuriata, l’afferrò per i capelli e la tramutò in donnola. Galantide continuò a frequentare la casa di Alcmena, ma Era la punì per aver mentito: fu condannata per sempre a partorire dalla bocca. Quando i Tebani tributano a Eracle onori divini, offrono sacrifici preliminari a Galantide, chiamata anche Galintiade e descritta come la figlia di Preto; dicono che essa fu la nutrice di Eracle e che Eracle stesso le eresse un santuario. Gli Ateniesi ridono di questa leggenda tebana e sostengono che Galantide era una prostituta, tramutata in donnola da Era per aver indulto a pratiche lussuriose contro natura; per caso capitò dinanzi alla casa di Alcmena in travaglio e la spaventò tanto da accelerare il parto di Eracle. L’anniversario della nascita di Eracle è festeggiato il quarto giorno di ogni mese; ma taluni sostengono che egli nacque quando il Sole entrò nella decima costellazione; e altri che la Grande Orsa, inclinandosi a mezzanotte verso Orione, cosa che accade quando il Sole esce dalla dodicesima costellazione, abbassò lo sguardo su Eracle che aveva allora dieci mesi.

Eracle diviene immortale – Alcmena, che temeva la gelosia di Era, abbandonò il suo bimbo neonato in un campo, fuori delle mura di Tebe; e colà, per istigazione di Zeus, Atena condusse Era a passeggiare. «Guarda, mia cara, che bimbo eccezionalmente robusto!» disse Atena simulando sorpresa mentre si chinava per prendere Eracle tra le braccia. «Sua madre deve aver perduto il senno per abbandonarlo così in questo campo sassoso! Suvvia, tu hai del latte, danne a questa povera creatura!» Sconsideratamente, Era prese il bambino e si denudò il petto, ed Eracle vi si attaccò con tanta forza che la dea gemendo per il dolore lo allontanò da sé; un getto di latte volò verso il cielo e divenne la Via Lattea. «Quale mostro è mai questo bambino!» gridò Era. Ma ormai Eracle era immortale e Atena sorridendo lo restituì ad Alcmena, raccomandandole di averne cura e di farlo crescere bene. I Tebani ancor oggi mostrano il luogo dove Era fu così ingannata; il campo è chiamato «Pianura di Eracle». Taluni tuttavia dicono che Ermete portò Eracle neonato sull’Olimpo; che Zeus stesso lo posò sul petto di Era mentre la dea dormiva; e che la Via Lattea si formò quando Era, destatasi, lo allontanò da sé, oppure quando Eracle, avendo succhiato più latte di quanto la sua bocca ne potesse contenere, lo rigurgitò. In ogni caso, Era fu la madre adottiva di Eracle, seppure per breve tempo, e i Tebani perciò lo considerano addirittura suo figlio e dicono che egli si chiamava Alceo prima che la dea lo allattasse, e gli fu poi mutato il nome in onore di lei.

I serpenti e la culla – Una sera, quando Eracle aveva otto o dieci mesi o, come altri sostengono, un anno, e non era ancora svezzato, Alcmena, dopo aver lavato e allattato i gemelli, li coricò sotto una coperta di vello di agnello in una culla di bronzo che Anfitrione aveva riportato come bottino dalla sua vittoria su Pterelao. A mezzanotte Era mandò due prodigiosi serpenti dalle scaglie azzurrine nella casa di Anfitrione, col severo ordine di uccidere Eracle. Le porte si aprirono dinanzi a loro ed essi scivolarono sui marmorei pavimenti sino alla camera dei bambini; fiamme schizzavano dai loro occhi e veleno gocciolava dalle loro fauci. I gemelli si destarono e videro i serpenti inarcarsi dinanzi a loro, dardeggiando le lingue biforcute: poiché Zeus di nuovo illuminò la camera di luce divina. Ificle strillò, gettò via le coperte scalciando e nel tentativo di fuggire cadde dalla culla. Le sue grida atterrite, la strana luce che brillava nella camera dei bambini, destarono Alcmena. «Alzati, Anfitrione!» essa gridò. Senza nemmeno indugiare per infilarsi i sandali. Anfitrione balzò dal letto di legno di cedro, afferrò la spada che stava appesa alla parete e la sfilò dal lucido fodero. In quel momento la luce nella camera dei bambini si spense. Gridando agli schiavi addormentati di portare delle torce, Anfitrione varcò la soglia: ed Eracle, che non aveva lanciato nemmeno un gemito, tutto
fiero gli mostrò i serpenti che egli stava strangolando, uno per mano. Appena furono morti, Eracle rise, fece balzi di gioia e gettò i rettili ai piedi di Anfitrione. Mentre Alcmena confortava l’atterrito Ificle, Anfitrione fece coricare Eracle, gli rimboccò le coperte e tornò a letto. All’alba, quando il gallo ebbe cantato tre volte, Alcmena fece venire il vecchio Tiresia e gli parlò del prodigio. Tiresia, dopo aver previsto future glorie per Eracle, consigliò ad Alcmena di innalzare un rogo con legna secca di erica, pruno selvatico e rovo, e di bruciarvi sopra a mezzanotte i serpenti. Il mattino seguente un’ancella doveva raccogliere le loro ceneri, portarle sulla roccia dove un tempo stava accoccolata la Sfinge e spargerle ai quattro venti, per poi fuggire senza voltarsi mai. Al suo ritorno bisognava purificare il palazzo con fumi di zolfo e acqua di sorgente salata, e corornarne il tetto con rami di ulivo selvatico. Infine, dovevasi sacrificare un cinghiale sul sommo altare di Zeus. E Alcmena fece tutto ciò. Ma altri dicono che i serpenti erano innocui, e posti nella culla da Anfitrione stesso che voleva sapere quale dei due gemelli fosse suo figlio, e lo seppe.

Giovinezza di Eracle – Quando Eracle non fu più un bambino. Anfitrione gli insegnò a guidare il cocchio e a girare attorno alla meta senza sfiorarla. Castore gli diede lezioni di scherma, lo istruì nell’arte di maneggiare le armi e nella tattica di cavalleria e fanteria. Uno dei figli di Ermete fu il suo maestro di pugilato: o Autolico o Arpalico, così orrendo a vedersi quando combatteva che nessuno osava affrontarlo. Eurito gli insegnò a maneggiare l’arco, o forse lo fu scita Teutaro, uno dei mandriani di Anfitrione, o forse lo stesso Apollo,5 Ma Eracle superò tutti gli arcieri che fossero mai esistiti e persino il suo compagno Alcone, padre di Palerò l’Argonauta, che sapeva trapassare una serie di anelli posti sugli elmi dei soldati in fila o fendere una freccia in bilico sulla punta di una lancia. Un giorno, quando suo figlio fu attaccato da un serpente che lo avvolse nelle proprie spire, Alcone scoccò una freccia con tanta abilità da uccidere il serpente senza nemmeno scalfire il ragazzo. Eumolpo insegnò a Eracle a cantare e a suonare la lira; mentre Lino, figlio del dio del fiume Ismenio, lo introdusse allo studio della letteratura. Un giorno, durante l’assenza di Eumolpo, Lino volle dare a Eracle lezioni di lira; il ragazzo si rifiutò di seguire princìpi diversi da quelli impartitigli da Eumolpo e, fustigato in punizione della sua caparbietà, uccise Lino con un colpo di lira. Processato per assassinio, Eracle citò la legge di Radamanto che giustificava l’uso della violenza contro un aggressore, e si assicurò così l’assoluzione. Anfitrione, tuttavia, temendo che il ragazzo potesse commettere altri crimini, lo mandò a pascolare le mandrie in un suo possedimento agreste, e colà egli visse fino al suo diciottesimo anno, sopravanzando tutti i coetanei per statura, forza e coraggio. Fu prescelto per reggere l’alloro durante la processione di Apollo Ismenio e i Tebani ancora conservano 11 tripode che Anfitrione consacrò per lui in quella occasione. Non si sa chi insegnò a Eracle l’astronomia e la filosofia, però egli era assai dotto in ambedue gli argomenti.

Aspetto fisico di Eracle – Di solito si attribuisce a Eracle una statura di quattro cubiti. Ma poiché egli misurò col proprio passo lo stadio di Olimpia, fissandone la lunghezza in seicento piedi, e poiché gli stadi greci di epoca più tarda, lunghi teoricamente seicento piedi, risultarono molto più corti di quello di Olimpia, il saggio Pitagora ne dedusse che la lunghezza del passo di Eracle, e di conseguenza la sua statura, stavano al passo e alla statura, degli altri mortali come la lunghezza dello stadio olimpico stava alla lunghezza degli altri stadi. In base a questo calcolo stabilì che Eracle era alto quattro cubiti e un piede, ma altri sostengono che egli non superava la statura normale. Gli occhi di Eracle lampeggiavano come fuoco ed egli aveva una mira infallibile, sia col giavellotto sia con l’arco. Mangiava parcamente a mezzogiorno; per cena il suo cibo favorito era carne arrostita e ciambelle d’orzo cotte alla maniera dorica; e ne divorava tante (seppur la storia è credibile) da indurre uno dei suoi mandriani a borbottare: «Basta!» Indossava una tunica corta e linda, e preferiva trascorrere la notte sotto la volta stellata anziché al coperto.Una profonda conoscenza della scienza augurale lo induceva a salutare con gioia il passaggio di avvoltoi nel cielo, ogni volta che egli dovesse iniziare una nuova Fatica. «Gli avvoltoi», pare dicesse, «sono i più onesti fra gli uccelli: non attaccano mai le creature viventi.» Eracle si vantava di non aver mai iniziato un litigio, ma di aver sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui. Un certo Termero usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a testate; il cranio di Eracle si dimostrò il più solido ed egli spaccò la testa di Termero come se fosse un uovo. Eracle, tuttavia, era cortese per natura, e fu il primo mortale che spontaneamente restituì ai nemici le spoglie dei loro morti perché le seppellissero.

Vai a: Il mito di Eracle (Parte 2 di 11): prime avventure e la pazzia

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Recensione: Eracle – L’eroe più popolare

Recensione: Eracle – L’eroe più popolare

“Dice un proverbio antico, diffuso tra i mortali, che il bilancio di una vita, se sia misera o felice, si può fare soltanto quando è ormai finita.” (Sofocle, Trachinie, vv. 1-3)

Dal risvolto di copertina: “Non legato a una città o a una stirpe, Eracle (divenuto Hercules nel pantheon romano) è in verità l’unico “eroe nazionale” dei Greci, il più popolare, il più raffigurato, il protagonista di miti innumerevoli. Dotato di una forza e di un coraggio eccezionali, va in giro da cittadino del mondo a liberare la terra dai mostri e gli uomini dalla soggezione a essi, a sterminare gli animali che devastano il territorio dell’uomo, a eliminare malfattori, sacrileghi, tracotanti, a ristabilire la giustizia violata. È un benefattore e un civilizzatore (si deve a lui l’istituzione delle Olimpiadi), ma è anche violento, distruttivo, portato all’eccesso e alla dismisura. Conosce anche le cocenti sconfitte, l’ingiusta persecuzione della dea Hera nei suoi confronti, l’abisso del dolore nel momento in cui uccide senza volerlo la moglie e i figli. La compresenza, anche varia e discorde, di tanti aspetti dell’esistenza umana trova il suo sigillo positivo nell’assunzione tra gli dèi dell’Olimpo, un destino a lui riservato, unico fra gli eroi..”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Eracle incarna alcuni valori fondamentali della società aristocratica più antica: il coraggio intrepido, la forza smisurata, la lealtà verso gli amici, la spietatezza verso i nemici, il rispetto delle leggi dell’onore. C’è un Eracle primitivo, tutto forza e ardimento, guerriero; un Eracle sofferente (raffigurato, tra l’altro, da Euripede), più aperto a valori umani; un Eracle civilizzato, che esprime la prospettiva di una società evoluta.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Eracle è curato da Salvatore Nicosia, professore emerito di Lingua e Letteratura greca presso l’università di Palermo. Qui gli ultimi volumi pubblicati.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Eracle.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Eneide: un riassunto dei contenuti pubblicati

Eneide: un riassunto dei contenuti pubblicati

Nel corso degli anni abbiamo pubblicato diversi post inerenti l’Eneide di Virgilio. Per vostra comodità vi rimettiamo tutti i link qua sotto. Buona lettura!

L’Eneide – Introduzione
L’Eneide – Il pio Enea
L’Eneide – Quale versione leggere?
L’Eneide – Turno, il re guerriero
L’Eneide – Venere vs. Giunone
L’Eneide – Son pensieri in libertà
L’Eneide – Le vittime guerriere
Enea – L’eroe di una nuova dinastia
Il mito di Enea – Origini e Guerra di Troia – Parte 1 (di 3)
Il mito di Enea – Fuga da Troia, lungo viaggio per mare, il Lazio – Parte 2 (di 3)
Il mito di Enea – Riassunto scolastico dell’Eneide – Parte 3 (di 3)

 

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Il mito di Enea – Riassunto scolastico dell’Eneide – Parte 3 (di 3)

Il mito di Enea – Riassunto scolastico dell’Eneide – Parte 3 (di 3)

Il racconto del mito di Enea è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 13: Enea – L’eroe di una nuova dinastia.

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Enea – Fuga da Troia, lungo viaggio per mare, il Lazio – Parte 2 (di 3).

L’Eneide è un poema scritto dall’autore latino Publio Virgilio Marone, meglio noto come Virgilio, negli anni che vanno dal 31 a.C. al 19 a.C. La storia raccontata dall’autore ha come protagonista Enea, figlio di Anchise, che abbandona la città di Troia dal momento in cui viene conquistata dagli Achei in seguito alla guerra con i troiani. Virgilio descrive tutto il viaggio che fa Enea nell’area mediterranea fino al Lazio, divenendo così celebre progenitore degli antichi romani. L’opera si compone di dodici libri in tutto e Virgilio fece espressa richiesta di bruciare tutto qualora non fosse riuscito a dare compimento al lavoro. L’amico di Virgilio a cui lasciò detta questa cosa, Vario Rufo, non rispettò questa sua volontà e conservò lo scritto, che venne poi pubblicato dall’imperatore romano Cesare Ottaviano Augusto. L’Eneide è e rimane una delle più antiche opere letterarie conosciute al mondo, capolavoro di epoca latina. Vediamo ora insieme la trama dell’Eneide, i personaggi più importanti e tutto ciò che serve sapere sul poema.

Eneide: la trama

Nel Libro I dell’Eneide Enea, dopo aver assistito alla caduta di Troia, salpa con la sua flotta per spostarsi dal Mediterraneo orientale verso il Lazio, dove deve portare gli dèi Penati e fondare una nuova stirpe per guidare i popoli. Oppositrice di questa missione di tipo fondativo è Giunone, dea adirata con Enea per aver perduto una gara di bellezza con sua madre Venere. Passati sette anni di navigazione i Troiani sono nel mar Tirreno ma la dea, ostile, scatena una tempesta con la complicità di Eolo allo scopo di spazzare via la flotta. Il dio Nettuno, infastidito da questa intromissione nella sua giurisdizione, decide allora di calmare le acque così che i Troiani possano approdare sulle coste dell’Africa sani e salvi, precisamente a Cartagine. Venere, travestita da cacciatrice, arriva fino ad Enea e lo redarguisce rispetto alla storia della città, raccontandogli della regina Didone. Nel mentre Mercurio si reca dai cartaginesi per informarli dell’arrivo. Enea viene accolto con onore dalla regina e Venere, a quel punto, architetta un piano affinché la donna si innamori di lui.

Nel Libro II e nel Libro III dell’Eneide Virgilio racconta il banchetto di accoglienza in cui Enea narra tutte le sue avventure partendo proprio da ciò che è stata la caduta di Troia. Egli racconta di Ulisse e dell’inganno del cavallo di legno, delle profezie inascoltate di Laocoonte e di Cassandra, della lotta e dei morti, delle fiamme e della precipitosa fuga col padre Anchise; la morte di Priamo, il fortuito incontro con Elena e la voglia di ucciderla. Insomma, attraverso la voce di Enea tutto viene narrato, compreso il fatto che sua moglie Creusa risulta dispera e che gli è comparsa in sogno.

Nel terzo libro Enea continua con il racconto del lungo viaggio parlando degli altri luoghi che ha visitato con la sua flotta, a partire dal Chersoneso Tracico e dall’Isola di Delo. Nel primo luogo incontra l’anima di Polidoro trasformata in pianta e a Delo riceve l’oracolo di Apollo, scoprendo i luoghi dove avrebbe dovuto fondare una nuova città e una nuova stirpe. La profezia dell’oracolo gli intimava di cercare l’antica madre, che corrispondeva per Anchise all’isola di Creta.

Nel Libro IV dell’Eneide, arrivati a Creta, i Penati di Troia si erano fatti vedere in sogno ad Enea correggendo l’interpretazione dell’oracolo: non Creta, bensì la città italiana di Corythus era la destinazione giusta. Enea parla anche delle tappe sulle isole Strofadi e a Butroto. Terminato il racconto si arriva all’approdo a Cartagine, dopo la morte di Anchise a Drepano. La regina Didone, terminato il racconto dell’eroe, sente la passione ardere per lui e lo confessa alla sorella Anna, ricordando anche che sulla tomba del marito Sicheo ha pronunciato voto di fedeltà. Venere e Giunone, intanto, continuano a complottare per l’unione dei due, anche se consapevoli che al Fato non ci si può opporre. Il giorno dopo Enea e Didone partono per andare a caccia ma vengono sorpresi da una tempesta. Rifugiatisi in una grotta, i due si uniscono presi dalla passione. Interviene la Fama, mostro alato, che va ad avvertire Iarba, pretendente che la regina ha respinto, dell’amore tra i due. L’uomo, adirato, invoca Giove e il Dio comanda a Mercurio di ricordare a Enea quale sia la sua missione. L’eroe Enea, a malincuore, è costretto ad armare la sua flotta per ripartire. La regina, che scopre la notizia non da lui, lo raggiunge furiosa per ricordargli il loro amore. Enea, dal canto suo, non cede. Didone torna, disperata, dalla sorella per far preparare un rogo dove bruciare tutti i ricordi e le armi del troiano. Nel rogo, alla fine, si getta anche lei una volta trafittasi con la spada di Enea. Sorta l’alba, la flotta salpa ed Enea si volge per guardare Cartagine; vedendo un filo di fumo mesto alzarsi verso il cielo capisce cosa è successo.

Nel Libro V dell’Eneide leggiamo del viaggio alla volta dell’Italia che prosegue. La flotta giunge in Sicilia, a Erice, dove i Troiani vengono accolti da re Ageste. Poiché non lontano dalla tomba del padre Anchise, Enea indice in suo onore giochi funebri, banchetti e sacrifici. Giunone, intanto, approfitta del momento e, ingannandole, spinge le donne troiane a bruciare le navi e ad erigere mura. Arrivati i Troiani, che domano l’incendio a fatica, Enea è preso dalla voglia di fermarsi e fondare la città di Acesta, dove una parte della comunità si ferma. Il fantasma del padre rivela poi al figlio che dovrà scendere nell’Averno tramite l’aiuto di una sibilla.

Nel Libro VI dell’Eneide si narra della discesa negli Inferi di Enea. Salpato anche dalla Sicilia, con speranza e malinconia, la sua flotta arriva a Cuma, dove si trova la sibilla Deifobe. La creatura preannuncia ad Enea che ci saranno nuove guerre e che un nuovo Achille dovrà essere sconfitto. Dopo di questo lo conduce nell’oltretomba all’Acheronte, il fiume infernale che accoglie le anime in pena dei morti non sepolti. Superato Cerbero, incontrano i Troiani morti in guerra; alcuni sono anime di eroi, altri anime dei suicidi per amore e, tra loro, Enea trova la regina Didone. La sua anima, sdegnosamente, ignora Enea. Arrivati da Anchise, l’uomo spiega al figlio che le anime dovrebbero trovare nuovi corpi in un ciclo perenne di nascite e rinascite.

Nel Libro VII e dopo aver elencato tutti coloro che renderanno Roma grande, Enea e Deifobe tornano nel mondo dei vivi attraverso la Porta dei Sogni. Con questo libro si apre la seconda parte dell’Eneide, quella che narra la guerra latina. Enea si trova a seppellire la sua nutrice, Caieta, nella città che poi porterà il suo nome. L’uomo arriva a sbarcare alla foce del Tevere e manda subito un messaggero al re del luogo, Latino, che lo accoglie con benevolenza. Il re sa, attraverso il dio italico Fauno, che la figlia Lavinia dovrà sposare uno straniero con il quale genererà una stirpe eroica. Questa è la ragione per cui l’uomo ha rifiutato di concedere Lavinia in sposa a Turno, re dei Rutuli, che però viene reso geloso da Giunone.

Il Libro VIII dell’Eneide vede scatenarsi una guerra al primo futile pretesto. Turno ha molto alleati, tra cui Mezenzio, re etrusco di Cere, Clauso, principe dei Sabini, Ufente, capo degli Equi, la vergine Camilla, regina dei Volsci, Virbio, re di Aricia, Umbrone, condottiero dei Marsi e altri ancora. A Enea serve un esercito, vista la quantità di nemici che deve affrontare, e in sogno gli compare il dio Tiberino: il suo ordine è quello di allearsi con il principe di una cittadina del Palatino di nome Evandro. Recatosi da lui, lo invia poi da Tarconte, capo di tutti gli Etruschi. Enea ha così il suo esercito e Venere gli concede armi divine.

Nel IX Libro Iride informa Turno dell’assenza di Enea e lui decide di attaccare i Troiani, che però resistono. Turno mette sotto assedio l’accampamento e, quella stessa notte, i compagni di Enea Niso e Eurialo riescono ad entrare di nascosto tra le linee nemiche compiendo una strage dei guerrieri addormentati. Allontanandosi, però, vengono intercettati e uccisi. Saputo cosa è successo Turno si infuria e attacca nuovamente, ma viene messo in fuga.

A cominciare il Libro X sono Giunone, Giove e Venere con il loro concilio degli dei. Enea torna e, insieme alla lega etrusca, compie una strage di nemici grazie alle armi divine. Tra i tanti, però, perisce anche Pallante, suo alleato, e la colpa è di Turno, riuscito ad allontanarsi dalla mischia grazie all’aiuto di Giunone.

Nel Libro XI assistiamo alla morte di Mezenzio e Lauso e, a quel punto, Enea e re Latino sono concordi nello stabilire una tregua per dare degna sepoltura ai caduti. Enea ha un’idea: domanda di chiudere la guerra con un duello tra lui e Turno, che però non accetta. La battaglia ricomincia, alla fine, e le cose volgono a favore dei troiani.

Nel Libro XII, temendo per il suo esercito, Turno decide di accettare la proposta di duello con Enea. Interviene però Giunone, facendo si che Giuturna, ninfa sorella di Turno, convinca l’esercito italico ad attaccare. Enea rimane ferito nello scontro e deve allontanarsi dal campo, lasciando i suoi luogotenenti a gestire la situazione. Resosi conto che è sua sorella ad aizzare l’esercito, Turno interrompe l’assalto e accetta il duello con Enea, che intanto è rientrato in campo. Lo scontro è talmente fatale che persino gli dei non mettono mano per cambiare la situazione, facendosi da parte. Lo scontro viene vinto da Enea, che riesce a ferire l’avversario con una lancia e a finirlo. La guerra termina e i Troiani possono stabilirsi nel Lazio.

Eneide: personaggi principali

Chi sono i personaggi principali dell’Eneide, considerando quante storie si intrecciano e quanto è lungo il poema di Virgilio? Per quanto riguarda gli dei abbiamo:

  • Venere, dea madre di Enea. Nel racconto lo protegge e fa nascere il suo amore con la regina Didone;
  • Giunone, protettrice di Cartagine. Odia i troiani ed Enea e fa di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote;
  • Giove, che garantisce il Volere e il Fato. In questa storia egli, più che un dio, lavora come entità astratta garante dell’equilibrio;
  • Altre divinità latine e greche con ruoli minori.

Il protagonista della storia è Enea, un eroe che rimane molto caro alla maggior parte degli dèi. Caratterialmente parlando, Enea è un capo responsabile e maturo che si sottomette al volere degli dei e al suo fato. Attento verso suo figlio, ha anche cura del padre ed è leale con i suoi uomini. Ha momenti di incertezza e dubbio, certo, ma mantiene e incarna comunque le più grandi virtù dei personaggi romani, ovvero: onestà, coraggio, lealtà, giustizia, clemenza, pazienza, pietas (devozione verso gli dei e rispetto verso gli uomini) e un alto senso civico che da peso ai valori di cittadino romano (quelli che Augusto stava cercando di ripristinare). Enea risulta diverso, in parte, dai modelli omerici di Achille e Ulisse poiché non è curioso, ma cerca solo di farsi guidare dal fato; egli è inoltre valoroso, certo, ma non va cercando guerre. Considerate le divinità dell’Eneide e il suo protagonista, vediamo una lista degli altri personaggi:

  • Anchise, padre di Enea;
  • Ascanio o Iulo, figlio di Enea e Creusa;
  • Latino, re del Lazio;
  • Turno, antagonista massimo di Enea e promesso sposo di Lavinia;
  • Polidoro, figlio di Priamo;
  • Cerusa, prima moglie di Enea, madre di suo figlio;
  • Laocoònte, sacerdote di Apollo e figlio di Priamo;
  • Lavinia, figlia di re Latino, promessa a Turno ma data in sposa ad Enea;
  • Didone, regina fondatrice di Cartagine;
  • Anna, sorella di Didone;
  • Pallante, Euralio e Niso, giovani e valorosi alleati di Enea;
  • Cerbero, il cane a tre teste che fa da guardiano al mondo dei morti;
  • Sibilla cumana, la sacerdotessa di Apollo;
  • Caronte, il traghettatore infernale;
  • Minosse: mitico re di Creta che, nell’ade, è giudice dei morti.

ll mito di Enea in versione scolastica, adattato principalmente da questa pagina

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Il mito di Enea – Fuga da Troia, lungo viaggio per mare, il Lazio – Parte 2 (di 3)

Il mito di Enea – Fuga da Troia, lungo viaggio per mare, il Lazio – Parte 2 (di 3)

Il racconto del mito di Enea è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 13: Enea – L’eroe di una nuova dinastia.

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Enea – Origini e Guerra di Troia – Parte 1 (di 3)

Enea fuggì da Troia via mare: insieme a lui si aggregarono molti troiani e anche vari guerrieri provenienti da altre regioni che avevano preso parte al conflitto come alleati. Giunse dapprima nel Chersoneso Tracico, dove venne a conoscenza della terribile fine di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso da Polimestore, che voleva appropriarsi delle sue ricchezze. A Delo, Enea chiese responso ad Apollo, che ordinò al troiano di recarsi nella terra natia del fondatore di Troia, Dardano. Ma Anchise pensò si riferisse a Teucro, un altro capostipite del loro popolo, originario di Creta. Si fece dunque rotta verso l’isola. Lì i troiani vennero colpiti da una pestilenza, Enea ordinò di muovere verso Corito-Tarquinia (III, 170), in Italia, la terra di Dardano. Decisi a fare rifornimenti i troiani si fermarono nelle isole Strofadi dove vennero attaccati dalle Arpie che devastarono la loro mensa e li costrinsero alla fuga. Giunsero nell’Epiro dove incontrarono Eleno e Andromaca, fondatori della città di Butroto. Eleno, dotato del dono della profezia, annunciò all’amico di recarsi in Italia, cercando di evitare la terra di Sicilia, patria dei ciclopi e di Scilla e Cariddi. Consigliò invece di sbarcare presso Cuma per chiedere responso alla sibilla che lì abitava. I troiani si salvarono per un pelo da quella minaccia e sbarcarono vicino l’Etna, dove si unì alla loro flotta Achemenide, un compagno di Ulisse abbandonato in quella terra. Enea sbarcò in Italia nell’attuale Salento, a Castro. Dopo aver assistito al terribile arrivo del ciclope Polifemo, Enea e i suoi uomini si fermarono in Sicilia, a Erice, benevolmente accolti dal re Aceste, dove il vecchio Anchise morì e fu sepolto. Era, piena d’odio per i troiani, scatenò una tempesta contro la flotta che venne trascinata verso l’Africa.

Lì Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina Didone, a Cartagine dove l’eroe narrò le sue dolorose vicende. I due si innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus, Enea dovette ripartire. Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone. Fu un terribile colpo per la povera regina. Didone, guardando in lontananza la nave di Enea che si allontanava, si uccise. La flotta troiana sbarcò di nuovo a Erice, dove per l’anniversario della morte di Anchise furono celebrati alcuni giochi in suo onore, i ludi novendiali, ai quali parteciparono sia atleti troiani sia atleti siciliani (libro V). Nella vicina città di Drepanon, alcune donne, fra le esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi. Enea ordinò dunque che chi non voleva continuare il viaggio sarebbe rimasto a Drepano, mentre gli altri avrebbero continuato il tragitto. Giunto a Cuma, Enea incontrò la Sibilla con la quale scese vivo nel regno dei morti. Lì incontrò Caronte e Cerbero, che cadde addormentato per un inganno della Sibilla. Giunto ai campi del pianto vide poi il triste spirito di Didone. Incontrò in seguito l’anima di Deifobo, il cui cadavere era stato sfregiato da Menelao. Infine, venne accolto dal padre Anchise che gli presentò le anime di coloro che avrebbero fatto grande il regno promesso a Enea in Italia.

Tornato nel mondo dei vivi, Enea sbarcò finalmente alle rive del Tevere, dopo aver visitato anche il Circeo: qui morì Caieta, la sua nutrice, ed egli la fece seppellire nel luogo che si sarebbe poi chiamato Gaeta in suo ricordo. Il re di Laurento, Latino, decise di affidargli la mano della figlia Lavinia, scatenando però così l’ira di Turno, il re dei Rutuli, cui la fanciulla era stata promessa. Durante una battuta di caccia Ascanio, senza saperlo, uccise una cerva domestica e per questo venne inseguito dai pastori del luogo. I troiani corsero in aiuto del figlio di Enea e uccisero uno degli inseguitori, l’aitante Almone, giovane cortigiano del re Latino. Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra. Turno radunò i suoi uomini e mosse contro i troiani. Enea invece risalì il fiume Tevere, giungendo così nel territorio di Evandro, re degli Arcadi. Quest’ultimo consigliò inoltre all’eroe troiano di recarsi fra gli Etruschi per chiedere aiuto a Tarconte. Fra gli alleati di Turno vi era infatti Mezenzio, ex sovrano degli Etruschi, cacciato per la sua crudeltà. Durante l’assenza di Enea il campo troiano venne assediato da quattordici giovani condottieri italici, ognuno dei quali era seguito da altri cento giovani. Eurialo e Niso, due inseparabili amici troiani, decisero di raggiungere Enea, per avvertirlo del pericolo. Usciti di notte, penetrarono tra le linee nemiche dove sorpresero nel sonno due dei condottieri assedianti, Ramnete e Remo, e alcuni guerrieri che combattevano nei loro contingenti, uccidendoli con le spade; poi ripresero il loro cammino, ma intercettati da una pattuglia nemica vennero accerchiati e messi a morte. Dopo una dura battaglia, durante la quale Turno fece strage di troiani, Enea, tornato via mare da Corito-Tarquinia assieme agli Etruschi comandati da Tarconte, ai Liguri di Cunaro e Cupavone, e agli Arcadi guidati da Pallante, figlio di Evandro, riuscì ad accorrere in aiuto dei compagni. Ma proprio Pallante, in quello scontro, cadde per mano di Turno. Enea andò su tutte le furie e venne meno alla sua famosa pietà, decapitando il giovane semidio etrusco Tarquito, che vinto da lui in duello lo implorava di essere risparmiato, e gettando il suo busto in acqua. Allora Giunone, temendo per la vita di Turno, riuscì ad allontanarlo dal campo di battaglia. Enea affrontò Mezenzio a duello ferendolo: quindi uccise Lauso, il figlio del tiranno, intervenuto in sua difesa. Commosso per il coraggio del giovane, Enea riconsegnò la salma e le armi a Mezenzio che, in uno scontro successivo, cadde sotto la spada del troiano. L’eroe, dopo aver sepolto il giovane Pallante, ordinò ai suoi uomini di marciare contro la città dei Latini. Turno e Camilla, regina guerriera dei Volsci, schierarono le proprie truppe. Il re rutulo assalì la fanteria troiana, Camilla la cavalleria etrusca. Nello scontro che ne seguì Camilla rimase uccisa. Turno decise allora di affrontare a duello Enea. Il troiano ebbe presto il sopravvento e per qualche attimo si trattenne dall’uccidere il nemico; ma riconoscendo addosso a Turno le armi di Pallante e ricordando il dolore di Evandro per la morte del figlio, gli conficcò la sua spada nel petto (…vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras).

Vai a: Il mito di Enea – Riassunto scolastico dell’Eneide – Parte 3 (di 3)

ll mito di Enea, riassunto principalmente da questa pagina wikipedia

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