James Hillman è nato il 12 aprile 1926 a Atlantic City, New Jersey, negli Stati Uniti. Ha conseguito il dottorato in psicologia presso l’Università di Zurigo, in Svizzera, sotto la guida di Carl Gustav Jung, una figura chiave nella psicologia analitica. Dopo gli studi, Hillman ha lavorato in diverse istituzioni e ha scritto numerosi libri (vedi sotto per la bibliografia) che hanno avuto un impatto significativo nel campo della psicologia. È stato direttore di studi presso il C.G. Jung Institute a Zurigo e ha insegnato presso diverse università negli Stati Uniti. James Hillman è deceduto il 27 ottobre 2011 a Thompson, Connecticut, lasciando un’eredità duratura nel campo della psicologia e della filosofia dell’anima. La sua opera continua a influenzare psicologi, filosofi e studiosi interessati alla comprensione più profonda della psiche umana.
Le sue teorie – che egli definirà psicologia archetipale – non passano senza scandalo, nella comunità degli psicologi analisti junghiani europei ma Hillman procede per la sua strada, e le sue idee sul lavoro psicologico troveranno seguito, nel tempo, non solo tra accademici, studenti, clinici, ma anche tra artisti, scrittori e operatori sociali. Hillman si va convincendo che l’America ha più bisogno di (e interesse per) lui, che non l’Europa: così nel 1978, dopo più di trent’anni di Europa, l’americano Hillman torna negli USA. Negli Stati Uniti, Hillman non smette di pensare, di scrivere e di supervisionare il training di analisti junghiani, e continua comunque a mantenere forti legami con l’Europa, insegna in numerose università, e, seguendo il filo delle proprie riflessioni, si dedica anche ad attività di animazione culturale, rivolta a vari aggregati sociali: architetti, educatori, operatori sociali, artisti. Figura non riducibile in schemi accademici nonostante i titoli curriculari, letterato, ormai più filosofo che psicologo, Hillman è riuscito a evidenziare e a far condividere la necessità, per l’uomo postmoderno, di riconoscere e coltivare le connessioni mentali e psicologiche che lo legano alle sue radici culturali antiche, o addirittura arcaiche – e non solo in quanto singolo portatore di turbamenti e patologie dell’anima, ma in quanto componente di una società non meno turbata e patologica di lui.
Nel 1970 (Jung era morto da 9 anni) Hillman assume la direzione della Spring Publications, che allora aveva sede a Zurigo. Fu questo il punto di manifestazione della rielaborazione della psicologia analitica che egli andava conducendo, e la casa editrice ne divenne il centro. Il discorso sugli archetipi non era un’invenzione di Hillman. Era stato già aperto da Jung, negli anni Trenta, quando aveva individuato in essi le forme primarie delle esperienze vissute dall’umanità nello sviluppo della coscienza. Pure forme, che stanno ai simboli come la figura geometrica del quadrato sta a una cornice (intesa come oggetto) quadrata, e che – così come le forme geometriche – sono condivise da tutta l’umanità, sedimentate nell’inconscio collettivo di tutti i popoli, senza alcuna distinzione di luogo e di tempo, si manifestano come simboli, e pre-esistono alla psiche individuale, che organizzano.
La novità del punto di vista di Hillman – l’aspetto rivoluzionario della sua psicologia – è stata nell’intenzione di portare l’analisi fuori da un rapporto a due medicalizzato e nella scelta di polarizzare l’attività psicologica e psicoanalitica su due nuovi centri dinamici: l’anima e l’archetipo. Come scriveva più tardi in Re-visione della psicologia: “La terapia, o l’analisi, non è solo qualcosa che gli analisti fanno ai pazienti, essa è un processo che si svolge in modo intermittente nella nostra individuale esplorazione dell’anima, negli sforzi per capire le nostre complessità, negli attacchi critici, nelle prescrizioni e negli incoraggiamenti che rivolgiamo a noi stessi. Nella misura in cui siamo impegnati a fare anima, siamo tutti, ininterrottamente, in terapia.”
Quanto agli archetipi, Hillman li definisce nella stessa occasione come “i modelli più profondi del funzionamento psichico, come le radici dell’anima che governano le prospettive attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo. Essi sono le immagini assiomatiche a cui ritornano continuamente la vita psichica e le teorie che formuliamo su di essa”. Essi possono essere raggiunti anche attraverso l’analisi dei sogni, il cui “mondo infero” ci ricollega alle “ombre universali” dell’inconscio collettivo.
Gli archetipi costituiscono dunque la radice dei miti. E i miti sono le figure nelle quali si incanala e si esprime l’energia dell’anima, delle singole anime viventi: in alcuni casi e situazioni queste figure si impadroniscono del loro ospite, e lì nasce l’alienazione, cioè la perdita di sé. Il codice dell’anima porta come sottotitolo “Carattere, vocazione, destino”. La nozione di anima che Hillman reintroduce nella cultura psicologica occidentale, ma anche nella storia, traendola fuori dal linguaggio poetico e religioso nel quale era stata confinata dopo il neoplatonismo rinascimentale, è fortemente connessa al mito, che in essa trova il proprio luogo di manifestazione ininterrotto, e rivaluta fortemente l’immaginazione. Concludendo La vana fuga dagli dèi, egli definisce così questo nuovo uomo: “Attraverso la forza dell’immagine, che si esprime come sintomo […] l’uomo naturale, che si identifica con lo sviluppo armonico, l’uomo spirituale, che si identifica con la perfezione trascendente, e l’uomo normale, che si identifica con l’adattamento pratico e sociale, deformati, si trasformano nell’uomo psicologico, che si identifica con l’anima”.
Un aspetto interessante della psicologia di Hillman è appunto la sua attenzione, accentuatasi dal ritorno negli Stati Uniti, alla manifestazione del mito nella società moderna, sia nell’esperienza dei singoli che nelle opinioni collettive. Gli dèi non sono scomparsi, benché noi abbiamo creduto di essercene disfatti. Per esempio, «Ermes-Mercurio oggi è dovunque. Vola per l’etere, viaggia, telefona, è nei mercati, e gioca in borsa, va in banca, commercia, vende, acquista, e naviga in Rete. Seduto davanti al computer, te ne puoi stare nudo, mangiare pizza tutto il giorno, non lavarti mai, non spazzare per terra, non incontrare mai nessuno, e tutto questo continuando a essere connesso via Internet. Questa è Intossicazione Ermetica».
Riassunto del pensiero di James Hillman:
Psicologia archetipica: Hillman ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della psicologia archetipica, un approccio che si concentra sugli archetipi e sulle immagini simboliche come chiavi per comprendere l’anima umana. Ha sviluppato questa prospettiva in opposizione all’orientamento prevalentemente razionale della psicologia tradizionale.
Anima e immaginazione: Uno dei concetti centrali nel pensiero di Hillman è l’”anima”, che egli vedeva come il principio fondamentale e unificante della vita umana. Ha enfatizzato l’importanza dell’immaginazione come veicolo per accedere alla profondità dell’anima e ha incoraggiato un approccio più poetico e simbolico alla comprensione della psiche.
Critica della psicologia razionale: Hillman ha criticato la tendenza della psicologia moderna a ridurre l’esperienza umana a concetti razionali e scientifici. Ha sottolineato l’importanza di abbracciare l’irrazionalità, l’ambiguità e la complessità dell’anima umana.
Ecologia dell’anima: Un altro aspetto importante del pensiero di Hillman è la sua enfasi sull’ecologia dell’anima. Ha cercato di promuovere una connessione più profonda e rispettosa tra gli esseri umani e il mondo naturale, sottolineando l’importanza di considerare la psiche in relazione all’intero ambiente.
Psicologia politica: Hillman ha esteso la sua prospettiva psicologica anche al contesto sociale e politico. Ha esplorato la dimensione psicologica delle questioni politiche e sociali, cercando di comprendere come le dinamiche dell’anima possano influenzare la vita collettiva.