La Voce delle Muse è spesso attiva nelle scuole con insegnanti e ragazzi (qui tutti i dettagli del nostro lavoro nelle scuole). Andreas Barella, una delle Muse, ha pubblicato qualche anno fa un volume sul lavoro scolastico con la mitologia. Il libro si intitola “Adolescenza, il Giardino Nascosto”. Eccone un estratto dedicato al rapporto padre-figlio. Maggiori dettagli sul libro li trovate sul sito della Casa Editrice Ericlea, dove potete anche ordinare il volume.
Icaro e le ali di cera ovvero dei limiti e del loro superamento – Consideriamo per iniziare un mito che parla di limiti, di ordini ricevuti dall’alto e che vengono messi in discussione. Per farlo narreremo la storia di Icaro, figlio di Dedalo. Cosa vogliono i ragazzi, quando sono alla ricerca di significato? Vediamo come la mitologia ha dato risposta a questa domanda, che poi in realtà vale per tutti gli esseri umani: che cosa inseguiamo quando rincorriamo la sfida e la ricerca dei nostri limiti?
Il mito – Il padre di Icaro, Dedalo, ha costruito il labirinto per il re di Creta, Minosse. Si tratta di una costruzione straordinaria, concepita dalla geniale mente di Dedalo. Forse per non permettere al suo inventore di svelarne i misteri, o forse per l’aiuto che lo stesso Dedalo ha dato ad Arianna, la figlia di Minosse, svelandole un sistema per uscire dalla costruzione in cui è rinchiuso il Minotauro (mezzo uomo e mezzo toro), o forse ancora perché Dedalo ha aiutato Pasifae, la moglie del re, ad accoppiarsi con il toro bianco che aveva generato in lei il Minotoauro, Dedalo viene imprigionato nel palazzo e non può più allontanarsi. Pasifae aiuta l’inventore a fuggire dal palazzo. Ma non è facile fuggire da Creta, poiché Minosse fa sorvegliare tutte le navi e offre una ricca ricompensa a chi gli riporta Dedalo. Esso costruisce allora un paio di ali per se stesso e un altro paio per il figlio Icaro; le penne più grandi sono intrecciate le une alle altre, e le più piccole sono saldate con della cera. Dopo aver legato le ali alle spalle di Icaro, Dedalo gli dice con le lacrime agli occhi: “Figlio mio, stai attento! Non volare mai troppo in alto, perché il sole farebbe sciogliere la cera; né troppo in basso, poiché le piume potrebbero essere inumidite dal mare”. Infila poi le braccia nelle proprie ali e si alza in volo. “Seguimi da vicino,” ordina al figlio, “e non cambiare direzione!” Mentre si allontanano dall’isola verso nordest, battendo ritmicamente le ali, i contadini, i pescatori e i pastori che alzano lo sguardo verso di loro li scambiano per dèi.
Quando si sono lasciati Nasso, Delo e Paro alla sinistra e Lebinto e Calimne alla destra, Icaro disobbedisce agli ordini del padre e comincia a volare verso il sole, inebriato dalla velocità che le grandi ali imprimono al suo corpo. A un tratto Dedalo, guardandosi alle spalle, non vede più suo figlio, ma soltanto delle piume sparse che galleggiano sulle onde sotto di lui. Il calore del sole ha disciolto la cera e Icaro è precipitato in mare, annegandovi. Dedalo vola a lungo in quel luogo, girando in tondo, finché il cadavere emerge; lo porta allora in un’isola vicina, chiamata in seguito Icaria, dove lo seppellisce. L’isola dà poi il nome anche al mare circostante.
Altri non credono a questa storia e dicono che Dedalo fugge da Creta su una barca fornitagli da Pasifae e si dirige verso la Sicilia; mentre si accinge a sbarcare su un’isoletta in compagnia del figlio, costui cade in mare e annega. Aggiungono che è Eracle a seppellire Icaro; Dedalo in segno di gratitudine, scolpisce in suo onore una statua così somigliante che quando la vede, a Pisa, Eracle la scambia per un rivale e la abbatte con una pietra.
Altri ancora narrano che Dedalo inventa le vele e non le ali, per poter battere in velocità le navi di Minosse; e che Icaro, manovrando il timone con poca perizia, annega quando la barca si capovolge. Dedalo continua a navigare verso occidente finché, sbarcato a Cuma nei pressi di Napoli, dedica colà le sue ali ad Apollo e gli erige un tempio dal tetto d’oro.
Che Icaro muoia perché precipitato con le ali, oppure affogato cadendo da una barca, poco cambia. Quello che conta è che muore confrontato con aggeggi e mezzi che ancora non padroneggia, e mentre sta imparando, qualcosa va storto e lui ne paga le conseguenze. Quanto di quello che succede è responsabilità del giovane? Quanto lo possiamo considerare irresponsabile, incosciente di quello a cui sta andando incontro, e quanto soltanto sfortunato o vittima degli eventi?
L’analisi del mito continua con il resoconto di come i ragazzi vivono il rapporto con un padre ingombrante e considera le emozioni date dal senso di libertà del volo, paragonabili ai moderni mezzi di locomozione (scooter, moto). Proseguite la lettura nel volume: Andreas Barella, “Adolescenza, il Giardino Nascosto”, Ericlea, 2010. Maggiori dettagli sul libro e possibilità di ordinarlo in formato cartaceo o e-book.
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