Zeus generò in segreto suo figlio Zagreo in Persefone, prima che essa fosse condotta nell’Oltretomba da suo zio Ade. Egli affidò ai Cureti cretesi figli di Rea, o secondo altri ai Coribanti, il compito di custodire la culla di Zagreo nella grotta Idea e là essi gli danzavano attorno, battendo le loro armi l’una contro l’altra, come già avevano fatto attorno alla culla di Zeus sul Ditte. Ma i Titani, nemici di Zeus, sbiancandosi il volto col gesso per rendersi irriconoscibili, attesero finché i Cureti furono addormentati e a mezzanotte indussero Zagreo a seguirli, offrendogli dei giocattoli: un cono, un rombo, mele d’oro, uno specchio, un astragalo e un batuffolo di lana. Zagreo diede prova di grande coraggio quando poi i Titani gli balzarono addosso minacciosi e si sottopose a varie metamorfosi per trarli in inganno: divenne successivamente Zeus avvolto in pelle di capra, Crono che fa cadere la pioggia, un leone, un cavallo, un serpente cornuto, una tigre e un toro. A questo punto i Titani lo afferrarono saldamente per le corna, gli affondarono i denti nella carne e lo divorarono vivo.
Atena interruppe l’orrendo banchetto poco prima della fine e, impadronitasi del cuore di Zagreo, lo rinchiuse in una figura di gesso, nella quale soffiò la vita; e così Zagreo divenne immortale. Le sue ossa furono raccolte e sepolte a Delfi, e Zeus uccise i Titani colpendoli con la folgore.
Questo mito si riferisce al sacrificio annuale di un fanciullo che si compiva nell’antica Creta. Un sostituto di Minosse, il re-toro, regnava per un solo giorno, partecipava a una danza simboleggiante le cinque stagioni (leone, capra, cavallo, serpente e vitello) e poi veniva ucciso e divorato crudo. I balocchi offerti dai Titani erano oggetti usati dai filosofi orfici, che continuarono la tradizione del sacrificio, ma sostituirono il fanciullo con un vitello. Il rombo era un sasso forato o un vaso, che roteando legato all’estremità di ma corda produceva un suono simile a quello del vento che s’alza; il batuffolo di lana serviva probabilmente a imbrattare con gesso i volti dei Cureti. Venivano chiamati anche Coribanti o danzatori crestati. Gli altri doni servivano a spiegare la natura della cerimonia grazie alla quale i partecipanti si identificavano con il dio: il cono era un antico emblema della dea, cui i Titani sacrificarono Zagreo; lo specchio rappresentava l’alter ego, l’ombra dell’iniziato; le mele d’oro, il suo passaporto per i Campi Elisi dopo la finta morte; l’astragalo, i suoi poteri divinatori. Un inno cretese scoperto pochi anni orsono a Paleocastro, presso la grotta di Ditte, è rivolto al Cronio, il principe dei giovani, che giunge danzando alla testa dei suoi demoni e saltella per accrescere la fertilità del suolo e la fecondità delle greggi, nonché la buona sorte delle flottiglie da pesca. Jane Harrison, in Themis, fa l’ipotesi che i protettori mediante lo scudo, menzionati nell’inno, i quali “ti prendono, o immortale fanciullo, dal fianco di Rea”, fingessero soltanto di uccidere e mangiare le vittime, secondo un rito di iniziazione alla loro società segreta. Ma tutte queste finte morti e cerimonie iniziatiche, diffuse in molte parti del mondo, pare comportassero in origine veri e propri sacrifici umani; e le metamorfosi calendariali di Zagreo lo distinguono dai soliti membri di un clan totemico.
La presenza non canonica della tigre come ultima metamorfosi di Zagreo è spiegabile in quanto Zagreo si identifica con Dioniso: la leggenda della morte e della resurrezione di Dioniso, infatti, è identica alla leggenda della morte e della resurrezione di Zagreo, benché la sua carne sia divorata cotta anziché cruda, e si trovi citato il nome di Rea anziché quello di Artemide. Anche Dioniso era un serpente cornuto (aveva corna e riccioli di serpente alla nascita) e i suoi seguaci orfici mangiavano la carne del dio sotto forma di tori. Zagreo divenne “Zeus avvolto in pelle di capra” poiché Zeus o il suo fanciullo di sostituzione, era asceso al cielo avvolto nella pelle della capra Amaltea. “Crono che fa scendere la pioggia” è un’allusione all’uso dei rombi nelle cerimonie propiziatorie di pioggia. In queste circostanze i Titani erano i Tifami «uomini bianchi come la calce», cioè i Cureti stessi travestiti in modo che lo spettro della vittima non potesse riconoscerli. Quando i sacrifici umani caddero in disuso. Zeus fu rappresentato nell’atto di scagliare la folgore contro i cannibali; e i Titanes, “signori della settimana di sette giorni”, furono confusi con i Titanoi, “gli uomini bianchi come la calce”, a causa della loro ostilità a Zeus.
Il mito di Zagreo, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
Andreas Barella, una delle Muse, ha parlato di questo mito all’interno della trasmissione radiofonica APPESI ALLA LUNA della Radio svizzera di lingua italiana. Potete ascoltare la trasmissione a questo link.
La prima parte del mito di creazione greco la trovi qua. Urano però non è sempre stato lì dove è adesso, in origine esso era coricato, disteso sopra la terra, e la ricopriva completamente. Ogni angolo di terra è raddoppiato da un pezzo di cielo che si incolla perfettamente su di lei. A partire dal momento in cui Gaia, divinità potente, terra madre, crea Urano che è il suo corrispondente esatto, la sua fotocopia, il suo doppio simmetrico, ci troviamo in presenza di una coppia di opposti: un maschio e una femmina. Urano è il cielo, così come Gaia è la terra. Una volta presente Urano, anche Eros il vecchio gioca un ruolo diverso. Non si tratta più di Gaia che fa nascere da sé ciò che porta in lei o di Urano che produce ciò che ha in lui, ma è dalla congiunzione delle loro due forze che nascono esseri diversi sia dall’uno che dall’altra.
Urano non cessa mai di disseminarsi nel seno di Gaia. L’Urano primordiale non conosce altra attività se non quella sessuale. Coprire Gaia senza sosta, per quanto è nella sua potenza: non pensa che a quello, e non fa che quello. La povera Terra si trova allora incinta di una prole numerosa che non può uscire dal suo grembo, che deve restare là dove Urano l’ha concepita. Visto che Cielo non si alza mai da Terra, non si crea mai fra loro uno spazio che permetta ai figli, i Titani, di uscire alla luce e di condurre un’esistenza autonoma. I Titani non possono assumere forma propria, né diventare esseri individuali, poiché vengono di continuo ricacciati nel grembo di Gaia, così come ogni cosa, Urano stesso, si trovava nel grembo di Gaia prima di nascere.
Chi sono i figli di Gaia e Urano? Ci sono i sei Titani e le loro sei sorelle le Titanidi. Il primo dei Titani è Okeanos, Oceano, la cintura d’acqua che circonda l’universo e scorre tutt’intorno al mondo, così che in lui inizio e fine coincidono. Il più giovane dei Titani è Cronos, chiamato anche “Crono dai pensieri scaltri”. Ci sono poi due triadi di figli: i Ciclopi (Bronte, Sterpe, Arge) e gli Ecatonchiri mostri con 50 teste e cento braccia (Cotto, Briareo, Gie). Siamo a una grande svolta nella creazione: i Titani sono i primi dèi individualizzati, non sono infatti come Gaia, Urano, Ponto nomi dati a forze naturali. Ricapitoliamo: Titani, Centobraccia, Ciclopi: tutte queste creature non possono uscire dal ventre della madre in quanto il padre Urano è disteso su di lei e non lascia nessuno spazio libero.
Non esiste ancora la luce, in realtà, poiché Urano, stendendosi su Gaia, mantiene una notte continua. La Terra dà libero sfogo alla sua collera. Non vuole più tenere in grembo i propri figli che, non potendo uscire, la gonfiano, la comprimono, la soffocano. Allora Gaia si rivolge a loro, in particolar modo ai Titani, dicendo: “Ascoltatemi, vostro padre ci oltraggia, ci sottopone a violenze inaudite, bisogna che tutto questo abbia fine. Dovete ribellarvi al Cielo, vostro padre”. Nel sentire queste parole i Titani, nel ventre della madre, tremano di terrore. Urano, sempre ben piantato sopra la loro madre, grande tanto quanto lei, non appare un avversario facile da vincere. Solo Crono, l’ultimogenito, accetta di aiutare la madre e misurarsi così con il padre.
La Terra concepisce un piano particolarmente astuto. Per portare a compimento il suo progetto fabbrica al proprio interno un piccolo falcetto, forgiato in acciaio. Quindi lo mette in mano al giovane Crono, che sta in agguato nel ventre della madre, proprio là dove Urano si unisce a lei. Crono tende un’imboscata al padre. Non appena Urano si sfoga in lei, Crono gli afferra i genitali con la sinistra, tenendoli ben stretti, e con la destra nella quale tiene il falcetto, li taglia in un solo colpo. Poi, senza voltarsi, per non incorrere nella sventura che il suo gesto potrebbe provocare, getta alle proprie spalle il membro virile di Urano. Alcune gocce di sangue cadono sulla terra zampillando dall’organo amputato e scagliato lontano, nel mare. Nell’istante in cui viene castrato, Urano lancia con forza un grido di dolore, e allontanandosi da Gaia, si ferma per non muoversi più, in alto, lassù sopra il mondo. Così, visto che Urano ha uguale estensione di Gaia, non esiste un solo pezzo di terra dal quale, alzando gli occhi, non si veda un angolo equivalente di cielo.
Con la castrazione di Urano, avvenuta su consiglio e grazie all’astuzia della madre, Crono segna una tappa fondamentale nella nascita del cosmo. Separa il cielo e la terra. Crea fra terra e cielo uno spazio libero: da allora in poi tutto ciò che la terra produrrà, tutto ciò che verrà generato dagli esseri viventi, avrà un luogo per respirare e per vivere. Da un lato, lo spazio si è aperto, ma anche il tempo si è trasformato. Finché Urano pesava su Gaia, non c’erano generazioni successive, restavano tutte nascoste all’interno di chi le aveva generate. Nel momento in cui Urano si ritrae, i Titani possono invece uscire fuori dal grembo materno e procreare a propria volta. Generazioni si susseguiranno a generazioni. Lo spazio è infine libero e il cielo stellato rappresenta ora un soffitto, una sorte di grande volta buia, che si eleva al di sopra della terra. Di tanto in tanto il cielo nero si illumina, poiché ormai giorno e notte si alternano. Ora appare un cielo nero rischiarato soltanto dalla luce delle stelle, ora, invece sorge un cielo luminoso, leggermente ombrato dalla sola presenza delle nuvole. Il mondo ha inizio.
Andreas Barella, una delle Muse, ha parlato di questo mito all’interno della trasmissione radiofonica APPESI ALLA LUNA della Radio svizzera di lingua italiana. Potete ascoltare la trasmissione a questo link.
Che cosa c’era, quando ancora non c’era qualcosa, quando non c’era proprio nulla? A questa domanda i greci hanno risposto con miti e racconti. In principio, per i greci, vi era Chaos, una Voragine senza né inizio né fondo, senza direzione nella quale precipitare, né possibilità di orientarsi, un luogo di vertigine e confusione. Il caos, appunto. In esso nulla vi era di ordinato né di comprensibile, né di creato. Esso esisteva, e in esso tutto era già contenuto, ma non aveva forma né nome né identità. Tutto era confuso in un’unica notte indistinta. In origine dunque, non esisteva che Caos, abisso cieco, notturno, sconfinato.
Poi apparve Gaia, la Terra. Essa sorse dal seno stesso di Caos, e questa creazione mutò l’ordine, o meglio il disordine, delle cose. Tutto quello che prima era senza orientamento, si ritrovò inserito in un ordine che, seppur primitivo, faceva la differenza con quanto esisteva prima. Vi fu un alto e un basso, un sopra e un sotto, un prima e un dopo. Le cose divennero visibili, solide, delineate. Gaia, in un certo modo, rappresenta il contrario di Caos.
Nato dalla vastità di Voragine, il mondo ha da allora in poi una superficie. Da un lato si spinge verso l’alto in forma di montagna, dall’altro sprofonda in basso come una galleria sotterranea. Sottosuolo che si prolunga tanto all’infinito e tanto indeterminato che, in un certo senso, ciò che si trova alla base di Gaia, sotto la superficie sicura e solida, è sempre l’abisso, il Caos. La terra, sorta dal seno di Voragine, vi si riunisce nelle sue profondità.
Un sopra e un sotto. Sopra le montagne si ergono alte e coronate di neve, si proiettano verso il cielo, le cime chiare e luminose le cui sommità più elevate raggiungono quella zona del cielo sempre inondata di luce. Gaia partorisce e nutre ogni cosa. Essa è la madre universale. Foreste, montagne, grotte sotterranee, i flutti del mare, i ruscelli di montagna, il vasto cielo traggono origine da Gaia, dalla Terra madre.
Subito dopo la Terra comparve Eros il vecchio, l’amore primordiale. In quei tempi lontani non esisteva ancora un maschile e un femminile, la distinzione tra i sessi era di là da venire. Questo vecchio con i capelli bianchi, Eros, non è lo stesso che comparirà più tardi, quando ci saranno gli uomini e le donne, i maschi e le femmine. Esso è una grandiosa forza dell’universo, un amore cosmico che, forse, suggerisce alla Terra di proseguire nella creazione. Esso permea l’universo e lo mette in movimento.
Così come la Terra è sorta da Voragine, dalla Terra scaturisce ciò che essa contiene nelle sue profondità. Quello che era in lei, mescolato a lei, si trova portato al di fuori: la Terra lo partorisce senza aver bisogno di unirsi a nessuno. Ciò che libera proviene dall’indistinto che dimora al suo interno.
La Terra genera da sola, senza bisogno di accoppiarsi, due personaggi molto importanti: Urano il cielo stellato e Ponto, l’acqua, tutte le acque, o meglio i flutti marini, poiché Ponto in greco è un nome maschile. La Terra li concepisce senza unirsi a nessuno, ed essi la vanno a completare sotto forma di forza contraria e doppia. Urano, il cielo stellato è simile alla terra, una solida replica, stabile e simmetrica. Appena creato, Urano si stende su Gaia e i due costituiscono i due piani sovrapposti dell’universo, un pavimento e una volta, un sotto e un sopra che si coprono a vicenda, completamente. Quando Terra partorisce Ponto, Flutto marino, questi la completa insinuandosi al suo interno e la delimita sotto forma di vaste distese liquide. Flutto, come Urano, rappresenta un opposto. Se la terra è solida e compatta, e gli elementi non possono mescolarsi in lei, Flutto è, invece, liquidità, fluidità informe e inafferrabile: le sue acque si mescolano, indistinte e confuse.
Caos, Gaia, Eros e poi i due partoriti Urano e Ponto. Si tratta di forze insieme naturali e divine. Gaia è la terra su cui camminiamo e allo stesso tempo è una dea. Ponto rappresenta sia i flutti del mare che una forza divina che può essere venerata. Urano è sopra di noi e come vedremo è nostro padre ma anche la vastità del cielo, una divinità universale.
La storia prosegue con la castrazione di Urano, che trovate qua.
Rea consegna una pietra a Crono, che la inghiotte pensando si tratti di Zeus.
Andreas Barella, una delle Muse, ha parlato di questo mito all’interno della trasmissione radiofonica APPESI ALLA LUNA della Radio svizzera di lingua italiana. Potete ascoltare la trasmissione a questo link.
Crono, figlio della Madre Terra Gaia e di Urano, sposò sua sorella Rea. Ma era stato profetizzato sia dalla Madre Terra, sia da Urano morente, che uno dei figli di Crono l’avrebbe detronizzato. Ogni anno, dunque, egli divorava i figli generati da Rea: prima Estia, poi Demetra ed Era, poi Ade ed infine Poseidone. Rea era furibonda. Essa partorì Zeus, il suo terzo figlio maschio, a notte fonda, sul Monte Liceo in Arcadia, dove i corpi non proiettano ombra, e dopo averlo tuffato nel fiume Neda, lo affidò alla Madre Terra (la nonna di Zeus). Costei portò Zeus a Litto, in Creta, e lo nascose nella grotta Dittea sulla collina Egea. Là Zeus fu custodito dalla ninfa dei frassini Adrastea e da sua sorella Io, ambedue figlie di Melisseo, e dalla capra Amaltea. Il bimbo si cibava di miele e succhiava il latte di Amaltea in compagnia di Pan suo fratellastro. Zeus fu grato alle tre ninfe per la loro bontà e, quando divenne signore dell’universo, immortalò tra le stelle l’immagine di Amaltea, come costellazione del Capricorno. Prese poi in prestito una delle sue corna, tanto grandi che parevano corna di vacca, e la diede alle figlie di Melisseo: il corno divenne così la famosa Cornucopia, o corno dell’abbondanza, che trabocca di cibo e di bevande non appena lo si desideri. Ma altri dicono che Zeus fu allattato da una scrofa, che egli si divertiva a cavalcarla e che perdette il cordone ombelicale a Onfalio, presso Cnosso.
Attorno alla dorata culla di Zeus bambino, che era appesa ai rami di un albero affinché Crono non potesse trovare suo figlio ne in cielo né in terra né in mare, montavano la guardia, armati, i Cureti figli di Rea. Essi battevano le spade contro gli scudi e gridavano per coprire i vagiti del piccolo, perché Crono non potesse udirli nemmeno da lontano. Rea infatti, dopo il parto, aveva avvolto una pietra nelle fasce e l’aveva data a Crono, sul monte Taumasio, in Arcadia; Crono la inghiottì, convinto di divorare il suo figliolo Zeus. Col passare del tempo tuttavia, Crono cominciò a sospettare la verità e si mise a inseguire Zeus, che trasformò se stesso in serpente e le sue nutrici in orse: ecco perché brillano in cielo le costellazioni del Serpente e delle Orse.
Zeus crebbe tra i pastori dell’Ida, rifugiandosi in un’altra caverna; raggiunta la maturità si rivolse a Meti la Titanessa, che viveva presso il fiume Oceano, e Meti gli consigliò di recarsi da sua madre Rea e di chiedere che gli venisse affidato l’incarico di coppiere di Crono. Rea fu ben felice di aiutare il figlio a compiere vendetta; gli fornì dunque l’emetico che, secondo il consiglio di Meti, egli doveva mescolare alle bevande di Crono. Crono, dopo aver molto bevuto, vomitò dapprima la pietra, poi i fratelli e le sorelle maggiori di Zeus. Essi balzarono in piedi illesi e, in segno di gratitudine, chiesero a Zeus di guidarli nella guerra contro i Titani, che si erano scelti il gigantesco Atlante come capo. Infatti ormai Crono non era più nel fior dell’età.
La guerra durò dieci anni, ma infine la Madre Terra profetizzò la vittoria di suo nipote Zeus, se egli si fosse alleato a coloro che Crono aveva esiliato nel Tartaro. Zeus allora si avvicinò silenziosamente a Campe, la vecchia carceriera del Tartaro, la uccise, le tolse le chiavi e, dopo aver liberato i Ciclopi e i giganti centimani, li rianimò col cibo e le bevande degli dèi. I Ciclopi diedero a Zeus la folgore, arma invincibile; ad Ade un elmo che rende invisibile, e a Poseidone un tridente. I tre fratelli tennero poi un consiglio di guerra; Ade si introdusse segretamente nella dimora di Crono per rubargli le armi e, mentre Poseidone lo minacciava col tridente per sviare la sua attenzione, Zeus lo colpì con la folgore. I tre giganti centimani stritolarono sotto una pioggia di sassi i Titani superstiti e un improvviso urlo del dio Pan li mise in fuga. Gli dei si lanciarono all’inseguimento. Crono e tutti i Titani sconfitti, a eccezione di Atlante, furono esiliati nelle isole britanniche all’estremo occidente (oppure, come altri dicono, nel Tartaro) sotto la sorveglianza dei giganti centimani, e non turbarono più la pace dell’Ellade. Ad Atlante, come loro capo, fu riservata una punizione esemplare: doveva infatti sostenere sulle sue spalle il peso del cielo; ma le Titanesse furono risparmiate, per intercessione di Meti e di Rea.
Zeus stesso pose a Delfi la pietra vomitata da Crono e la pietra è ancora là, sempre unta d’olio e circondata da bioccoli di lana non tessuta.
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