“Uomini con la testa d’aquila / non mi interessano più / o uomini-porco, o quelli che / riescono a volare / con l’aiuto di cera e penne / o quelli che si tolgono i vestiti / per rivelare altri vestiti. / Tutti quelli potrei crearli, produrli / o trovarli in giro, facilmente: / piombano e rombano / intorno a quest’isola, comuni / come mosche, / scintille scoppiettanti, che si / scontrano fra loro.” (Margareth Altwood, Circe / Fango)
Dal risvolto di copertina: “Personaggio centrale nell’Odissea omerica, anche per quel suo occupare i canti mediani del poema, Circe è una dea con la speciale capacità di produrre filtri e unguenti, con i quali trasforma i suoi ospiti in animali. Ma nella complessa trama dell’Odissea – complessità che è valsa al poema il titolo di primo “romanzo” della letteratura occidentale – la dea trasformatrice è lei stessa un carattere cangiante: assume via via il ruolo di prova imposta all’eroe, di ospite generosa, di mediatrice con il regno dei defunti e, infine, quello di divinità protettrice. Un personaggio affascinante che non smette di porre interrogativi sulle figure femminili nel mito e nella letteratura, sui rapporti fra sessualità e potere e sulla dialettica fra desiderio di perdersi nella magia della passione e volontà di tenersi fedeli ai progetti pianificati da una razionalità calcolatrice.”
Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Verosimilmente però, Circe, questa donna “dai molti filtri” (polypharmakos), in tempi remoti era una divinità (del resto, è figlia di Helios, il Sole), una delle varie manifestazioni con cui la grande dea femminile regnava sul mondo selvaggio. È una donna feconda, che popola il mondo di futuri fondatori di città.”
Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Circe è curato da Cristiana Franco, professore associato di Lingua e letteratura latina presso l’Università per stranieri di Siena. Qui gli ultimi volumi pubblicati.
L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.
Nel corso degli anni abbiamo pubblicato diversi post inerenti l’Eneide di Virgilio. Per vostra comodità vi rimettiamo tutti i link qua sotto. Buona lettura!
L’Eneide è un poema scritto dall’autore latino Publio Virgilio Marone, meglio noto come Virgilio, negli anni che vanno dal 31 a.C. al 19 a.C. La storia raccontata dall’autore ha come protagonista Enea, figlio di Anchise, che abbandona la città di Troia dal momento in cui viene conquistata dagli Achei in seguito alla guerra con i troiani. Virgilio descrive tutto il viaggio che fa Enea nell’area mediterranea fino al Lazio, divenendo così celebre progenitore degli antichi romani. L’opera si compone di dodici libri in tutto e Virgilio fece espressa richiesta di bruciare tutto qualora non fosse riuscito a dare compimento al lavoro. L’amico di Virgilio a cui lasciò detta questa cosa, Vario Rufo, non rispettò questa sua volontà e conservò lo scritto, che venne poi pubblicato dall’imperatore romano Cesare Ottaviano Augusto. L’Eneide è e rimane una delle più antiche opere letterarie conosciute al mondo, capolavoro di epoca latina. Vediamo ora insieme la trama dell’Eneide, i personaggi più importanti e tutto ciò che serve sapere sul poema.
Eneide: la trama
Nel Libro I dell’Eneide Enea, dopo aver assistito alla caduta di Troia, salpa con la sua flotta per spostarsi dal Mediterraneo orientale verso il Lazio, dove deve portare gli dèi Penati e fondare una nuova stirpe per guidare i popoli. Oppositrice di questa missione di tipo fondativo è Giunone, dea adirata con Enea per aver perduto una gara di bellezza con sua madre Venere. Passati sette anni di navigazione i Troiani sono nel mar Tirreno ma la dea, ostile, scatena una tempesta con la complicità di Eolo allo scopo di spazzare via la flotta. Il dio Nettuno, infastidito da questa intromissione nella sua giurisdizione, decide allora di calmare le acque così che i Troiani possano approdare sulle coste dell’Africa sani e salvi, precisamente a Cartagine. Venere, travestita da cacciatrice, arriva fino ad Enea e lo redarguisce rispetto alla storia della città, raccontandogli della regina Didone. Nel mentre Mercurio si reca dai cartaginesi per informarli dell’arrivo. Enea viene accolto con onore dalla regina e Venere, a quel punto, architetta un piano affinché la donna si innamori di lui.
Nel Libro II e nel Libro III dell’Eneide Virgilio racconta il banchetto di accoglienza in cui Enea narra tutte le sue avventure partendo proprio da ciò che è stata la caduta di Troia. Egli racconta di Ulisse e dell’inganno del cavallo di legno, delle profezie inascoltate di Laocoonte e di Cassandra, della lotta e dei morti, delle fiamme e della precipitosa fuga col padre Anchise; la morte di Priamo, il fortuito incontro con Elena e la voglia di ucciderla. Insomma, attraverso la voce di Enea tutto viene narrato, compreso il fatto che sua moglie Creusa risulta dispera e che gli è comparsa in sogno.
Nel terzo libro Enea continua con il racconto del lungo viaggio parlando degli altri luoghi che ha visitato con la sua flotta, a partire dal Chersoneso Tracico e dall’Isola di Delo. Nel primo luogo incontra l’anima di Polidoro trasformata in pianta e a Delo riceve l’oracolo di Apollo, scoprendo i luoghi dove avrebbe dovuto fondare una nuova città e una nuova stirpe. La profezia dell’oracolo gli intimava di cercare l’antica madre, che corrispondeva per Anchise all’isola di Creta.
Nel Libro IV dell’Eneide, arrivati a Creta, i Penati di Troia si erano fatti vedere in sogno ad Enea correggendo l’interpretazione dell’oracolo: non Creta, bensì la città italiana di Corythus era la destinazione giusta. Enea parla anche delle tappe sulle isole Strofadi e a Butroto. Terminato il racconto si arriva all’approdo a Cartagine, dopo la morte di Anchise a Drepano. La regina Didone, terminato il racconto dell’eroe, sente la passione ardere per lui e lo confessa alla sorella Anna, ricordando anche che sulla tomba del marito Sicheo ha pronunciato voto di fedeltà. Venere e Giunone, intanto, continuano a complottare per l’unione dei due, anche se consapevoli che al Fato non ci si può opporre. Il giorno dopo Enea e Didone partono per andare a caccia ma vengono sorpresi da una tempesta. Rifugiatisi in una grotta, i due si uniscono presi dalla passione. Interviene la Fama, mostro alato, che va ad avvertire Iarba, pretendente che la regina ha respinto, dell’amore tra i due. L’uomo, adirato, invoca Giove e il Dio comanda a Mercurio di ricordare a Enea quale sia la sua missione. L’eroe Enea, a malincuore, è costretto ad armare la sua flotta per ripartire. La regina, che scopre la notizia non da lui, lo raggiunge furiosa per ricordargli il loro amore. Enea, dal canto suo, non cede. Didone torna, disperata, dalla sorella per far preparare un rogo dove bruciare tutti i ricordi e le armi del troiano. Nel rogo, alla fine, si getta anche lei una volta trafittasi con la spada di Enea. Sorta l’alba, la flotta salpa ed Enea si volge per guardare Cartagine; vedendo un filo di fumo mesto alzarsi verso il cielo capisce cosa è successo.
Nel Libro V dell’Eneide leggiamo del viaggio alla volta dell’Italia che prosegue. La flotta giunge in Sicilia, a Erice, dove i Troiani vengono accolti da re Ageste. Poiché non lontano dalla tomba del padre Anchise, Enea indice in suo onore giochi funebri, banchetti e sacrifici. Giunone, intanto, approfitta del momento e, ingannandole, spinge le donne troiane a bruciare le navi e ad erigere mura. Arrivati i Troiani, che domano l’incendio a fatica, Enea è preso dalla voglia di fermarsi e fondare la città di Acesta, dove una parte della comunità si ferma. Il fantasma del padre rivela poi al figlio che dovrà scendere nell’Averno tramite l’aiuto di una sibilla.
Nel Libro VI dell’Eneide si narra della discesa negli Inferi di Enea. Salpato anche dalla Sicilia, con speranza e malinconia, la sua flotta arriva a Cuma, dove si trova la sibilla Deifobe. La creatura preannuncia ad Enea che ci saranno nuove guerre e che un nuovo Achille dovrà essere sconfitto. Dopo di questo lo conduce nell’oltretomba all’Acheronte, il fiume infernale che accoglie le anime in pena dei morti non sepolti. Superato Cerbero, incontrano i Troiani morti in guerra; alcuni sono anime di eroi, altri anime dei suicidi per amore e, tra loro, Enea trova la regina Didone. La sua anima, sdegnosamente, ignora Enea. Arrivati da Anchise, l’uomo spiega al figlio che le anime dovrebbero trovare nuovi corpi in un ciclo perenne di nascite e rinascite.
Nel Libro VII e dopo aver elencato tutti coloro che renderanno Roma grande, Enea e Deifobe tornano nel mondo dei vivi attraverso la Porta dei Sogni. Con questo libro si apre la seconda parte dell’Eneide, quella che narra la guerra latina. Enea si trova a seppellire la sua nutrice, Caieta, nella città che poi porterà il suo nome. L’uomo arriva a sbarcare alla foce del Tevere e manda subito un messaggero al re del luogo, Latino, che lo accoglie con benevolenza. Il re sa, attraverso il dio italico Fauno, che la figlia Lavinia dovrà sposare uno straniero con il quale genererà una stirpe eroica. Questa è la ragione per cui l’uomo ha rifiutato di concedere Lavinia in sposa a Turno, re dei Rutuli, che però viene reso geloso da Giunone.
Il Libro VIII dell’Eneide vede scatenarsi una guerra al primo futile pretesto. Turno ha molto alleati, tra cui Mezenzio, re etrusco di Cere, Clauso, principe dei Sabini, Ufente, capo degli Equi, la vergine Camilla, regina dei Volsci, Virbio, re di Aricia, Umbrone, condottiero dei Marsi e altri ancora. A Enea serve un esercito, vista la quantità di nemici che deve affrontare, e in sogno gli compare il dio Tiberino: il suo ordine è quello di allearsi con il principe di una cittadina del Palatino di nome Evandro. Recatosi da lui, lo invia poi da Tarconte, capo di tutti gli Etruschi. Enea ha così il suo esercito e Venere gli concede armi divine.
Nel IX Libro Iride informa Turno dell’assenza di Enea e lui decide di attaccare i Troiani, che però resistono. Turno mette sotto assedio l’accampamento e, quella stessa notte, i compagni di Enea Niso e Eurialo riescono ad entrare di nascosto tra le linee nemiche compiendo una strage dei guerrieri addormentati. Allontanandosi, però, vengono intercettati e uccisi. Saputo cosa è successo Turno si infuria e attacca nuovamente, ma viene messo in fuga.
A cominciare il Libro X sono Giunone, Giove e Venere con il loro concilio degli dei. Enea torna e, insieme alla lega etrusca, compie una strage di nemici grazie alle armi divine. Tra i tanti, però, perisce anche Pallante, suo alleato, e la colpa è di Turno, riuscito ad allontanarsi dalla mischia grazie all’aiuto di Giunone.
Nel Libro XI assistiamo alla morte di Mezenzio e Lauso e, a quel punto, Enea e re Latino sono concordi nello stabilire una tregua per dare degna sepoltura ai caduti. Enea ha un’idea: domanda di chiudere la guerra con un duello tra lui e Turno, che però non accetta. La battaglia ricomincia, alla fine, e le cose volgono a favore dei troiani.
Nel Libro XII, temendo per il suo esercito, Turno decide di accettare la proposta di duello con Enea. Interviene però Giunone, facendo si che Giuturna, ninfa sorella di Turno, convinca l’esercito italico ad attaccare. Enea rimane ferito nello scontro e deve allontanarsi dal campo, lasciando i suoi luogotenenti a gestire la situazione. Resosi conto che è sua sorella ad aizzare l’esercito, Turno interrompe l’assalto e accetta il duello con Enea, che intanto è rientrato in campo. Lo scontro è talmente fatale che persino gli dei non mettono mano per cambiare la situazione, facendosi da parte. Lo scontro viene vinto da Enea, che riesce a ferire l’avversario con una lancia e a finirlo. La guerra termina e i Troiani possono stabilirsi nel Lazio.
Eneide: personaggi principali
Chi sono i personaggi principali dell’Eneide, considerando quante storie si intrecciano e quanto è lungo il poema di Virgilio? Per quanto riguarda gli dei abbiamo:
Venere, dea madre di Enea. Nel racconto lo protegge e fa nascere il suo amore con la regina Didone;
Giunone, protettrice di Cartagine. Odia i troiani ed Enea e fa di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote;
Giove, che garantisce il Volere e il Fato. In questa storia egli, più che un dio, lavora come entità astratta garante dell’equilibrio;
Altre divinità latine e greche con ruoli minori.
Il protagonista della storia è Enea, un eroe che rimane molto caro alla maggior parte degli dèi. Caratterialmente parlando, Enea è un capo responsabile e maturo che si sottomette al volere degli dei e al suo fato. Attento verso suo figlio, ha anche cura del padre ed è leale con i suoi uomini. Ha momenti di incertezza e dubbio, certo, ma mantiene e incarna comunque le più grandi virtù dei personaggi romani, ovvero: onestà, coraggio, lealtà, giustizia, clemenza, pazienza, pietas (devozione verso gli dei e rispetto verso gli uomini) e un alto senso civico che da peso ai valori di cittadino romano (quelli che Augusto stava cercando di ripristinare). Enea risulta diverso, in parte, dai modelli omerici di Achille e Ulisse poiché non è curioso, ma cerca solo di farsi guidare dal fato; egli è inoltre valoroso, certo, ma non va cercando guerre. Considerate le divinità dell’Eneide e il suo protagonista, vediamo una lista degli altri personaggi:
Anchise, padre di Enea;
Ascanio o Iulo, figlio di Enea e Creusa;
Latino, re del Lazio;
Turno, antagonista massimo di Enea e promesso sposo di Lavinia;
Polidoro, figlio di Priamo;
Cerusa, prima moglie di Enea, madre di suo figlio;
Laocoònte, sacerdote di Apollo e figlio di Priamo;
Lavinia, figlia di re Latino, promessa a Turno ma data in sposa ad Enea;
Didone, regina fondatrice di Cartagine;
Anna, sorella di Didone;
Pallante, Euralio e Niso, giovani e valorosi alleati di Enea;
Cerbero, il cane a tre teste che fa da guardiano al mondo dei morti;
Sibilla cumana, la sacerdotessa di Apollo;
Caronte, il traghettatore infernale;
Minosse: mitico re di Creta che, nell’ade, è giudice dei morti.
ll mito di Enea in versione scolastica, adattato principalmente da questa pagina.
Enea fuggì da Troia via mare: insieme a lui si aggregarono molti troiani e anche vari guerrieri provenienti da altre regioni che avevano preso parte al conflitto come alleati. Giunse dapprima nel Chersoneso Tracico, dove venne a conoscenza della terribile fine di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso da Polimestore, che voleva appropriarsi delle sue ricchezze. A Delo, Enea chiese responso ad Apollo, che ordinò al troiano di recarsi nella terra natia del fondatore di Troia, Dardano. Ma Anchise pensò si riferisse a Teucro, un altro capostipite del loro popolo, originario di Creta. Si fece dunque rotta verso l’isola. Lì i troiani vennero colpiti da una pestilenza, Enea ordinò di muovere verso Corito-Tarquinia (III, 170), in Italia, la terra di Dardano. Decisi a fare rifornimenti i troiani si fermarono nelle isole Strofadi dove vennero attaccati dalle Arpie che devastarono la loro mensa e li costrinsero alla fuga. Giunsero nell’Epiro dove incontrarono Eleno e Andromaca, fondatori della città di Butroto. Eleno, dotato del dono della profezia, annunciò all’amico di recarsi in Italia, cercando di evitare la terra di Sicilia, patria dei ciclopi e di Scilla e Cariddi. Consigliò invece di sbarcare presso Cuma per chiedere responso alla sibilla che lì abitava. I troiani si salvarono per un pelo da quella minaccia e sbarcarono vicino l’Etna, dove si unì alla loro flotta Achemenide, un compagno di Ulisse abbandonato in quella terra. Enea sbarcò in Italia nell’attuale Salento, a Castro. Dopo aver assistito al terribile arrivo del ciclope Polifemo, Enea e i suoi uomini si fermarono in Sicilia, a Erice, benevolmente accolti dal re Aceste, dove il vecchio Anchise morì e fu sepolto. Era, piena d’odio per i troiani, scatenò una tempesta contro la flotta che venne trascinata verso l’Africa.
Lì Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina Didone, a Cartagine dove l’eroe narrò le sue dolorose vicende. I due si innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus, Enea dovette ripartire. Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone. Fu un terribile colpo per la povera regina. Didone, guardando in lontananza la nave di Enea che si allontanava, si uccise. La flotta troiana sbarcò di nuovo a Erice, dove per l’anniversario della morte di Anchise furono celebrati alcuni giochi in suo onore, i ludi novendiali, ai quali parteciparono sia atleti troiani sia atleti siciliani (libro V). Nella vicina città di Drepanon, alcune donne, fra le esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi. Enea ordinò dunque che chi non voleva continuare il viaggio sarebbe rimasto a Drepano, mentre gli altri avrebbero continuato il tragitto. Giunto a Cuma, Enea incontrò la Sibilla con la quale scese vivo nel regno dei morti. Lì incontrò Caronte e Cerbero, che cadde addormentato per un inganno della Sibilla. Giunto ai campi del pianto vide poi il triste spirito di Didone. Incontrò in seguito l’anima di Deifobo, il cui cadavere era stato sfregiato da Menelao. Infine, venne accolto dal padre Anchise che gli presentò le anime di coloro che avrebbero fatto grande il regno promesso a Enea in Italia.
Tornato nel mondo dei vivi, Enea sbarcò finalmente alle rive del Tevere, dopo aver visitato anche il Circeo: qui morì Caieta, la sua nutrice, ed egli la fece seppellire nel luogo che si sarebbe poi chiamato Gaeta in suo ricordo. Il re di Laurento, Latino, decise di affidargli la mano della figlia Lavinia, scatenando però così l’ira di Turno, il re dei Rutuli, cui la fanciulla era stata promessa. Durante una battuta di caccia Ascanio, senza saperlo, uccise una cerva domestica e per questo venne inseguito dai pastori del luogo. I troiani corsero in aiuto del figlio di Enea e uccisero uno degli inseguitori, l’aitante Almone, giovane cortigiano del re Latino. Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra. Turno radunò i suoi uomini e mosse contro i troiani. Enea invece risalì il fiume Tevere, giungendo così nel territorio di Evandro, re degli Arcadi. Quest’ultimo consigliò inoltre all’eroe troiano di recarsi fra gli Etruschi per chiedere aiuto a Tarconte. Fra gli alleati di Turno vi era infatti Mezenzio, ex sovrano degli Etruschi, cacciato per la sua crudeltà. Durante l’assenza di Enea il campo troiano venne assediato da quattordici giovani condottieri italici, ognuno dei quali era seguito da altri cento giovani. Eurialo e Niso, due inseparabili amici troiani, decisero di raggiungere Enea, per avvertirlo del pericolo. Usciti di notte, penetrarono tra le linee nemiche dove sorpresero nel sonno due dei condottieri assedianti, Ramnete e Remo, e alcuni guerrieri che combattevano nei loro contingenti, uccidendoli con le spade; poi ripresero il loro cammino, ma intercettati da una pattuglia nemica vennero accerchiati e messi a morte. Dopo una dura battaglia, durante la quale Turno fece strage di troiani, Enea, tornato via mare da Corito-Tarquinia assieme agli Etruschi comandati da Tarconte, ai Liguri di Cunaro e Cupavone, e agli Arcadi guidati da Pallante, figlio di Evandro, riuscì ad accorrere in aiuto dei compagni. Ma proprio Pallante, in quello scontro, cadde per mano di Turno. Enea andò su tutte le furie e venne meno alla sua famosa pietà, decapitando il giovane semidio etrusco Tarquito, che vinto da lui in duello lo implorava di essere risparmiato, e gettando il suo busto in acqua. Allora Giunone, temendo per la vita di Turno, riuscì ad allontanarlo dal campo di battaglia. Enea affrontò Mezenzio a duello ferendolo: quindi uccise Lauso, il figlio del tiranno, intervenuto in sua difesa. Commosso per il coraggio del giovane, Enea riconsegnò la salma e le armi a Mezenzio che, in uno scontro successivo, cadde sotto la spada del troiano. L’eroe, dopo aver sepolto il giovane Pallante, ordinò ai suoi uomini di marciare contro la città dei Latini. Turno e Camilla, regina guerriera dei Volsci, schierarono le proprie truppe. Il re rutulo assalì la fanteria troiana, Camilla la cavalleria etrusca. Nello scontro che ne seguì Camilla rimase uccisa. Turno decise allora di affrontare a duello Enea. Il troiano ebbe presto il sopravvento e per qualche attimo si trattenne dall’uccidere il nemico; ma riconoscendo addosso a Turno le armi di Pallante e ricordando il dolore di Evandro per la morte del figlio, gli conficcò la sua spada nel petto (…vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras).
Il racconto del mito di Enea è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 13: Enea – L’eroe di una nuova dinastia.
Un tempo, Zeus, il padre degli dèi, che non si era mai giaciuto con la figlia adottiva, stanco delle continue tentazioni che la magica cintura di Afrodite stimolava di continuo in lui, come in qualsiasi altro essere, mortale o divino che fosse, architettò di umiliare la dea, facendola innamorare perdutamente di un comune mortale. Il prescelto fu Anchise, un giovane pastore frigio, che di consueto faceva pascolare le sue vaste mandrie sui colli del monte Ida. Afrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro, decise di ottenere subito i suoi favori. Una notte, mentre egli giaceva nella sua capanna da mandriano, la dea assunse l’aspetto di una comune mortale e sotto tale travestimento si accostò a lui, sostenendo di essere una principessa, figlia del re Otreo, la quale, rapita dal dio Ermes, di lei perdutamente invaghito, era stata poi trasportata dal dio sui pascoli dell’Ida. Indossato poi un seducente peplo di colore rosso smagliante, la dea riuscì nel suo intento e, sdraiatasi accanto al giovane, giacque con lui in un giaciglio di pelli animali. Accompagnati dal sereno ronzare delle api, per tutta la notte i due amanti godettero delle passioni amorose e proprio da questo amplesso la dea dell’amore rimase incinta di un bambino. Quando, al sorgere dell’alba, Afrodite rivelò all’uomo la sua vera natura, Anchise, temendo di essere punito per aver scoperto le nudità di una dea, la pregò di risparmiargli la vita.
Tuttavia, la dea lo rassicurò, predicendogli la nascita di un bambino che sarebbe stato capace di regnare sui Troiani, acquistando un potere straordinario che si sarebbe mantenuto anche con i suoi discendenti. Ma allo stesso tempo Afrodite mise in guardia il suo amante, esortandolo a nascondere la verità sulla nascita del bambino, ben sapendo che se Zeus ne fosse venuto a conoscenza, lo avrebbe senza dubbio fulminato. Alcuni giorni dopo, mentre Anchise si trovava presso una locanda in compagnia dei suoi amici, uno di essi gli chiese se avesse preferito passare una notte con la figlia di Priamo o con Afrodite. Il giovane troiano, dimentico della promessa e stordito dall’ebbrezza, si vantò affermando di essere andato a letto con entrambe e giudicando un tale paragone impossibile.
Udita la temibile vanteria, Zeus dall’alto dell’Olimpo si affrettò a punire un così sfrontato mortale, scagliando una folgore destinata a incenerirlo. Ma Afrodite, postasi in difesa del suo amato, lo protesse grazie alla sua cintura magica, di fronte alla quale la terribile arma di Zeus nulla poté fare; la folgore raggiunse comunque Anchise, ma invece di incenerirlo, scoppiò innocuamente sotto i suoi piedi.
Il giovane mortale provò comunque un incredibile spavento alla vista di quelle scintille, tanto che da allora, egli non riuscì più a raddrizzare la schiena, traumatizzato com’era alla vista dell’ira divina, e la stessa Afrodite si disinteressò a lui dopo aver generato Enea. Si racconta anche che Zeus lo punì privandolo della vista.
Afrodite diede alla luce Enea sul monte Ida, e qui lo allevarono le ninfe nei primissimi anni di vita. Fu poi educato, secondo alcuni, dal centauro Chirone. A cinque anni fu affidato dal padre ad Alcatoo, che di Enea era cognato per aver sposato la sorellastra Ippodamia. Qui Enea fu cresciuto sino alla maggiore età. Sposò Creusa, figlia del re Priamo, cugino di suo padre, e da lei ebbe Ascanio. Pausania racconta che dalla moglie Enea avrebbe generato anche un’altra figlia, Etia. Prima dello scoppio della guerra contro gli Achei, Enea partecipò ad alcune spedizioni militari nell’ambito della politica espansionistica intrapresa da Priamo, legando in particolare il suo nome alla conquista dell’isola di Lesbo (la cui capitale allora era Arisbe), che divenne un avamposto strategico dei troiani. Secondo le fonti più antiche della saga troiana, Enea avrebbe avuto una parte nel ratto di Elena: fu sua madre Afrodite a ordinare all’eroe di rapire la regina di Sparta, che era sposata con Menelao, che era il premio che la dea aveva fatto a Paride per averle consegnato il pomo della bellezza. Enea era molto amico di Ettore, ebbe invece spesso contrasti con Priamo, come è detto più volte nell’Iliade. Nel canto XIII, l’eroe siede sul campo di battaglia rancoroso per il trattamento che il re aveva nei suoi riguardi. Era contrario alla guerra e inizialmente si rifiutò di combattere ma una volta indossate le armi non si tirò indietro.
Enea partecipò alla guerra di Troia ponendosi a capo di un contingente di Dardani. L’Iliade racconta che, durante un periodo di fittizia pace, l’eroe era allora mandriano del bestiame paterno sul monte Ida quando, nel corso di una scorreria nei pascoli della Troade, Achille riuscì a separarlo dai suoi armenti di buoi, li depredò e lo inseguì lungo le pendici boscose dell’Ida ma il troiano riuscì a sfuggirgli. Fu eroe valoroso, secondo solo a Ettore, e spesso supportato dagli dèi. Nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, combatté sul carro da guerra in compagnia di Pandaro. Quest’ultimo venne ucciso da Diomede, ed Enea lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d’armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell’amico dagli assalti greci. Affrontò dunque Diomede, rimanendo ferito a causa di un masso scagliato dal greco. Venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l’ira della dea, ferì anche lei e la costrinse alla fuga. Apollo scese dunque in soccorso del troiano, contro di lui non poterono nulla neanche i colpi di Diomede. Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze. Enea combatté valorosamente anche in altre battaglie, come quella presso le navi greche, soccorrendo Ettore, ferito da un masso scagliato da Aiace Telamonio, e uccidendo Medonte, fratellastro di Aiace Oileo, e Iaso, condottiero ateniese. In questa circostanza perse però sia i suoi luogotenenti, Archeloco e Acamante, che erano due dei tanti figli di Antenore, sia il cognato Alcatoo. Dopo la morte di Patroclo, Achille decise di tornare a combattere. Enea volle affrontarlo a duello, scagliò la sua lancia contro il greco ma non riuscì a colpirlo. Achille balzò contro Enea: Poseidone, che pur essendo divinità ostile ai troiani apprezzava Enea per la reverenza che aveva verso gli dèi, decise di salvare il figlio di Anchise avvolgendolo in una spessa nebbia e ponendolo fra le ultime file dell’esercito. Poseidone infatti sapeva che Enea avrebbe dovuto perpetuare la sua stirpe dopo la fine di Troia.
La notte in cui i greci sarebbero usciti dal cavallo di legno, gli apparve in sogno Ettore, terribile d’aspetto, che gli annunciò l’inevitabile caduta di Troia e il suo arrivo in terra italica. Durante l’incendio della città tentò, insieme a pochi uomini, di difenderla ma dopo aver capito che tutto ciò era ormai inutile, decise di fuggire portando con sé il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio. Durante la fuga perse però la moglie Creusa che, sotto forma di fantasma, gli rivelò il suo futuro di fondatore di un grande popolo.
Nella Iliou persis, invece, Enea scappava da Troia con i suoi seguaci subito dopo la fine di Laocoonte, avendo intuito grazie a quell’episodio l’imminente caduta della città. Secondo Omero Enea divenne fondatore di un grande regno nella Troade; la versione di Stesicoro, invece, consacrata da Virgilio, è quella più conosciuta.
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