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Il racconto del mito di Orfeo e Euridice è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Orfeo – La nascita della poesia
Orfeo, il più famoso poeta e musicista che la storia abbia mai avuto, non ha eguali tra uomini e dèi. È figlio del re Eagro e della musa Calliope. Il Dio Apollo un giorno gli dona una lira e le Muse gli insegnano a usarla. Diviene talmente abile che alla sua dolce musica il fragore dei torrenti cessa e l’acqua si dimentica di proseguire il cammino. Le selve inerti si muovono conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi vola, commuovendosi nell’ascoltare il dolce canto, perde le forze e cade. Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettano verso il cantore, e perfino le belve accorrono dalle loro tane al melodioso canto. Orfeo acquista una tale padronanza dello strumento che aggiunge due corde supplementari, portando a nove il loro numero per avere una melodia più soave.
Come prima grande impresa Orfeo partecipa alla spedizione degli Argonauti e quando la nave Argo giunge in prossimità dell’isola delle Sirene, è grazie a Orfeo e alla sua cetra che gli argonauti riescono a non cedere alle insidie nascoste nel canto. Durante la spedizione Orfeo dà innumerevoli prove della forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte occasioni; con la lira e con il canto fa salpare la nave rimasta inchiodata nel porto di Jolco, dà coraggio ai naviganti esausti a Lemno, placa a Cizico l’ira di Rea, ferma le rocce semoventi alle Simplegadi, si fa amica Ecate, addormenta il drago che custodisce il Vello d’oro.
Ogni creatura ama Orfeo ed è incantata dalla sua musica e dalla sua poesia ma Orfeo ha occhi solo per una donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride che diviene sua sposa. Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, ama perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non sia corrisposto, continua a rivolgerle le sue attenzioni. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mette a correre ma ha la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell’erba che la morde, provocandone la morte istantanea. Orfeo, impazzito dal dolore e non riuscendo a concepire la propria vita senza la sua sposa, decide di scendere nell’Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Lacerato dal dolore, scende allora nel mondo sotterraneo con la sua inseparabile lira per riportarla in vita. Raggiunto lo Stige, è dapprima fermato da Caronte. Orfeo, per oltrepassare il fiume, incanta il traghettatore con la sua musica. Sempre con la musica placa anche Cerbero, il cane a tre teste, guardiano dell’Ade. Una volta raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontra Ade e Persefone. Giunto al loro cospetto, Orfeo inizia a suonare e a cantare la sua disperazione e solitudine e le sue melodie sono così piene di dolore e di angoscia che gli stessi signori dell’Oltretomba si commuovono; le Erinni piangono; la ruota di Issione si ferma e i perfidi avvoltoi che divorano il fegato di Tizio non hanno il coraggio di continuare nel loro macabro compito; Sisifo si può fermare per un po’ a riposare sul sasso che continua a spingere su per la collina. Anche Tantalo dimentica la sua sete. Per la prima volta nell’oltretomba si conosce la pietà. È così che viene concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra la preceda e non si volti a guardarla fino a quando non siano giunti alla luce del sole.
Insieme ad Ermes (che deve controllare che Orfeo non si volti), si incamminano e iniziano la salita. Euridice, non sapendo del patto, continua a chiamare in modo malinconico Orfeo, pensa che lui non la guardi perché è brutta, ma lui, con grande dolore, deve continuare imperterrito senza voltarsi. Appena vede un po’ di luce, Orfeo, capisce di essere uscito dagli Inferi e si volta. Euridice però ha accusato un dolore alla caviglia morsa dal serpente e si è attardata… Orfeo ha trasgredito la condizione posta da Ade. Solo ora Euridice capisce e, all’amato, sussurra parole drammatiche e struggenti: «Grazie, amore mio, hai fatto tutto ciò che potevi per salvarmi». Si danno poi la mano, consapevoli che quella sarà l’ultima volta. Ermes con volto triste ed espressione compassionevole trattiene Euridice per una mano, perché ha promesso ad Ade di controllare ed è ciò che deve fare. Orfeo vede scomparire Euridice e si dispera, perché sa che non la vedrà mai più.
Orfeo per sette giorni cerca di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore del regno sotterraneo, ma questi per tutta risposta lo ricaccia alla luce della vita. Orfeo si rifugia allora sul monte Rodope, in Tracia trascorrendo il tempo in solitudine e nella disperazione. Unica sua consolazione è la lira; suona e suona e suona. Gli alberi, i sassi e i fiumi lo ascoltano deliziati. Decide allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Un gruppo di Menadi ubriache lo invita a partecipare a un’orgia dionisiaca. Per tener fede a ciò che ha detto, rinuncia. Le Menadi, infuriate, lo uccidono, lo fanno a pezzi e gettano la sua testa nel fiume Ebro, insieme alla sua lira. La testa cade proprio sulla lira e galleggia, continuando a cantare soavemente. Zeus, toccato da questo prodigio, prende la lira e la mette in cielo formando una costellazione. La testa scende fino al mare e da qui alle rive di Metimna, presso l’isola di Lesbo, dove Febo Apollo la protegge da un serpente che le si è avventato contro.
Secondo altre versioni, i resti del cantore sarebbero stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Le Muse recuperano le membra di Orfeo e le seppelliscono ai piedi del monte Olimpo e ancor oggi, in quel luogo, il canto degli usignoli è più soave che in qualunque altra parte della terra.
La versione del mito di Orfeo ed Euridice è tratta da Orfeo e Euridice di Andreas Barella, edito dalla Casa Editrice Ericlea (per gentile concessione della casa editrice). Vai al sito della Ericlea per una ricca presentazione del volume.
Dal risvolto di copertina: “Orfeo il poeta, Orfeo il musico, che per amore della moglie Euridice – morta per il morso di un serpente – riuscì a scendere al regno degli Inferi, precluso ai viventi, commuovendo con il suo canto i cupi Plutone e Proserpina, sovrani di Ade, e ottenendo di riportarla al mondo dei vivi. E poi, quel gesto, forse per il desiderio irrefrenabile di vederla: Orfeo si voltò prima del ritorno alla luce, violando la condizione sancita dagli dèi, e in un attimo Euridice spari per sempre. Così il canto di Orfeo, il primo dei poeti, i cui versi commuovevano animali, piante, alberi e rocce, ci racconta un amore profondo, quel sentimento che proprio come questo mitico personaggio è destinato a non morire mai, tanto da arrivare alla modernità nei versi di Whitman, di RIlke, di Dino Campana che non esita a dedicare il suo capolavoro Canti orfici proprio a colui che della poesia seppe fare consolazione per un’assenza che mai si sarebbe colmata.”
Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Perché Orfeo si voltò? Questo è il mistero della sua storia; si potrebbe dire che chiunque, anziché guardare verso la luce che brilla dinanzi, si volga alle tenebre che ha dietro le spalle, finisce inesorabilmente per essere risucchiato dall’abisso.”
Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Orfeo è curato da Roberto Mussapi, poeta e drammaturgo. I suoi ultimi lavori.
L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.
Andreas Barella ha parlato alla Radio Svizzera di Lingua italiana, nella trasmissione Appesi alla Luna, del ruolo mitologico degli insegnanti. Qui trovi la trasmissione. Qua sotto vi mettiamo l’estratto del suo volume “Adolescenza il Giardino Nascosto,” da cui ha tratto spunto per la chiacchierata nel salotto di RETE UNO. Si ringrazia l’editore per il permesso di pubblicare l’estratto.
“Nell’antichità l’educazione dei giovani di famiglia altolocata (ma spesso il mito situa in questa categoria le persone che hanno un valore intrinseco, interiore e psichico, e non solo quelle nate da un alto lignaggio) è affidato a persone di prestigio. Un esempio illustre è l’educazione di Achille. L’eroe della guerra di Troia, abbandonato dalla madre, viene affidato dal padre al centauro Chirone.
Altri personaggi sono altrettanto ricchi, per esempio il ruolo delle sacerdotesse della magia femminile che insegnano i loro segreti alle persone che amano (Medea con Giasone, Arianna con Teseo e soprattutto Circe con Ulisse), oppure i molti insegnamenti divini che gli esseri umani colgono come eccezionali occasioni di crescita.
Il centauro ha la peculiarità di occuparsi a tempo pieno della educazione dei giovani, è la sua attività principale. Per questo motivo Chirone è la prima figura mitologica che vorrei assurgere a simbolo del ruolo di docente all’interno del percorso di crescita degli adolescenti. La figura del centauro ha la ricchezza della ambivalenza di cui abbiamo parlato a lungo nei capitoli precedenti e che contraddistingue il mondo adolescenziale.
Chirone è una figura di natura doppia, a metà strada tra bestia ed essere umano. Il suo corpo è di cavallo, mentre il busto e la testa sono umani. Esso ha un temperamento selvaggio e aggressivo, ma sa dimostrarsi anche benevolo e ospitale. Un po’ come la nostra società dei consumi: sa essere aggressiva, ma sa anche come prendersi cura dei suoi membri. E come l’adolescenza ha questa capacità di essere una cosa e anche il suo esatto contrario. È uno straordinario maestro di caccia (colui che dà la morte) ma anche uno scienziato che conosce a menadito la medicina (colui che dona e mantiene la vita). Si tratta di un essere intermedio tra natura e cultura. È il più saggio e il più sapiente tra tutti i Centauri, ed è immortale. Il suo insegnamento è basato sulla musica, sull’arte della guerra e della caccia, sulla morale e sulla medicina.
Il centauro offre ai giovani a lui affidati ciò che nessun essere umano potrebbe dar loro: trasforma infanzia e adolescenza in un incantesimo silvestre che annulla qualsiasi distanza tra natura e cultura. Non insegna ai suoi allievi le complesse regole della caccia nelle selve, fa di loro, come Achille, dei corridori dei boschi che non si servono di trappole né di armi. Il centauro confonde le categorie e la sua scienza non viene trasmessa attraverso l’insegnamento, egli esercita sui fanciulli a lui affidati un’imposizione dei suoi doni che li trasforma mediante una sorta di modificazione strutturale della loro personalità. La storia del centauro costituisce una versione mitologica dell’iniziazione.
È proprio questo il primo augurio che porgo ai docenti: quello di essere partecipi come il centauro all’insegnamento che donano ai ragazzi. Sono naturalmente cosciente che la vita quotidiana dell’insegnamento è ricca di molti aspetti burocratici e strutturali che hanno la tendenza a soffocare la personalità degli insegnanti, ma perché non arricchire la propria visione di se stessi con queste immagini? Trasmetterli agli allievi, vivere la materia che si insegna e renderla squillante per i giovani è una sfida che dovrebbe sempre capeggiare nella mente e nella programmazione degli insegnanti. Perché è questo compito che rende vivi, nella mia esperienza, i docenti, la materia e gli allievi stessi.
Anche la maga Circe che compare nel Canto X dell’Odissea (e maga sta per sacerdotessa che conosce le arti segrete della natura) è una straordinaria insegnante. Il suo modo di istruire è diverso, almeno all’inizio, da quello di Chirone, in quanto per imparare da lei bisogna riconoscere il suo potere e la sua diversità, senza averne paura. Cosa che i marinai di Ulisse non riescono a fare, e vengono tramutati in porci. Ulisse, con l’aiuto di Ermes, diviene immune alla magia trasformativa di Circe e può, una volta tenutane a bada la pericolosità, impararne i segreti. Di nuovo, come con Chirone, si tratta di insegnamenti che vengono impartiti grazie all’esperienza, al vivere a stretto contatto l’una con l’altro e sono segreti e insegnamenti legati al mondo naturale e istintivo. In questo regno si imparano i segreti che permettono poi di vivere e regnare anche nel mondo della ragione.
È questo il grande segreto che i due prototipi degli insegnanti ci comunicano. Proprio con questa mentalità si può e si deve affrontare il lavoro di docente. La messa in scena rituale che andiamo a presentare nella seconda parte è un esempio di come sia possibile farlo. Lo svolgimento di questo tipo di attività può essere facilmente programmato all’interno delle ore scolastiche che le scuole medie riservano alla conoscenza e allo studio della mitologia. E che le scuole superiori dedicano allo studio della filosofia. Si tratta di un’ottima occasione per rendere naturali e vive le storie che lette nell’antologia scolastica suonano vecchie e noiose. È l’occasione per le docenti e i docenti di diventare un po’ Chirone e un po’ Circe e trasportare gli studenti da un mondo interamente fattuale e nozionistico in un mondo fatato, in un incantesimo che diminuisce le distanze tra mondo mentale, mondo emotivo e mondo fisico, ricreando quella atmosfera silvana e boschiva in cui Circe e Chirone formano i futuri Re, i futuri Eroi e le future Eroine, le future Maghe.
Consideriamo ora come raggiungere questo risultato. Se avete bisogno di aiuto e di suggerimenti trovate maggiori dettagli nell’Appendice.”
Tratto da: Andreas Barella, “Adolescenza, il Giardino Nascosto,” Casa Editrice Ericlea. Si ringrazia l’editore per il permesso di pubblicare l’estratto. Maggiori informazioni sul volume.
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