Il racconto del mito di Artemide è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 25: Artemide – La natura selvaggia.
Artemide, sorella di Apollo, se ne va armata d’arco e di frecce e, come Apollo, ha il potere sia di provocare pestilenze o morti improvvise, sia di porvi rimedio. Essa è la protettrice dei bambini e di tutti gli animali da latte, ma ama anche la caccia, specialmente la caccia al cervo.
Un giorno, mentre era ancora una bimba di tre anni, suo padre Zeus la prese sulle ginocchia e le chiese quali doni avrebbe gradito. E subito Artemide rispose: «Concedimi, ti prego, l’eterna verginità; tanti nomi quanti ne ha mio fratello Apollo; un arco e delle frecce come i suoi; il compito di portare la luce; una tunica da caccia color zafferano con un bordo rosso, che mi giunga sino alle ginocchia; sessanta giovani Ninfe oceanine, tutte della stessa età, come mie damigelle di onore; venti Ninfe dei fiumi, che farai giungere da Amniso in Creta, perché si curino dei miei calzari e nutrano i miei cani quando io non sono impegnata nella caccia; tutte le montagne del mondo; e infine tutte le città che vorrai scegliere per me, ma una sola mi basta, perché intendo vivere quasi sempre sulle montagne. Purtroppo, le donne in travaglio mi invocheranno spesso, poiché mia madre Latona mi ha partorita senza dolore, e le Moire dunque hanno già fatto di me la patrona delle nascite». Artemide allungò la mano per accarezzare la barba di Zeus che sorrise con orgoglio e disse: «Con una figliola come te non avrò mai da temere della gelosia di Era! Tu avrai tutto questo e altro ancora: non una, ma trenta città e una parte di molte altre, sia sul continente sia nell’arcipelago; e io ti nomino custode delle strade e dei porti». Artemide lo ringraziò, saltò giù dalle sue ginocchia e si recò subito sul Monte Leuco in Creta, e poi nel fiume Oceano, dove scelse molte Ninfe di nove anni come sue ancelle; le loro madri furono felici di affidargliele.
Dietro invito di Efesto, la dea si recò in seguito a visitare i Ciclopi nell’isola di Lipari e li trovò intenti a martellare un truogolo per i cavalli di Poseidone. Bronte, cui era stato detto di fare tutto ciò che Artemide volesse, la prese sulle sue ginocchia; ma non apprezzando le sue carezze, la giovane dea gli strappò una manciata di peli dal petto; quei peli non ricrebbero più e Bronte ebbe sempre una macchia bianca sul petto, sì che chiunque avrebbe potuto crederlo malato di rogna. Le Ninfe erano atterrite dall’orrendo aspetto dei Ciclopi e dal fragore della fucina; la cosa è comprensibile, poiché quando una bimba è disobbediente subito la mamma minaccia di chiamare Brente, Arge o Sterope. Ma Artemide sfacciatamente disse ai Ciclopi di trascurare per qualche tempo il truogolo di Poseidone e di farle invece un arco d’argento e un bei fascio di frecce; in cambio essa avrebbe loro offerto in pasto la prima preda abbattuta. Con queste armi Artemide si recò in Arcadia, dove Pan era intento a smembrare una lince per darla in pasto alle sue cagne e ai loro cuccioli. Pan diede ad Artemide tre cani segugi dalle orecchie mozze, due bicolori ed uno macchiettato, tutti assieme capaci di trascinare un leone vivo nel canile: e sette agili segugi spartani. Avendo catturato vive due coppie di cerve cornute, Artemide le aggiogò a un cocchio d’oro con redini d’oro e le guidò a settentrione verso l’Emo, monte della Tracia. Giunta sull’Olimpo Misio la dea tagliò una torcia da un pino e l’accese nelle braci di un albero colpito dal fulmine. Per quattro volte provò il suo arco d’argento, le prime due mirando agli alberi, la terza a una bestia selvatica, la quarta a una città abitata da uomini ingiusti. Poi ritornò in Grecia dove le Ninfe Amnisie staccarono le cerve dal cocchio, le strigliarono, le nutrirono con quello stesso trifoglio, rapido a crescere, che è il cibo favorito dei destrieri di Zeus, e le abbeverarono in truogoli d’oro.
Un giorno il dio-fiume Alfeo, figlio di Teti, osò innamorarsi di Artemide e inseguirla attraverso la Grecia; ma essa giunse a Letrini in Elide (o, secondo altri, all’isola di Ortigia presso Siracusa), dove impiastricciò di bianco fango il proprio volto e quello delle Ninfe, tanto che non fosse più possibile distinguere l’una dalle altre. Alfeo fu costretto a ritirarsi, inseguito dall’eco di risate di scherno. Artemide vuole che le sue compagne rispettino la castità come essa stessa la rispetta. Quando Zeus sedusse una di loro, Callisto, figlia di Licaone, Artemide notò che era incinta. Trasformatala in orsa, le scatenò contro i cani e l’infelice sarebbe senz’altro perita se Zeus non l’avesse trasportata in cielo, ponendone l’immagine tra le stelle. Ma altri dicono che Zeus stesso trasformò Callisto in orsa e che Era, ingelosita, indusse Artemide a darle la caccia senza saperlo. Il figlio di Callisto, Arcade, fu salvato e divenne l’antenato degli Arcadi. In un’altra occasione, Atteone, figlio di Aristeo, stava appoggiato a una roccia nei pressi di Orcomeno, quando vide per caso Artemide che si bagnava in un fiume poco lontano e rimase a guardare. Poiché in seguito si vantò con gli amici che la dea gli si era mostrata nuda senza alcun pudore, Artemide lo tramutò in cervo e lo fece divorare dalla sua muta di cinquanta cani.
Il mito di Artemide, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
Qui trovata un approfondimento sulla dea e sulle sue similitudini con Atalanta la cacciatrice, tratto dal volume Adolescenza, il giardino nascosto scritto da Andreas Barella.
“Canto Artemide dalle frecce d’oro, risonante, vergnine veberanda, cacciatrice di cervi, saettatrice, sorella di Apollo dalla spada d’oro, che sui monti ombrosi e le cime ventose, dilettandosi della caccia, tende l’arco tutto d’oro scagliando dardi che fanno gemere.” (Inno omerico ad Artemide)
Dal risvolto di copertina: “Figlia di Zeus e di Letò, sorella gemella di Apollo, Artemide nasce sulla piccola isola di Delo, nel cuore delle Cicladi. Un luogo che si sarebbe per sempre legato alla nascita delle due grandi divinità. È la dea vergine della caccia e del tiro con l’arco, della natura, della fecondità, protettrice degli animali. Platone faceva derivare il suo nome da artemés, “integro”, mentre i moderni lo hanno accostato anche ad àrtamos (“uccisore”) o ad àrktos (“orso”): Artemide infatti era detta “signora degli animali” (pôtnia theròn), di quelli selvaggi in particolare. La dea, potremmo dire, simboleggia l’irriducibilità dell'”esterno” nella condizione umana. L’essere umano non può né fare a meno né essere completamente padrone delle forze che sono al di fuori della civiltà. Nell’immaginario dei Greci Artemide è di casa negli spazi selvaggi perché, in altri termini, l’elemento selvaggio è un “dio” e come tale possiede un potere e delle prerogative con cui i mortli devono necessariamente fare i conti.”
Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “A differenza del fratello Apollo, che è un dio cittadino, Artemide ha come ambito d’azione ciò che è marginale e selvaggio: in particolare la natura incolta nella quale vivono gli animali. Una duplice natura è connaturata alla dea: pur essendo vergine, è una nutrice e, se da un lato protegge i cuccioli degli animali e li fa crescere, dall’altro li abbatte, cacciandoli insieme al suo corteo di ninfe, vergini come lei. Questa dea ha peraltro anche un lato terribile: è la cacciatrice che rappresenta una fase antica di civiltà, precedente l’agricoltura, colei che esige sacrifici umani e porta Ifigenia sull’altare per essere sgozzata, anche se poi la salverà.”
Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Artemide è curato da Massimo Giuseppetti, ricercatore di Lingua e letteratura greca. Qui una lista dei volumi da lui pubblicati.
L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.
Il modo migliore per avvicinarsi alla dea Artemide è quello di leggere qualche mito che la vede protagonista. Consultate qualche buon libro di mitologia per trovare le storie che più vi affascinano (una lista la trovate qui). Il testo che segue è tratto da Andreas Barella, Adolescenza il Giardino Nascosto, Casa editrice Ericlea, 2010.
“Artemide è figlia di Zeus e Latona, nonché sorella gemella di Apollo. Latona, a causa di una maledizione lanciatale dalla moglie di Zeus, Era, per poter mettere al mondo i due bambini è costretta a trovare un luogo che non abbia mai visto la luce del sole. Per questo motivo Zeus fa emergere dal mare un’isola fino allora sommersa che, di conseguenza, il sole non ha ancora toccato. Si tratta dell’isola di Delo, e Latona vi partorisce aggrappata a una palma sacra. Artemide nasce per prima, dopo soli sei mesi di gestazione e aiuta la madre a dare alla luce Apollo che nasce invece il settimo mese. L’infanzia di Artemide non è raccontata da alcun mito giunto fino a noi, ma viene descritta come la dea che si diverte usando l’arco sulle montagne, immagine suggestiva. Giunta all’età di tre anni Artemide, sedendogli sulle ginocchia, chiede al padre Zeus di avverare alcuni suoi desideri: per prima cosa chiede di restare per sempre vergine, poi di non doversi mai sposare e infine di avere sempre a disposizione cani da caccia con le orecchie basse, cervi che tirino il suo carro e ninfe come compagne di caccia. Il padre la asseconda e realizza i suoi desideri. Tutte le sue compagne rimangono così vergini ed Artemide vigila strettamente sui loro voti.
Un giorno Artemide sta facendo il bagno nuda in una valle sul monte Citerone quando arriva il principe tebano Atteone, che sta andando a caccia. Si ferma a guardarla, affascinato dalla sua mirabile bellezza, e ne è talmente incantato che calpesta un ramo e per il rumore Artemide si accorge di lui. Resta così disgustata dal suo sguardo fisso che decide di lanciargli addosso dell’acqua magica e trasformarlo in un cervo: in questo modo i suoi cani, scambiandolo per una preda, lo uccidono sbranandolo. Una versione alternativa della storia narra che Atteone si è vantato di essere un cacciatore migliore di lei e che quindi la dea lo trasformi in cervo, facendolo divorare per vendetta.
Orione è un compagno di caccia di Artemide. Le versioni della leggenda sono diverse: secondo alcune è ucciso dalla dea, secondo altre da uno scorpione inviato da Gea. Alcune storie riportano che Orione tenta di stuprare una delle ninfe di Artemide e che questa lo uccide per punirlo, altre che tenta di stuprare la dea stessa che lo uccide per difendersi. Ma la versione più interessante che distingue Orione da Atteone, è quella che narra che Artemide è innamorata di Orione e vuole sposarlo, ma il fratello Apollo, geloso di questo amore, sfida la sorella a una gara di tiro con l’arco. Apollo afferma che la sorella non è in grado di colpire un tronco galleggiante nel mare, che si vede a malapena dalla spiaggia. Artemide incocca la freccia e infallibilmente colpisce quello che crede un tronco. In realtà è Orione che sta nuotando nelle acque. Distrutta dal dolore, la dea innalza l’amato al livello del cielo, facendolo diventare una costellazione che tutte le notti può ammirare.
Abbiamo con Artemide un personaggio variegato, una dea indipendente dagli uomini, a cui non appartiene, ma che costantemente deve confrontarsi con il potere maschile che cerca di riportarla all’ordine costituito, alle convenzioni. La madre la obbliga a crescere prima del tempo, ancora fanciulla deve già aiutarla nel parto e accudire il fratello gemello. Gli uomini la vedono come un essere pericoloso e mortifero, la storia di Atteone ne è un esempio: chi incontra la dea, chi incontra una donna libera e senza padrone, rischia di essere distrutto da quello che ama di più e di più familiare possiede. Nel caso di Atteone il cacciatore, quello che ha di più caro sono i suoi cani. E anche amare una donna così si rivela pericoloso e mortale: lo stesso Orione è ucciso dalle mani della dea. Insomma, la donna libera fa paura agli uomini greci.
Questo, come detto, è il punto di vista maschile, la storia è vista dalla prospettiva dell’uomo che teme la donna e ne ignora il mistero. È proprio su questo aspetto che vorrei concentrarmi: il mistero femminile e il fascino che esercita sui ragazzi e sulle ragazze stesse, che si apprestano a scoprirlo e svilupparlo. Il mito ci parla di nascita, di servizio della nascita (Artemide nutrice), di un forte legame con il gemello, di una libertà sancita dal padre degli dèi (vergine per i greci significa “libera” non legata a nessun uomo nel matrimonio, e non ha connotazioni legate alla sessualità, che la vergine gestisce liberamente). Ci parla anche di legami femminili, di voti di libertà controllati a vicenda, una sorta di comunità tutta femminile di difesa reciproca della propria libertà. Di forza magica e misteriosa che trasforma gli uomini e li punisce se si avvicinano a lei in modo sbagliato. Di ribellione al mondo maschile, o in altre parole di una visione alternativa e radicalmente diversa della vita e del ruolo dei sessi all’interno del mondo. In realtà tutte le divinità femminili hanno sempre la tendenza, una volta spogliate dalla patina interpretativa aggiunta dagli uomini (che lo ricordo, sono quelli che raccontano le storie che ci sono pervenute dal mondo greco) a ricondurci all’idea della dea Madre, della Grande divinità femminile, quella raffigurata nelle statuette arcaiche nuda in varie attitudini della grande madre che dona se stessa, il suo nutrimento e dà supporto. La Madre Terra, con due grandi seni e una grande pancia, la generatrice di vita che crea il figlio e si unisce ciclicamente allo sposo per generare altri figli. Per questo motivo ingloba in sé vita e morte, nascita e rinascita, come il mondo vegetale che tutti gli autunni sembra fermarsi e ogni primavera rinasce. Come possiamo utilizzare questa dea nel nostro percorso di arricchimento femminile (ma come abbiamo visto anche maschile)? Intanto accettando questa differenza, non lasciando che l’immagine femminile sia stereotipata o fonte di un dominio maschile (che storicamente è millenario nella nostra cultura), non solo della donna ma anche della visione che se ne ha.
Questa è la sfida più affascinante e misteriosa di tutto questo libro, di tutte le idee proposte in queste pagine. Non tocca a me, in quanto uomo, dire in che direzione debba andare questa ricerca. L’importante è che non resti qua sulla carta ma esca nel mondo e nelle classi e nella vita delle ragazze che saranno le donne, le madri, le Artemidi di domani. Il vantaggio del nostro tempo è che la libertà, la parità come persone, ha fatto passi da gigante, e le possibilità di realizzare il mistero della vergine guerriera sono tutte davanti a noi.
Per dare un’idea di suggestioni scaturite dal lavoro esperienziale con giovani persone e di come esse si rapportano con la scoperta del mistero femminile, ecco l’esempio di Atalanta.”
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