“Le cose che leggi, Teseo, te le scrivo da questa spiaggia donde, senza di me, le vele han portato via la tua nave, dove io son stata indegnamente tradita e da un sonno funesto e da te, che al mio sonno ha teso un agguato.” (Arianna scrive a Teseo, tratto da Ovidio, Heroides)
Dal risvolto di copertina: “Il mito di Teseo intreccia avventure e amori, inganno e passione, vita e morte. Nato dall’unione di Egeo, antico re di Atene, ed Etra, l’eroe è cristallizzato per quell’impresa che non gli sarebbe riuscita senza l’aiuto di Arianna – la principessa cretese, figlia di Minosse e sorellastra del Minotauro, innamorata di lui. Grazie a un gomitolo di filo, srotolato dall’ingresso nel labirinto, Teseo – ucciso il Minotauro – poté trovare la via d’uscita. Lasciata Creta, abbandonerà Arianna a Nasso e in seguito sposerà Fedra, altra figlia di Minosse. Fuori dalle simbologie di un labirinto che riporta ai guai dei mortali, dagli intrecci amorosi, dalla competizione con il cugino Eracle, dagli sconti con i Centauri e le Amazzoni, Teseo fu essenzialmente colui che riuscì a unificare politicamente l’Attica sotto la guida della sua città: Atene.”
Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Teseo è l’eroe nazionale di Atene, perciò era considerato il lontanissimo antenato della democrazia ateniese. In generale, Teseo incarna bene il modello del gentiluomo ateniese: il cosiddetto kalokagathos “bello e valente”. Generoso, coraggioso, ospitale, pio verso gli dèi, rispettoso del popolo e delle sue leggi. Un eroe politico, quindi, non un personaggio ancora primitivo e affrancato dai vincoli cittadini come Eracle, che vaga fra molte città ma in nessuna si integra veramente.”
Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Teseo è curato da Caterina Carpinato, professore associato di Lingua e letteratura neogreca presso l’università di Ca’ Foscari di Venezia. Qui gli ultimi volumi pubblicati.
L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.
Il racconto del mito di Fedra è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 11: Fedra – L’insana passione.
Dopo le sue nozze con Fedra, Teseo mandò il figlio bastardo Ippolito da Pitteo, che lo adottò come suo erede al trono di Trezene. In tal modo Ippolito non avrebbe avuto ragione di contestare il trono di Atene ai suoi legittimi fratelli, Acamante e Demofoonte, figli di Fedra. Ippolito, che aveva ereditato da sua madre Antiope un’accesa devozione per la casta Artemide, innalzò alla dea un nuovo tempio in Trezene, non lontano dal teatro. Al che Afrodite, ben decisa a punire ciò che considerava un insulto a lei diretto, fece in modo che, mentre Ippolito partecipava ai Misteri Eleusini, Fedra si innamorasse perdutamente di lui. Ippolito indossava una bianca veste, aveva una corona in capo e, benché la sua espressione fosse dura e arcigna, a Fedra egli apparve stupendo e austero.
Poiché a quell’epoca Teseo si trovava in Tessaglia con Piritoo o forse nel Tartaro, Fedra seguì Ippolito a Trezene. Colà essa edificò il tempio ad Afrodite che Spia, sovrastante la palestra, e ogni giorno, senza essere notata, poteva osservare Ippolito che, completamente nudo, si esercitava nella corsa, nel salto e nella lotta. Un antico albero di mirto sorge nel recinto del tempio e Fedra, nel furore dell’inane passione, si accaniva contro le sue fronde servendosi di uno spillone ingioiellato; ancor oggi si vedono i fori dello spillone nelle foglie. In seguito, quando Ippolito si recò ad assistere alle Panatenee e alloggiò nel palazzo di Teseo, Fedra spiò dal tempio di Afrodite sull’Acropoli. Fedra non svelò ad alcuno il suo incestuoso desiderio, ma toccava appena il cibo, dormiva male e tanto si indebolì che la vecchia nutrice, infine, indovinò la verità e supplicò la regina di inviare una lettera a Ippolito. Fedra seguì il consiglio e scrisse confessando il proprio amore, disse di essere ormai convertita al culto di Artemide, cui aveva riconsacrato i simulacri lignei portati da Creta. Ippolito avrebbe accettato di recarsi con lei a una partita di caccia? «Noi donne della real casa cretese», continuava la lettera, «siamo forse per destino condannate al disonore: pensa a mia nonna Europa, a mia madre Pasifae e infine a mia sorella Arianna! Ah infelice Arianna, abbandonata dal padre tuo, l’infedele Teseo, che in seguito uccise la tua real madre Antiope… (perché le Furie non punirono la tua filiale indifferenza alla sua triste sorte?) e forse un giorno ucciderà me pure! Conto su di te per vendicarti di Teseo rendendo omaggio ad Afrodite. Perché non ce ne andiamo a vivere assieme, per qualche tempo almeno, servendoci come pretesto della battuta di caccia? Nessuno sospetterà dei nostri veri sentimenti. Già alloggiamo sotto lo stesso tetto e il nostro affetto sarà considerato innocente o persino encomiabile».
Ippolito bruciò inorridito quella lettera e si recò nella camera di Fedra dando aspra voce ai suoi rimproveri; Fedra allora si lacerò le vesti, spalancò le porte, gridò: «Aiuto! Aiuto! Sono stata violentata!» e si impiccò a una trave del soffitto, lasciando un biglietto che accusava Ippolito di orrendi crimini. Teseo, ricevendo tale biglietto, maledisse Ippolito e diede ordini affinché il giovane lasciasse immediatamente Atene e mai più vi ritornasse. Più tardi si rammentò dei tre desideri che il padre suo Posidone aveva promesso di esaudire e pregò perché Ippolito morisse quel giorno stesso. «Padre», supplicò, «fa’ che una belva si pari dinanzi a Ippolito sulla strada di Trezene!»
Ippolito aveva abbandonato Atene in gran fretta. Mentre correva lungo la parte più stretta dell’istmo, un’enorme ondata, più alta della Roccia Moluride, si abbatté con un boato sulla spiaggia e dalla sua spuma emerse una grande foca maschio (o, come altri dicono, un toro bianco). I quattro cavalli di Ippolito fecero uno scarto verso la parte opposta della strada, pazzi di terrore, ma Ippolito, abile auriga qual era, impedì che precipitassero nel baratro sottostante. Tuttavia gli animali si lanciarono in un galoppo furioso. Non lontano dal santuario di Artemide Saronide si trova un olivo selvatico, chiamato il Rachos Contorto (poiché rachos termine trezenio per indicare l’oleastro) e le redini di Ippolito si impigliarono nei rami di quest’albero. Il suo cocchio si infranse su un mucchio di pietre, e Ippolito, imprigionato dal groviglio delle redini, andò a sbattere prima contro il tronco, poi contro le pietre, e infine fu calpestato a morte dai cavalli, mentre la foca pareva svanire nel nulla. Taluni ritengono improbabile che Artemide in quel momento rivelasse la verità a Teseo e lo trasportasse in un batter d’occhio a Trezene, dove egli ebbe appena il tempo di riconciliarsi con il figlio morente. È accertato tuttavia che la dea ordinò ai Trezeni di tributare a Ippolito onori divini e da quel giorno tutte le spose trezenie si tagliano una ciocca di capelli e gliela offrono. Fu Diomede che consacrò l’antico tempio e il simulacro di Ippolito a Trezene e che per il primo gli offrì un sacrificio annuale. Nel recinto di questo tempio, presso il mirto dalle foglie forate, si vedono le tombe di Fedra e di Ippolito, quest’ultima contrassegnata da un tumulo di terra.
I Trezeni negano che Ippolito fosse calpestato a morte dai cavalli e che egli giaccia sepolto nel recinto del tempio; ne vogliono rivelare dove si trovi la sua tomba. Tuttavia sostengono che gli dei ne posero l’immagine fra gli astri come costellazione dell’Auriga. Gli Ateniesi innalzarono un tumulo in memoria di Ippolito presso il tempio di Temi, poiché la sua morte era stata provocata dalle maledizioni. Taluni dicono che Teseo, processato per omicidio, fu giudicato colpevole, colpito da ostracismo ed esiliato a Sciro, dove chiuse la sua vita nel dolore e nella vergogna. Ma comunemente si ritiene che egli cadde in disgrazia perché tentò di violentare Persefone.
L’ombra di Ippolito discese al Tartaro e Artemide, indignata, chiese ad Asclepio di risuscitare il suo corpo. Asclepio aprì il suo stipo d’avorio e ne estrasse l’erba che aveva risuscitato il cretese Glauco. Per tre volte posò l’erba sul corpo di Ippolito, pronunciando frasi magiche, e la terza volta il cadavere alzò la testa dal suolo. Ma Ade e le tre Moire, irati per questo attentato ai loro privilegi, indussero Zeus a uccidere Asclepio con la sua folgore.
I Latini narrano che Artemide avvolse allora Ippolito in una fitta nube e gli fece assumere le sembianze di un vecchio. Dopo aver esitato tra Delo e Creta, decise di nasconderlo nel bosco a lei sacro ad Ariccia, in Italia. Colà, col consenso di Artemide, Ippolito sposò la Ninfa Egeria; egli vive ancora presso il lago, tra cupi boschi di querce che si affacciano su inaccessibili burroni. Affinché nulla gli ricordasse la sua morte, Artemide gli diede il nuovo nome di Virbio, che significa vir bis, due volte uomo; e nessun cavallo può avvicinarlo. Soltanto gli schiavi fuggiaschi possono divenire sacerdoti di Artemide Aricina. Nel bosco a lei sacro sorge un’antica quercia, i cui rami non si debbono spezzare; ma qualora uno schiavo osi compiere questo gesto, il sacerdote, che ha a sua volta ucciso il proprio predecessore e vive in un costante timore della morte, deve duellare con lui, spada contro spada, per la carica sacerdotale. Gli Arici dicono che Teseo supplicò Ippolito di rimanere con lui ad Atene, ma che Ippolito rifiutò. Una tavoletta nel santuario di Asclepio a Epidauro ricorda che Ippolito gli consacrò venti cavalli, in segno di gratitudine per averlo risuscitato.
ll mito di Fedra, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
“Come la virtù, anche la colpa ha i suoi gradi .” (Jean Racine, Fedra)
Dal risvolto di copertina: “Fedra nasce a Creta, l’isola che aveva ospitato l’infanzia di Zeus e che rappresenta una sorta di ombelico dell’universo mitico dei Greci. Suo padre è Minosse, re saggio e spietato, sua madre Pasifae, che Afrodite fece un giorno innamorare di un bellissimo toro per punirla di aver trascurato il suo culto, sua sorella Arianna, anche lei vittima di una passione folle e infelice per il giovane Teseo, dal quale abbandonata su un’isola deserta (NdA, abbiamo già parlato di Arianna in questo post). Fra tutte le eroine del mito greco, Fedra è quella che più dolorosamente sperimenta su d sé la potenza sconvolgente e incontenibile di Eros: prima si invaghisce perdutamente del figliastro Ippolito, poi, di fronte al suo rifiuto, decide di togliersi la vita. La storia di Fedra diventa così non solo un intreccio perfetto per la tragedia, ma anche la sede privilegiata per una riflessione sull’amore, sulle sue manifestazioni e soprattutto sul suo rapporto sempre tendenzialmente conflittuale con le regole stabilite dalle società umane.”
Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Quella di Fedra è la malattia d’amore, un amore senza speranza, forse uno dei drammi più crudeli che un essere umano possa sperimentare durante la sua vita. Fedra, la luminosa, sostituì sua sorella Arianna come sposa di Teseo. Le eroine cretesi sono donne speciali; i loro nomi alludono spesso alla sfera lunare; il loro erotismo è anomalo (Europa e Pasifae amano un toro, Arianna fugge da casa con l’uomo che ha ucciso suo fratello, Fedra ama il figliastro). Donne, quindi, lontane dalla dimensione familiare di tante eroine greche. Queste figure probabilmente riflettono aspetti della grande dea femminile che dominava la primitiva religione mediterranea.”
Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Fedra è curato da Mario Lentano, professore di lingua e letteratura greca presso l’Università di Siena. Qui gli ultimi volumi pubblicati.
L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.
Il racconto del mito di Arianna (e Teseo e Dioniso) è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 5: Arianna – Le insidie dell’amore
In espiazione della morte di Androgeo, Minosse volle che gli Ateniesi inviassero ogni nove anni (e cioè al termine di ogni Grande Anno) sette fanciulli e sette fanciulle nel Labirinto di Creta, dove il Minotauro li avrebbe divorati. Questo Minotauro, che si chiamava Asterie o Asterione, era il mostro dalla testa di toro generato da Pasifae e dal toro bianco. Poco dopo l’arrivo di Teseo in città, gli Ateniesi avrebbero dovuto pagare per la terza volta il gravoso tributo e lo spettacolo dei genitori angosciati all’idea di separarsi per sempre dai loro figli era così triste che Teseo si offrì come vittima volontaria, benché suo padre Egeo, il re di Atene, cercasse in ogni modo di dissuaderlo da tale proposito. Altri invece dicono che il suo nome fu estratto a sorte; e, secondo altri ancora, lo stesso Minosse accompagnato da una grande flotta sarebbe giunto ad Atene per scegliere le vittime; il suo sguardo si posò su Teseo il quale, benché nato a Trezene e non Atene, si offrì di unirsi alle vittime a patto che se fosse riuscito ad abbattere il Minotauro con le sole mani Atene sarebbe stata esentata dal tributo.
Nei due viaggi precedenti, le navi che portavano le vittime a Creta avevano inalberato vele nere, ma Teseo si sentiva certo del favore degli dei ed Egeo gli affidò dunque una vela bianca, perché la inalberasse al ritorno, in segno di vittoria; altri dicono che si trattava di una vela rossa, tinta nel sugo delle bacche di cocciniglia.
Quando i nomi delle vittime furono estratti a sorte dinanzi al tribunale supremo, Teseo guidò i suoi compagni al Tempio del Delfino dove, in nome di tutti, offrì ad Apollo un ramo di olivo avvolto in un filo di lana bianca, Le quattordici madri portarono le provviste per il viaggio e narrarono ai loro figli favole prodigiose ed eroiche per rincuorarli. Teseo sostituì a due delle fanciulle dei giovanetti dall’aspetto effeminato ma dotati di insolito coraggio e presenza di spirito. Raccomandò loro di fare dei bagni caldi, di evitare i raggi solari, di profumarsi il corpo e i capelli con oli ed essenze, e di imitare l’incedere e il gestire delle donne. Riuscì così a ingannare Minosse e a far credere che quei due fossero fanciulle.
Quando la nave giunse a Creta alcuni giorni dopo. Minosse si recò al porto per contare le vittime. Innamoratesi di una delle vergini ateniesi (ancor si discute se si trattasse di Peribea, che divenne poi madre di Aiace, di Eribea o di Ferebea, poiché i nomi erano tanto simili da generar confusione) l’avrebbe violentata sul posto se Teseo non fosse insorto dichiarando che era suo compito, come figlio di Poseidone, di difendere le vergini dall’oltraggio dei tiranni. Minosse, con una risata di scherno, rispose che Poseidone non aveva mai rispettato le vergini che avessero acceso il suo desiderio, «Dunque», concluse, «se davvero sei figlio di Poseidone provamelo ripescando questo anello dal fondo del mare», e ciò dicendo gettò tra le onde l’aureo sigillo che portava al dito. «Tocca a te per primo dimostrarmi che sei figlio di Zeus! » replicò Teseo. Subito Minosse innalzò una preghiera al cielo e alle sue parole: «Padre Zeus, ascoltami!» rispose il balenare di un lampo e un fragore di tuono. Senza esitare Teseo si tuffò allora nel mare dove un branco di delfini lo scortò fino al palazzo delle Nereidi. Taluni dicono che la Nereide Teti donò a Teseo la corona ingioiellata, dono nuziale di Afrodite, che più tardi cinse il capo di Arianna; altri, che Anfitrite, la dea del mare, gli consegnò la corona e ordinò alle Nereidi di nuotare tutt’attorno per trovare l’anello. In ogni caso, Teseo emerse dal fondo del mare reggendo sia l’anello sia la corona, così come Micene l’ha dipinto sulla terza parete del santuario di Teseo.
II favore di Afrodite accompagnava dunque Teseo; non soltanto Peribea e Ferebea invitarono il cavalleresco giovane a giacersi con loro e non furono respinte, ma la stessa figlia di Minosse, Arianna, si innamorò di lui a prima vista. «Ti aiuterò a uccidere il mio fratellastro, il Minotauro», essa gli promise in segreto, «purché io possa ritornare con te ad Atene, come tua moglie». Teseo accettò con piacere questa proposta e giurò di sposare Arianna. Ora, prima di lasciare Creta, Dedalo aveva donato ad Arianna un gomitolo di filo magico, spiegandole come sarebbe potuta entrare e uscire dal Labirinto; essa doveva aprire la porta di ingresso e assicurare allo stipite un capo del filo; il gomitolo si sarebbe poi srotolato via via negli intricati recessi, fino alla camera segreta dove si trovava il Minotauro. Arianna diede il gomitolo a Teseo e gli raccomandò di seguire il filo finché avesse sorpreso il Minotauro addormentato; avrebbe potuto così afferrare il mostro per i capelli e sacrificarlo a Poseidone. Arrotolando poi il filo in gomitolo, sarebbe giunto di nuovo alla porta d’ingresso.
Quella notte stessa Teseo fece quanto gli era stato detto, ma non si sa con certezza se egli uccise il Minotauro con la spada donatagli da Arianna o con le nude mani o con la sua famosa clava. Un bassorilievo ad Amicle ci mostra il Minotauro legato e portato in trionfo ad Atene; ma questa versione non è accettata da tutti. Quando Teseo, con le vesti macchiate di sangue, emerse dal Labirinto, Arianna lo abbracciò appassionatamente e guidò il gruppo di tutti gli Ateniesi al porto. Nel frattempo, infatti, i due giovani dall’aspetto effeminato avevano ucciso le guardie dinanzi all’appartamento delle donne, liberando le vergini. Salirono in fretta sulla nave, dove Nausiteo e Feace vegliavano in attesa, e si allontanarono rapidamente a forza di remi. Tuttavia, benché Teseo avesse aperto delle falle negli scafi cretesi per impedire che lo inseguissero, dovette affrontare una battaglia navale nelle acque del porto; per fortuna non subì perdite e riuscì a fuggire con il favore delle tenebre.
Alcuni giorni dopo, sbarcato nell’isola allora chiamata Dia e ora nota col nome di Nasso, Teseo abbandonò Arianna addormentata sulla spiaggia e riprese il largo senza di lei. Perché l’abbia fatto è rimasto un mistero. Taluni dicono che Teseo abbandonò Arianna per la sua nuova amante, Egle figlia di Panopeo; altri sostengono che, mentre venti contrari lo trattenevano a Dia, egli riflette sulla sua posizione e temette che l’arrivo di Arianna ad Atene suscitasse uno scandalo.15 Altri ancora dicono che Dioniso, apparso a Teseo in sogno, gli ordinò minacciosamente di abbandonargli Arianna e che Teseo, ridestatesi, vide la flotta di Dioniso avvicinarsi a Dia e salpò le ancore atterrito. Dioniso infatti, per opera di magia, gli aveva fatto dimenticare la promessa fatta ad Arianna e persino l’esistenza di lei. I sacerdoti di Dioniso ad Atene affermano che quando Arianna si trovò sola sul lido deserto ruppe in disperati lamenti, rammentando con quanta angoscia aveva assistito Teseo che si preparava ad affrontare il suo mostruoso fratellastro, e quali fervide preghiere aveva innalzato per il suo successo; per amore di Teseo, inoltre, essa aveva abbandonato i genitori e la patria. Invocò ora vendetta dall’intero universo e Zeus annuì consenziente. Ed ecco Dioniso con il suo gaio corteo di Satiri e Menadi giungere in aiuto di Arianna. Egli la sposò senza por tempo in mezzo, posandole sul capo la corona di Teti, e Arianna gli generò numerosi figli. Tra costoro, soltanto Toante ed Enopione sono a volte chiamati figli di Teseo. La corona, che Dioniso più tardi immortalò in cielo nella costellazione della Corona Boreale, era stata fabbricata da Efesto con oro e rubini indiani disposti in forma di rose.
Il mito di Arianna riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
Dal risvolto di copertina: “Decifrare il nome di questa eroina sembra difficile, Ma in realtà non lo è poi così tanto: la potremmo chiamare la “tutta pura”, la “tutta bella”, la “tutta luminosa”. Niente di strano se pensiamo che Arianna è la figlia di Pasifae, la “luminosa”, per l’appunto, a sua volta nata dal Sole; E che suo fratello Asterione (uno dei nomi con cui veniva chiamato il Minotauro) aveva radici di stella. La figlia di Minosse ricorda, quindi, una stella cadente e non è difficile immaginarla nel ruolo di signora del labirinto, capace di attrarre senza rimedio lo sguardo e il cuore del capitano di una nave che viene da Atene, portando con sé un presagio di morte.”
Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Le eroine cretesi raffigurano quindi donne diverse da quelle dei miti tradizionali: i loro nomi alludono spesso alla sfera luminosa e lunare; la loro sessualità è anomala (Europa e Pasifae amano un toro, Arianna fugge da casa con l’uomo che ha ucciso il fratello, Fedra ama il figliastro). Di Arianna resta soprattutto l’immagine della donna che srotola il gomitolo davanti al labirinto buio per essere poi vittima dell’ingratitudine di colui che ha salvato. Anche se… un uomo non l’ha voluta, ma un dio la sposerà.”
Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla fortuna del mito nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Arianna è curato da Silvia Romani che insegna mitologia e religioni del mondo classico all’Università Statale di Milano. Per Einaudi ha pubblicato Il mito di Arianna e Una passeggiata nell’aldilà. È autrice di libri per ragazzi. Qui trovate una lista dei suoi ultimi volumi pubblicati.
L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.
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