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Mentoring: uno strumento antico ma sempre attuale – Appesi alla luna – domenica 7 ottobre 2018

Mentoring: uno strumento antico ma sempre attuale – Appesi alla luna – domenica 7 ottobre 2018

Tutti noi nella nostra crescita individuale, formativa e professionale abbiamo bisogno di maestri, di persone-guida, di modelli e di esempi che ci ispirano, di figure che ci spronano a scegliere la strada giusta da imboccare. Molte volte questo rapporto tra chi indica la via e chi la segue avviene spontaneamente, sui banchi di scuola, nell’attività sportiva o nelle prime esperienze lavorative quando si incrociano insegnanti, monitori o colleghi con esperienza che ci aiutano e ci trasmettono le loro conoscenze. Il mentoring riprende questo tipo di relazione e la formalizza, ritenendo questo rapporto tra maestro e apprendista molto efficace in ambito lavorativo, formativo e sociale. Vi spieghiamo come, con quali strumenti e con quali misure, e vi raccontiamo anche quanto è antica questa idea. Isabella Visetti e Giorgia Würth ne parlano con Andreas Barella (de La Voce delle Muse), che racconterà la storia di Mentore, la persona di esperienza a cui Ulisse in procinto di partire per la guerra di Troia affida il figlio di Telemaco. Inoltre Andreas narrerà di come la dea Atena assuma le spoglia di Mentore quando dovrà aiutare Ulisse e lo stesso Telemaco. Altre ospiti: Beatrice Engeler, formatrice e consulente di sviluppo di carriera, coordinatrice di mentoring BPW Ticino, Cristina Zanini Barzaghi, ingegnera, municipale a Lugano e mentor, Ilaria Besozzi, consulente in abito energetico e mentor, Monica Pugnaloni, specializzata in export in Asia e mentor. Ascolta la prima parte della trasmissione. Ascolta la seconda parte della trasmissione.

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Il mito di Dioniso

Il mito di Dioniso

Un giovane Dioniso brinda alla nostra salute!

Il racconto del mito di Dioniso è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume  2: Dioniso – L’esaltazione dello spirito.

La versione generalmente più conosciuta riguardo la nascita di Dioniso è quella che vuole come madre Semele, figlia di Armonia e di Cadmo, re di Tebe. Il nome di Semele può significare “la sotterranea”, se non si riferisca a Selene, la dea Luna, che ribadisce così all’immagine della Terra intesa come grembo oscuro, ma stranamente fecondo, che sottrae la vita alla luce e l’assorbe per riprodurla, in un eterno ciclo di morti e resurrezioni. Anche sulle versioni del concepimento di Dioniso le tradizioni non concordano: secondo alcuni Zeus, dopo avere raccolto ciò che rimaneva del corpicino del diletto figlio Zagreo, generato da Persefone e ucciso dai Titani, cucinò il cuore del fanciullo in un brodo che fece bere alla giovane Semele, sua amante. Oppure il padre degli dei stesso, innamorato perdutamente di Semele, assunse l’aspetto di un mortale per unirsi a lei nel talamo, rendendola incinta di un bambino.

L’ennesimo tradimento di Zeus con una mortale non restò oscuro a Era, che si poteva ritenere l’unica moglie legittima del dio. Infuriata, e non potendo vendicarsi sul marito, la dea ispirò nelle tre sorelle di Semele invidia per la sorella, che nonostante fosse in età da nubile poteva vantare già un amante e anche una gravidanza. La povera Semele subì le crudeli beffe di Agave, Ino e Autonoe, le quali criticavano non solo il fatto che fosse già incinta, ma anche che nonostante il concepimento il padre del bambino non si fosse ancora deciso a venire allo scoperto e a dichiararsi.

Nel frattempo, la regina degli dei, approfittando di questi contrasti, assunse l’aspetto di una vecchia anziana, Beroe, nutrice della fanciulla, la quale era sua assistente sin dalla nascita. La regina degli dei si presentò quindi a Semele, già incinta da sei mesi, che, credendola la nutrice, cominciò a parlare con lei fino a quando il discorso non cadde sul suo amante. La vecchia mise in guardia Semele, consigliandole di fare una singolare richiesta al suo amante, ovvero quella di rivelarle la propria identità, smettendo di ingannarla e nascondersi; altrimenti avrebbe potuto pensare che il suo aspetto fosse in realtà quello di un mostro. Secondo una versione diversa Semele era a conoscenza dell’identità del suo amante ed Era l’aveva messo in guardia proprio dal fidarsi del dio, esortandola a esigere una prova della sua vera identità. Suggerì quindi di chiedere a Zeus di presentarsi a lei come quando si presentava al cospetto di Era.

Dopo qualche tempo, quando Zeus tornò nuovamente dalla sua amante per godere le gioie del sesso, Semele, memore delle parole della vecchia, pregò Zeus di rivelargli la sua identità e di smettere di continuare a fingere. Per timore della gelosia di sua moglie Era il dio rifiutò, e a questo punto Semele si oppose al condividere il suo letto con lui. Adirato, Zeus le apparve tra folgori e fulmini accecanti, tanto che la fanciulla, non potendo sopportare il tremendo bagliore, venne incenerita. Secondo l’altra versione quando il padre degli dei tornò dalla sua amante Semele gli chiese di offrirle un regalo ed egli promise di esaudire qualsiasi desiderio della fanciulla. Semele chiese allora al re degli dei di manifestarsi in tutta la sua potenza. Zeus, disperato, fu costretto a realizzare la richiesta di Semele, che rimase uccisa.

Per impedire che il bambino morisse Gea, la Terra, fece crescere dell’edera fresca in corrispondenza del feto; ma Zeus incaricò Ermes (o secondo altri lo fece egli stesso) di strappare il feto dal ventre materno e se lo fece cucire dentro la coscia. Passati altri tre mesi e finita il periodo di gestazione, il sovrano degli dèi partorì il bambino, perfettamente vivo e formato, dandogli il nome di Dioniso che vuol dire il “nato due volte” o anche “il fanciullo dalla doppia porta”

Il neonato “nato dalla coscia di Zeus” già dalla sua venuta al mondo possedeva delle piccole corna con dei ricciolini serpentini; Zeus lo affidò immediatamente alle cure di Ermes. Quando il piccolo Dioniso nacque dalla coscia di Zeus, lui lo affidò alle cure della sorella di Semele, Ino e a suo marito Atamante. Questo però non passò inosservato agli occhi attenti di Era, la quale fece impazzire i due sposi. Atamante, credendo di vedere un cervo nel figlio Learco, lo uccise a colpi di freccia, mentre Ino si gettò in mare trascinando con sé il piccolo Melicerte.

Per ordine di Era i Titani si impadronirono di Dioniso figlio di Zeus, un bimbo cornuto e anguicrinito, e benché egli si trasformasse di continuo, lo fecero a brani. Poi ne bollirono i resti in un calderone, mentre un albero di melograno sorgeva dal suolo inzuppato del suo sangue. Ma la nonna Rea accorse in suo aiuto e gli ridonò la vita.

Dioniso rimase solo nella casa abbandonata e chissà cosa gli sarebbe successo se Ermes non lo avesse preso con sé. Seguendo le istruzioni di Zeus, Ermes temporaneamente trasformò Dioniso in un capretto o in un ariete e lo portò dalle ninfe Macride, Nisa, Erato, Bromie e Bacche, che vivevano sul monte Nisa in Elicona. Esse celarono Dioniso in una grotta e lo nutrirono di miele. Zeus, in segno di gratitudine, pose poi la loro immagine tra gli astri, come costellazione delle Iadi. Fu sul monte Nisa che Dioniso inventò il vino, e tale invenzione gli procurò grandissima fama. Quando raggiunse la maturità. Era riconobbe in lui il figlio di Zeus, benché fosse molto effeminato per via dell’educazione ricevuta, e fece impazzire anche lui. Egli andò vagando per il mondo, accompagnato dal suo tutore Sileno e da un gruppo frenetico di Satiri e di Menadi, le cui armi erano bastoni ricoperti d’edera con una pigna sulla punta, chiamati tirso e spade e serpenti e rombi; (asticelle ronzanti). Egli navigò fino all’Egitto, portando il vino con sé; e a Faro il re Proteo lo accolse ospitalmente. Tra i Libi del delta del Nilo, di fronte all’isola di Faro, vi erano certe regine delle Amazzoni e Dioniso le invitò a marciare con lui contro i Titani che avevano scacciato re Ammone dal suo regno. La sconfitta dei Titani fu uno dei molti successi militari di Dioniso, che restituì ad Ammone il suo scettro.

Dioniso si diresse poi a oriente, verso l’India. Giunto all’Eufrate si trovò di fronte un avversario, il re di Damasco, che Dioniso scorticò vivo; poi lanciò sul fiume un ponte d’edera e di vite; e una tigre, mandata dal padre suo Zeus, lo aiutò a passare sulla sponda opposta del Tigri. Raggiunse così l’India, dopo aver affrontato molti avversari lungo il cammino, e conquistò l’intera regione, insegnando agli abitanti l’arte della viticoltura, istituendo leggi e fondando città. Al suo ritorno gli si opposero le Amazzoni, che egli aveva già respinto in precedenza sino a Efeso. Alcune si rifugiarono nel tempio di Artemide, dove vivono ancora le loro discendenti; altre fuggirono a Samo, dove Dioniso le inseguì con delle navi, facendone strage così grande che il campo di battaglia fu chiamato Panema. Presso Fleo alcuni degli elefanti che Dioniso aveva portato con sé dall’India morirono, e ancora oggi si vedono biancheggiare le loro ossa.

In seguito, Dioniso ritornò in Europa passando dalla Frigia, dove sua nonna Rea lo purificò per i molti delitti commessi durante la sua pazzia e lo iniziò ai Misteri. Dioniso poi invase la Tracia, ma non appena la sua gente fu sbarcata alla foce del fiume Strimone, Licurgo, re degli Edoni, li attaccò selvaggiamente con un pungolo da bestiame e catturò l’intero esercito, salvo Dioniso che si tuffò nelle onde del mare e si rifugiò nella grotta di Teti. Rea, irritata per questa sconfitta, aiutò i prigionieri a fuggire e fece impazzire Licurgo: egli colpì con una scure il proprio figlio Driade, convinto di potare una vite. Prima di ritornare in sé aveva già reciso al cadavere il naso, le orecchie, le dita delle mani e dei piedi: l’intera Tracia isterilì per l’orrore di questo crimine. Quando Dioniso, riemerso dal mare, dichiarò che la terra sarebbe rimasta sterile finché Licurgo non fosse stato messo a morte, gli Edoni lo trascinarono sul monte Pangeo e cavalli selvaggi ne straziarono il corpo. Vinta ogni opposizione in Tracia, Dioniso passò in Beozia, dove visitò Tebe e invitò le donne a unirsi alle sue feste notturne sul monte Citerone. Penteo, re di Tebe, cui non garbava la vita dissoluta di Dioniso, lo arrestò unitamente alle Menadi, ma improvvisamente impazzito, invece di mettere in ceppi Dioniso mise in ceppi un toro. Le Menadi fuggirono di nuovo e si dispersero furibonde lungo le pendici del monte, dove fecero a brani vitelli. Penteo cercò di fermarle, ma, accese dal vino e dalla frenesia religiosa, esse lo fecero a brani. La madre di Penteo, Agave, guidava le forsennate, e fu lei che gli staccò il capo dal busto.

A Orcomeno, le tre figlie di Minia chiamate Alcitoe, Leucippe e Arsippe o Aristippe o Arsinoe, rifiutarono di partecipare alle feste notturne, benché Dioniso stesso le avesse invitate presentandosi a loro sotto l’aspetto di fanciulla. Egli si trasformò allora in leone, in toro, in pantera, e fece impazzire le tre sorelle. Leucippe offrì il proprio figlio Ippaso in sacrificio egli era stato scelto mediante estrazione a sorte) e le tre sorelle, dopo averlo smembrato e divorato, vagarono per le montagne finché Ermete non le trasformò in uccelli, benché taluni dicano che Dioniso stesso le trasformò in pipistrelli. La morte di Ippaso viene commemorata ogni anno a Orcomeno, con una festa detta Agrionie («provocazione alla furia»): le donne fingono di cercare Dioniso e, dopo avere stabilito che egli si trova in compagnia delle Muse, siedono in cerchio e si pongono indovinelli, finché il sacerdote di Dioniso esce dal tempio con la spada in pugno e uccide la prima che gli capita sottomano.

Quando l’intera Beozia ebbe accettato il culto di Dioniso, il dio si recò nelle isole dell’Egeo, spargendo gioia e terrore ovunque passava. Giunto a Icaria, si accorse che la sua nave non teneva più il mare e ne noleggiò un’altra da certi marinai tirreni che dicevano d’essere diretti a Nasso. Erano invece pirati e, ignari della divina natura del loro passeggero, fecero rotta per l’Asia, dove intendevano venderlo come schiavo. Dioniso fece allora crescere una vite attorno all’albero maestro, mentre l’edera avvolgeva il sartiame, trasformò i remi in serpenti e se stesso in leone, e la nave si colmò di fantasmi di animali feroci che si muovevano al suono di flauti, cosicché i pirati terrorizzati si gettarono in acqua e divennero delfini.

A Nasso, Dioniso incontrò la bella Arianna, che Teseo aveva abbandonata, e la sposò senza indugio. Essa gli generò Enopione, Toante, Statilo, Latromide, Evante e Tauropolo. In seguito, Dioniso pose tra le stelle la corona nuziale di Arianna.

Da Nasso il dio si recò ad Argo dove Perseo gli aveva opposto resistenza uccidendo molti dei suoi seguaci: Dioniso lo punì facendo impazzire le donne argive, che cominciarono a divorare crudi i loro bambini. Perseo si affrettò ad ammettere la propria colpa e placò Dioniso erigendogli un tempio. Infine, affermato il suo culto in tutto il mondo, Dioniso ascese al cielo e ora siede alla destra di Zeus come uno dei Dodici Grandi. La mite e umile dea Estia gli cedette il suo posto alla mensa, lieta di cogliere quell’occasione per sottrarsi alle continue dispute degli dei, ben sapendo che sarebbe stata accolta con gioia in ogni città greca che le fosse piaciuto visitare. Dioniso poi discese al Tartaro passando da Lerna e, donandole del mirto indusse Persefone a liberare la madre sua Semele. Semele salì con Dioniso nel tempio di Artemide a Trezene; ma per non ingelosire le altre ombre dei morti, Dioniso le cambiò nome e la presentò agli dei olimpi come Tione. Zeus mise a sua disposizione un alloggio ed Era si chiuse in un indispettito ma rassegnato silenzio.

Un’introduzione al dio Dioniso
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Il tempo della nostalgia – Appesi alla luna – domenica 9 settembre 2018

Il tempo della nostalgia – Appesi alla luna – domenica 9 settembre 2018

Il tempo della nostalgia ritrovata – Appesi alla luna – domenica 9 settembre 2018 – Nel mondo di oggi essere “nostalgici” depone a sfavore del “nostalgico” in quanto considerata attitudine negativa, passiva o pessimistica ed è per lo meno uno svantaggio prossimo alla depressione! La nostalgia, troppo spesso connotata come emozione che porta a volgere lo sguardo all’indietro, a pietrificare e immortalare il passato, può al contrario in verità aiutarci a costruire il futuro. Permettendoci di recuperare emozioni e sentimenti dell’infanzia, ferite che vengono da lontano, momenti di abbandono, odori e colori del passato, la nostalgia attiva la conoscenza emotiva, il rapporto con il senso del tempo e della memoria partecipando così a progettare il futuro. Fare i conti con la nostalgia è quindi indice di un buon rapporto con il proprio passato emotivo e con se stessi. Rossana Maspero, in compagnia di Giorgia Würth, ne parla con Andreas Barella (de La Voce delle Muse) che narrerà di Ulisse e del suo Nostos, della sua voglia di tornare a casa, anche a scapito dell’immortalità offertagli dalla ninfa Calipso. Altri ospiti: Davide Staffiero, scrittore, Massimo Turuani, Presidente della Società Mastri Panettieri Pasticceri confettieri e Carmen Pellegrino, scrittrice e “abbandonologa”. Ascolta la trasmissione.

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Fidarsi o non fidarsi? – Appesi alla luna – lunedì 4 giugno 2018

Fidarsi o non fidarsi? – Appesi alla luna – lunedì 4 giugno 2018

Avere un’intima convinzione che tutto vada bene, credere nella bontà delle persone e nella loro buonafede: questa è la fiducia. Nel salotto serale di Rete Uno, Isabella Visetti e Marco Di Gioia riflettono attorno alla fiducia, il collante indispensabile di ogni relazione, uno dei punti cardine assieme al rispetto dei rapporti umani.

Se ci si pensa, niente può essere senza fiducia, ma avere fiducia e nutrire la fiducia non è più così scontato. E allora è meglio fidarsi degli altri oppure meglio proteggersi da possibili delusioni? E quando le inevitabili delusioni arrivano, come cambiano il nostro approccio alla vita e al mondo? Come prendere il buono anche dai tradimenti della nostra fiducia?

Andreas Barella de La Voce delle Muse, racconterà la storia di Agamennone, il re dei re e del suo tradimento nei confronti della figlia Ifigenia (qui trovate il testo dell’episodio mitologico), oltre a parlare delle reazioni possibili al tradimento della fiducia e come cominciare a percorre la via del perdono, l’unica via che permette di ristabilire una fiducia costruttiva e adulta. Ospite in studio anche Nicoletta Todesco, psicologa del lavoro. Questa puntata è l’ultima prima delle vacanze estive. Arrivederci a settembre!

Prima parte della trasmissione. Seconda parte della trasmissione.

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Tradimento della fiducia: Agamennone e Ifigenia

Tradimento della fiducia: Agamennone e Ifigenia

José De Cañizares, Il sacrificio di Ifigenia

Nella puntata del 4 giugno 2018 di Appesi alla Luna, salotto serale di Rete Uno della Radio Svizzera italiana, Andreas Barella de La Voce delle Muse, ha raccontato il mito di Agamennone e Ifigenia, nell’ambito di una puntata sulla fiducia e sul tradimento della stessa. Qui trovate la trasmissione.

Nella regione dell’Aulide, in Grecia, l’esercito dei Greci, capitanato da Agamennone e Menelao è bloccato. Dovrebbe partire per Troia, dove Paride ha portato la bella Elena, sposa di Menelao, re di Sparta. Paride ha ricevuto Elena in premio da Afrodite per aver decretato che era la più bella tra lei stessa, Era e Atena. Afrodite gliel’ha consegnata, ma c’è il piccolo problema che Elena era già sposata con Menelao, e Paride rapisce la donna mentre è ospite del re di Sparta, infrangendo la sacra legge degli ospiti. Menelao e il fratello Agamennone, decidono di vendicare l’onore dei Greci e decidono di mettere assieme un grande esercito per andare a riprendersi la donna a Troia, patria di Paride, che è anche il figlio del re Priamo.

Ma, dicevamo, i Greci sono bloccati sulla spiaggia. Infatti il mare è misteriosamente divenuto burrascoso e la partenza delle navi è impossibile. Dato che non si sa come fare, Agamennone chiede all’indovino Calcante di rivelargli il responso degli Dei. Il responso è chiarissimo: la dea Artemide è infuriata con il re Agamennone per un’offesa recatale giorni prima durante una caccia, visto che il figlio di Atreo si era vantato di essere il più grande cacciatore della Terra e perfino dell’Olimpo. Menelao, fratello di Agamennone, lo ingiuria, visto che adesso la partenza è impossibilitata da ciò e che così la sua sposa sarà irraggiungibile a Troia. Agamennone replica a sua modo agli insulti, finché i due fratelli non incominciano a insultarsi riguardo alle loro posizioni politiche e ai loro domini della Grecia.

Clitennestra, moglie di Agamennone, prova a sedare la rissa, ma è inutile. Interviene sulla scena sempre l’indovino Calcante che ha in mente una nuova profezia: a causa dell’ira della dea Artemide, la quiete del mare dovrà essere pagata con un terribile sacrificio: quello della ragazza Ifigenia, la figlia minore di Agamennone dopo Elettra e Oreste. Clitennestra sviene dalla paura, mentre Agamennone riprende a litigare con Menelao, il quale gli suggerisce di non continuare le risse ma piuttosto di affrontare il problema chiamando i fidati Ulisse e Diomede, amici inseparabili. Costoro andranno a prelevare Ifigenia (ancora ignara di tutto) dal suo palazzo, con la scusa che deve partire per l’isola di Ftia dove l’attende il valoroso Achille, pronto a sposarla. Ifigenia tutta contenta si fa guidare da Diomede e Ulisse fino alla piazza della città, dove l’attende un sacerdote, pronto a compiere il sacrificio. Quando Ifigenia si accorge dell’amara realtà, cerca di svincolarsi, ma poi tremante si fa condurre all’altare, pronta a favorire il volere degli Dei. Agamennone non osa guardare e nemmeno Clitennestra, che lo maledice sottovoce e medita già la vendetta dopo il ritorno del re da Troia (che avverrà dopo ben dieci anni).

Dopo la morte della ragazza, sulla scena sopraggiunge Achille, il quale è stato avvertito dell’inganno mosso contro Ifigenia. Egli è irato per essere stato citato in quella situazione familiare e per di più si mette a insultare con violenza Agamennone, che ha osato uccidere sua figlia solo per andare a Troia per il potere. Agamennone lo maledice (ma la vera lite tra i due avverrà sulle spiagge di Troia, e sarà la cornice in cui si svolge l’Iliade, che si apre proprio con le parole “Cantami, o Diva, del pelide Achille / l’ira funesta…”) e poi si mette a discutere di nuovo furiosamente con Menelao. Achille esprime il suo dissenso e il suo odio fondato per la politica e per i politici e si allontana verso la sua nave. La lite tra i due continua finché tutti i greci non decidono finalmente di partire affranti per la perdita di Ifigenia per l’Oriente a Troia.

In un’altra versione, Artemide all’ultimo momento salva la ragazza sostituendola con una cerva bianca, che viene sacrificata al suo posto (vedi immagine di questo post). Ifigenia viene trasportata dalla dea nella Colchide, dove diviene una sacerdotessa del culto della dea armata di arco. Il fratello Oreste la incontrerà assieme a Pilade nel corso del suo viaggio iniziatico.

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