Natale si avvicina… Andreas Barella ha svolto presso la Fondazione OTAF di Sorengo, in occasione delle Festività, una narrazione-conferenza dal titolo L’ETERNA LOTTA TRA LUCE E TENEBRE. Per l’occasione accompagnato da OLIVIA ANGELUCCI e la sua arpa. UN CARO AUGURIO DI BUONE FESTE A TUTTE E TUTTI VOI! CHE LA LUCE TRIONFI SEMPRE!
Questo post è collegato con il video della narrazione-conferenza dal titolo L’ETERNA LOTTA TRA LUCE E TENEBRE che Andreas Barella ha svolto presso la Fondazione OTAF di Sorengo, in occasione delle Festività natalizie. Il video e maggiori informazioni le trovate qui.
Nelle tradizioni germanica e celtica precristiana, la celebrazione di Yule era la festa del solstizio d’inverno, il 21 dicembre, e segnava l’inizio della stagione più fredda dell’anno (con il giorno più corto, ovvero quello con meno ore e minuti di luce). Il solstizio invernale si ha quando il sole tocca il punto più meridionale del suo tragitto annuo intorno alla terra. Trovandosi a 23,5° più “basso” rispetto agli equinozi, il sole risulta più basso a mezzogiorno, sorge tardi e tramonta tardi, per cui le ore di luce sono poche e il nostro emisfero viene poco riscaldato. Nel giorno del solstizio d’inverno inizia ufficialmente l’inverno nell’emisfero boreale.
La parola Yule deriva, forse, dal norreno Hjól (“ruota”), con riferimento al fatto che, nel solstizio d’inverno, la “ruota dell’anno si trova al suo estremo inferiore e inizia a risalire”. Nella tradizione popolare, il solstizio d’inverno segna l’inizio di una stagione che già nasconde dentro di sé i semi di rinascita della primavera, in quanto con l’aumento progressivo delle ore di luce, la natura si prepara al risveglio.
La festa del solstizio d’inverno, nel corso del tempo, è stata adattata al cristianesimo e trasformata nel Natale come lo conosciamo oggi: infatti, la data del giorno della nascita di Gesù bambino fu fissata, da Papa Giulio I, al 25 dicembre proprio per ragioni legate al solstizio, come antica festa pagana del sole con l’intento di sostituire le tradizioni del passato con le celebrazioni cristiane. Il Cristo viene associato al Sole come simbolo di luce vivificante e, quindi, queste due festività si sono fuse tra loro.
Allargando il discorso, in tutte le civiltà la luce passa da fenomeno fisico a figura archetipica e simbolica, dotata di uno sterminato spettro di iridescenze metaforiche e spirituali. La connessione primaria è di natura cosmologica: l’ingresso della luce segna spesso l’incipit assoluto del creato nel suo essere ed esistere. Emblematico è l’avvio della Bibbia: «Dio disse: “Sia la luce!” e la luce fu!» (Genesi 1,3). Esistono molteplici espressioni culturali e religiose di Oriente e di Occidente che adottano come cardine teologico un dato che è alla radice della comune esperienza esistenziale umana. La vita, infatti, è un “venire alla luce” (come in molte lingue è definita la nascita), ed è un vivere alla luce del sole o guidati nella notte dalla luce della luna e delle stelle.
La tradizione pitagorica immaginava che le anime dei giusti defunti si trasformassero nelle stelle della Via Lattea, il libro biblico di Daniele assume forse questa intuizione ma la libera dal suo realismo immanentista trasformandola in una metafora etico-escatologica: «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento, coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre» (12,3). E nel cristianesimo romano dei primi secoli si inizierà nelle iscrizioni sepolcrali a definire il cristiano là sepolto come eliópais, «figlio del Sole». La luce che irradiava Cristo-Sole era, così, destinata ad avvolgere anche il cristiano.
Il ritmo quotidiano tra luce e oscurità diventa simbolicamente un segno di natura etico-metafisica. La dialettica luce-tenebre, apparsa già nel testo sopra citato del libro della Genesi, diviene l’atto creativo divino, espresso attraverso l’immagine della “separazione”, di diversità: «Dio vide che la luce era cosa buona/bella e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte» (Genesi 1,4-5).
Significativa è la definizione della luce come realtà tôb, un aggettivo ebraico che è contemporaneamente etico-estetico-pratico e, perciò, designa qualcosa che è buono, bello e utile. Per contrasto, allora, la tenebra è la negazione dell’essere, della vita, del bene, della verità. Per questa ragione, mentre lo zenit paradisiaco è immerso nello splendore della luce, il nadir infernale è avvolto dall’oscurità, come si legge nel libro biblico di Giobbe ove gli inferi sono descritti come «il paese delle tenebre e delle ombre mortali, il paese della caligine e dell’opacità, della notte e del caos, in cui la stessa luce è tenebra fonda» (10,21-22).
Questo dualismo si riflette anche nell’opposizione angeli-demoni o nei principi antitetici yang-yin, nelle divinità in lotta tra loro come il Marduk creatore e la Tiamat distruttrice le divinità delle cosmogonie babilonesi, o come Ormuzd (o Ahura Mazdah) e Ahriman della religione persiana mazdeista o come Deva e Ashura nel mondo indiano. La stessa dialettica acquista una nuova forma nell’orizzonte mistico, quando si introduce il tema della “notte oscura”, perlustrata da un grande autore mistico e poetico del Cinquecento spagnolo, Giovanni della Croce. In questo caso il tormento, la prova e l’attesa della notte dello spirito è come un grembo fecondo che prelude alla generazione della luce della rivelazione.
In sintesi potremmo condividere l’affermazione di Ariel nel Faust di Goethe: Welch Getöse bringt das Licht!, «Quale tumulto porta la luce!» (II, atto I, v. 4671). Essa è, infatti, un segno glorioso e vitale, è una metafora sacra e trascendente, ma non è neutra in quanto genera tensione col suo opposto, la tenebra, trasformandosi in simbolo della lotta morale ed esistenziale. La sua irradiazione, quindi, dal cosmo trapassa nella storia, dall’infinito scende nel finito ed è per questo che l’umanità anela alla luce, come nel grido finale che si attribuisce allo stesso Goethe sul letto di morte, Mehr Licht!, “più luce!”: in senso fisico a causa del velarsi degli occhi nell’agonia, ma anche in senso esistenziale e spirituale di anelito a un’epifania suprema di luce.
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