Proprio ieri, passeggiando, sono incappato in un cedro del Libano monumentale. Antico, maestoso, fermo nell’aria calma dell’inverno. Appoggiato al suo tronco odoroso mi sono riposato per un po’. L’immagine che mi è giunta alla mente è quella di Humbaba…
Ḫumbaba o Ḫubaba o Ḫuwawa è, nella cultura religiosa mesopotamica, il divino guardiano della Foresta dei Cedri, localizzata nella “Montagna che dà la vita” (Kur). Nella versione dell’Epopea di Gilgameš, tale luogo è anche sede degli dèi.
Ḫumbaba viene ucciso dal re di Uruk, il divino Gilgameš, quando questi, accompagnato da Enkidu, sfida il guardiano aiutato dal dio Sole, Šamaš. Humbaba, che muovendosi per la lussureggiante foresta provoca terremoti, è rappresentato con denti di drago e una repellente faccia di viscere. Di lui si dice che emette un urlo assordante come il diluvio e che indossi sette veli sacri che lo rendono quasi imbattibile.
Il festival internazionale di narrazione di Arzo partner del “Progetto Ligabue – Arte Marginalità Follia” di Andrea Della Neve (che è una delle mitiche Muse!)
Quando l’arte è urgente e salvifica. Eccoci di fronte a un esempio perfetto di come il teatro e ogni altra opera d’arte dovrebbero sempre nascere: da un’esigenza, un’emergenza, un’urgenza personale ed intima dell’artista. In questo caso l’artista è Mario Perrotta, narratore leccese classe 1970, e l’opera d’arte destinata a superare chi l’ha concepita è un progetto di ampio respiro, su tre anni, volto a ridare dignità a un pittore svizzero-reggiano vissuto ai margini della società in compagnia del suo lacerante bisogno d’amore.
L’incontro. Mario Perrotta s’imbatte nella figura di Antonio Ligabue un paio d’anni fa, durante una lunga tournée che fa scalo a Gualtieri, mentre nella vita privata sta percorrendo una “tournée” ancor più lunga: quella dell’adozione internazionale. In quel momento l’unica cosa data di sapere sul suo futuro figlio era che sarebbe arrivato dal Centrafrica. Con conseguenti logiche riflessioni su quanto ne consegue a livello di “diversità”: per molti una ricchezza, per tanti un problema. Quando Mario arriva nel paese di Antonio e ne incontra la storia, è cortocircuito: è quello il nucleo da indagare per risolvere il suo presente.
Antonio Ligabue. Antonio Ligabue nasce a Zurigo il 18 dicembre del 1899. Da adulto si convince che se fosse nato tredici giorni dopo, il 1° gennaio 1900, con il “vento nuovo” la sua vita sarebbe stata giusta. E invece. Un’infanzia dapprima difficile, poi tragica, destinata a segnare irrimediabilmente gli anni della maturità. Figlio di una ragazza madre del Bellunese, è adottato da tal Bonfiglio Laccabue, originario di Reggio Emilia, che gli dà il cognome (poi cambiato, nel 1942, in Ligabue). Presto orfano della madre e di ben tre fratellastri tutti morti in circostanze poco chiare, viene affidato a una famiglia svizzera con cui, poco più che ragazzo, litigherà furiosamente fino a farsi espellere dal paese, non senza aver conosciuto la reclusione in una clinica psichiatrica, il primo ricovero di una lunga serie. Ha quasi vent’anni (è il 1919) quando da Chiasso abbandona la Svizzera per raggiungere Gualtieri, paese del Reggiano dove era nato e aveva vissuto a lungo il padre adottivo. Senza conoscere l’italiano, è costretto a vivere del lavoro occasionale nei campi e della carità dell’ospizio comunale. Nel 1920 comincia a dipingere tele audaci e coloratissime: paesaggi della Bassa con campanili svizzeri sullo sfondo, molti autoritratti in cui il suo sguardo “buca” la tela, tantissimi animali, tigri, volpi, aquile e cavalli imbizzarriti. Nei quarant’anni successivi, tra un ricovero e l’altro nei manicomi emiliani, vive in un bosco, un po’ perché la comunità di Gualtieri ve lo mandava emarginandolo, un po’ per scelta sua. Dipinge a tempo pieno senza fini di lucro, baratta le sue opere per una minestra o per un oggetto che necessita.
Dal ’48 mercanti e critici cominciano ad accorgersi di lui, ma è solo nel ’57 che un servizio fotogiornalistico del quotidiano “Il Resto del Carlino” ne fa un personaggio conosciuto in tutta Italia. Nel 1961 è allestita la prima personale a lui dedicata, alla Galleria La Barcaccia di Roma. Ligabue da quel giorno è il più autorevole rappresentante del movimento pittorico naïf del Novecento italiano, anche se riuscire a incasellarlo in un genere pittorico è esercizio quantomeno bizzarro. Un incidente motociclistico e una paresi che gliene deriva rallentano la sua attività negli anni successivi. El matt, come tutti lo chiamavano, come pure Al todesc, a causa della sua origine svizzera e per la lingua che conosceva meglio dell’italiano, muore a Gualtieri nel 1965.
Il progetto Ligabue. Così nasce il “progetto Ligabue”, dall’intima necessità di Mario Perrotta a indagare i temi della diversità, della follia, della creatività che ne deriva e che in modo così intenso sono racchiusi nella figura dell’uomo e dell’artista Antonio Ligabue. Il progetto si sviluppa in tre fasi di carattere multidisciplinare che promuovono lo scambio tra realtà diverse, coinvolgendo artisti di differente provenienza linguistica e geografica.
Perrotta presenta il progetto così: “Indagare Ligabue significa indagare il rapporto di una comunità con lo “scemo del paese”, da tutti temuto e tenuto a margine, ma significa anche accettare lo spostamento che provoca una nuova visione delle cose, una visione “folle”, che mette a rischio gli equilibri di chi osserva, costringendolo a porsi la classica domanda: chi è il pazzo? (…) Stare al margine è condizione disumana ma è anche angolo privilegiato di osservazione. Essere pazzo ti posiziona fuori, ma se dipingi con quella forza, forse sono gli altri che sono dentro. E nonostante questa consapevolezza, soffrire come un cane la mancanza d’amore”.
Prima fase: l’Uomo. Nel giugno del 2013 ha debuttato il monologo “Un bès – Antonio Ligabue”, in cui Perrotta diventa letteralmente Ligabue. Antonio il diverso, il pazzo, il genio, lo straniero, il reietto. Antonio l’Uomo. Alla disperata ricerca di un po’ d’affetto, di contatto, di… “un bès”.
L’artista Perrotta sceglie di mettere il focus sul bacio mancato, mai dato, mai ricevuto. Neanche uno. Mai. Riusciamo a immaginare come sarebbe il nostro presente senza neppure un bacio nel passato? Perrotta prova a vivere quest’assurdo strappo e quell’esistenza ai margini, costantemente etichettato come “lo scemo del paese”. Uno “scemo” che dipingendo bestie rimandava alla sua visione del mondo e al rapporto fondamentale che esiste tra gli esseri umani, di violenza, di sottomissione al potere, ricordando che gli appartenenti alla nostra specie sono tra i pochi in natura a non far prevalere l’interesse collettivo su quello individuale. “Mi attrae e mi spiazza la coscienza che aveva di essere un rifiuto dell’umanità e, al contempo, un artista, perché questo doppio sentire gli lacerava l’anima: l’artista sapeva di meritarlo un bacio, ma il pazzo, intanto, lo elemosinava.”
Mario Perrotta ha una relazione carnale col pubblico, si respira insieme, platea e palcoscenico diventano un corpo unico. Per questo vale la pena essere tra quel pubblico: si ha l’occasione di vivere uno di quegli speciali momenti in cui l’arte si discosta dall’autocelebrazione ed entra dritta dritta a scaldare il cuore delle persone. Il prestigioso Premio Ubu 2013 (l’Oscar del teatro italiano) come migliore attore dell’anno è arrivato quasi inevitabile, a suggellare tanta generosità umana.
Vicino a noi potremo vivere lo spettacolo “Un bès” la sera del 7 novembre 2014, al Teatro dell’OSC di Mendrisio.
Seconda fase: il Pittore. Dalla scorsa primavera è sbocciato il secondo spettacolo dedicato ad Antonio Ligabue, “Pitùr”.
Perrotta avrebbe potuto replicare la formula di “Un bès”, invece si è messo in disparte e ha lasciato agire un gruppo di giovani attori-autori che con i loro corpi hanno “pennellato” quel che della vita e delle opere di Ligabue risuonava in loro. Uno spettacolo corale in cui vengono danzate le tele di Antonio, la sua arte, i suoi paesaggi, le sue figure, gli abbandoni vissuti e lo struggente desiderio di contatto fisico.
Sette appassionati attori vestiti di bianco come tele pronte per essere dipinte e un Mario Perrotta a cui, pur defilato, bastano una manciata di minuti per imprimere emozioni sottopelle commuovendoci con quel “Mi strappo la faccia”…
Terza fase: i Luoghi. L’ultima fase del progetto metterà a tema i luoghi di Ligabue, il rapporto tra il suo paesaggio interiore, la Svizzera mitica della sua infanzia, e quello esteriore, la pianura padana con il grande fiume Po. Nel corso della primavera 2015 il paese di Gualtieri verrà fisicamente occupato da attori, musicisti, danzatori, video-makers, artisti figurativi, partendo dalla piazza e invadendo tutto il territorio intorno al fiume, con tre possibili percorsi per avere prospettive costantemente ribaltate. Gualtieri occupata con ogni forma d’arte proprio per rompere i confini tra le arti, e metaforicamente frantumare confini d’ogni sorta, da quelli territoriali a quelli mentali.
Un consiglio. Oltre ad agendare “Un bès” il 7 novembre 2014, regalatevi una trasferta al museo Ligabue di Gualtieri, e chiedete del custode Luca Torrelli: il viscerale racconto spontaneo che vi farà vivere varrà da solo la fatica del viaggio!
In maggio la rivista della Scuola Media di Balerna ha posto ad Andreas Barella la seguente domanda: “Ha ancora senso parlare e leggere di mitologia. Qua sotto trovate la risposta di Andreas, divisa in due parti e inserita nella rubrica “Terra d’inquietudine”. BUONA LETTURA!
Ah… semmai ve lo chiedeste.. la risposta è SÌ, VALE ANCORA LA PENA LEGGERE DI MITOLOGIA! 🙂
RETE DUE della Radio svizzera di lingua italiana ha proposto, in occasione della presentazione del libro alla Biblioteca Cantonale di Bellinzona, una bella intervista di Michela Daghini ad Andreas Barella sul libro e sul suo lavoro. Buon ascolto!
MERCOLEDÌ 4 giugno alle 18:30 alla Biblioteca Cantonale di Bellinzona vi sarà la presentazione libro “ORFEO E EURIDICE. Un’interpretazione del mito che parla di Poesia, di Amore, di Morte e di Rinascita”. L’Autore Andreas Barella (una delle tre Muse de LA VOCE DELLE MUSE) parlerà del suo libro con Stefano Vassere, direttore delle Biblioteche Cantonali di Bellinzona e Locarno. Siete tutte e tutti cordialmente invitate/i!
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