Dal risvolto di copertina: “Il primo personaggio della letteratura occidentale e il primo uomo moderno, Ulisse, l’eroe che i Greci chiamavano Odisseo: l’eroe che osò superare le colonne d’Ercole, il viaggiatore inquieto simbolo dell’eterna ricerca, l’uomo diviso fra l’amore per la propria patria, la casa, la sposa, e il fascino dell’ignoto, dell’inesplorato: forse l’eroe che più di ogni altro ci è vicino, un eroe imperfetto, che non si sottrae all’avventura, che dubita, si contraddice, ma sempre alza lo sguardo all’orizzonte, mai sazio di esplorare, di scoprire, di superare i propri limiti, di sperimentare e di conoscere. Dante nel XXVI canto dell’Inferno gli fa dire: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, a per seguir virtute e canoscenza”. Celebri terzine che riportano l’attenzione sulla vocazione più alta dell’uomo che Ulisse ci invita, come lo stesso Dante, a non tradire.”
Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Ulisse è polymetis, “l’uomo dalle molte astuzie”, ma anche polytropos, “l’uomo dalle molte forme”, che sa recitare tante parti rimanendo sempre lui, l’eroe astuto, il polytlas, “colui che molto sa sopportare”, persino insulti e bastonate, in attesa di trionfare con la sua astuzia. Questo è Ulisse. Un uomo che sa fingere e mentire, ma non è un semplice imbroglione, perché dietro le sue finzioni vi sono compagni da salvare e imprese da compiere. Potrebbe essere immortale e vivere accanto a una dea, ma preferisce tornare, affrontando i pericoli del mare e quelli che lo attendono in patria, una terra di caprai e pastori, povera, rocciosa, abitata da gente qualunque, ma la sua terra. Ulisse è anche in questo senso l’ultimo degli eroi, con un piede nel mito e l’altro nella realtà quotidiana.”
Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Ulisse è curato da Simone Beta, professore di filosofia classica presso l’Università di Siena. I suoi ultimi lavori.
L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.
Il racconto del mito di Orfeo e Euridice è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 6: Orfeo – La nascita della poesia
Orfeo, il più famoso poeta e musicista che la storia abbia mai avuto, non ha eguali tra uomini e dèi. È figlio del re Eagro e della musa Calliope. Il Dio Apollo un giorno gli dona una lira e le Muse gli insegnano a usarla. Diviene talmente abile che alla sua dolce musica il fragore dei torrenti cessa e l’acqua si dimentica di proseguire il cammino. Le selve inerti si muovono conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi vola, commuovendosi nell’ascoltare il dolce canto, perde le forze e cade. Le Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettano verso il cantore, e perfino le belve accorrono dalle loro tane al melodioso canto. Orfeo acquista una tale padronanza dello strumento che aggiunge due corde supplementari, portando a nove il loro numero per avere una melodia più soave.
Come prima grande impresa Orfeo partecipa alla spedizione degli Argonauti e quando la nave Argo giunge in prossimità dell’isola delle Sirene, è grazie a Orfeo e alla sua cetra che gli argonauti riescono a non cedere alle insidie nascoste nel canto. Durante la spedizione Orfeo dà innumerevoli prove della forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte occasioni; con la lira e con il canto fa salpare la nave rimasta inchiodata nel porto di Jolco, dà coraggio ai naviganti esausti a Lemno, placa a Cizico l’ira di Rea, ferma le rocce semoventi alle Simplegadi, si fa amica Ecate, addormenta il drago che custodisce il Vello d’oro.
Ogni creatura ama Orfeo ed è incantata dalla sua musica e dalla sua poesia ma Orfeo ha occhi solo per una donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride che diviene sua sposa. Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, ama perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non sia corrisposto, continua a rivolgerle le sue attenzioni. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mette a correre ma ha la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell’erba che la morde, provocandone la morte istantanea. Orfeo, impazzito dal dolore e non riuscendo a concepire la propria vita senza la sua sposa, decide di scendere nell’Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Lacerato dal dolore, scende allora nel mondo sotterraneo con la sua inseparabile lira per riportarla in vita. Raggiunto lo Stige, è dapprima fermato da Caronte. Orfeo, per oltrepassare il fiume, incanta il traghettatore con la sua musica. Sempre con la musica placa anche Cerbero, il cane a tre teste, guardiano dell’Ade. Una volta raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontra Ade e Persefone. Giunto al loro cospetto, Orfeo inizia a suonare e a cantare la sua disperazione e solitudine e le sue melodie sono così piene di dolore e di angoscia che gli stessi signori dell’Oltretomba si commuovono; le Erinni piangono; la ruota di Issione si ferma e i perfidi avvoltoi che divorano il fegato di Tizio non hanno il coraggio di continuare nel loro macabro compito; Sisifo si può fermare per un po’ a riposare sul sasso che continua a spingere su per la collina. Anche Tantalo dimentica la sua sete. Per la prima volta nell’oltretomba si conosce la pietà. È così che viene concesso a Orfeo di ricondurre Euridice nel regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra la preceda e non si volti a guardarla fino a quando non siano giunti alla luce del sole.
Insieme ad Ermes (che deve controllare che Orfeo non si volti), si incamminano e iniziano la salita. Euridice, non sapendo del patto, continua a chiamare in modo malinconico Orfeo, pensa che lui non la guardi perché è brutta, ma lui, con grande dolore, deve continuare imperterrito senza voltarsi. Appena vede un po’ di luce, Orfeo, capisce di essere uscito dagli Inferi e si volta. Euridice però ha accusato un dolore alla caviglia morsa dal serpente e si è attardata… Orfeo ha trasgredito la condizione posta da Ade. Solo ora Euridice capisce e, all’amato, sussurra parole drammatiche e struggenti: «Grazie, amore mio, hai fatto tutto ciò che potevi per salvarmi». Si danno poi la mano, consapevoli che quella sarà l’ultima volta. Ermes con volto triste ed espressione compassionevole trattiene Euridice per una mano, perché ha promesso ad Ade di controllare ed è ciò che deve fare. Orfeo vede scomparire Euridice e si dispera, perché sa che non la vedrà mai più.
Orfeo per sette giorni cerca di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore del regno sotterraneo, ma questi per tutta risposta lo ricaccia alla luce della vita. Orfeo si rifugia allora sul monte Rodope, in Tracia trascorrendo il tempo in solitudine e nella disperazione. Unica sua consolazione è la lira; suona e suona e suona. Gli alberi, i sassi e i fiumi lo ascoltano deliziati. Decide allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Un gruppo di Menadi ubriache lo invita a partecipare a un’orgia dionisiaca. Per tener fede a ciò che ha detto, rinuncia. Le Menadi, infuriate, lo uccidono, lo fanno a pezzi e gettano la sua testa nel fiume Ebro, insieme alla sua lira. La testa cade proprio sulla lira e galleggia, continuando a cantare soavemente. Zeus, toccato da questo prodigio, prende la lira e la mette in cielo formando una costellazione. La testa scende fino al mare e da qui alle rive di Metimna, presso l’isola di Lesbo, dove Febo Apollo la protegge da un serpente che le si è avventato contro.
Secondo altre versioni, i resti del cantore sarebbero stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Le Muse recuperano le membra di Orfeo e le seppelliscono ai piedi del monte Olimpo e ancor oggi, in quel luogo, il canto degli usignoli è più soave che in qualunque altra parte della terra.
La versione del mito di Orfeo ed Euridice è tratta da Orfeo e Euridice di Andreas Barella, edito dalla Casa Editrice Ericlea (per gentile concessione della casa editrice). Vai al sito della Ericlea per una ricca presentazione del volume.
Dal risvolto di copertina: “Orfeo il poeta, Orfeo il musico, che per amore della moglie Euridice – morta per il morso di un serpente – riuscì a scendere al regno degli Inferi, precluso ai viventi, commuovendo con il suo canto i cupi Plutone e Proserpina, sovrani di Ade, e ottenendo di riportarla al mondo dei vivi. E poi, quel gesto, forse per il desiderio irrefrenabile di vederla: Orfeo si voltò prima del ritorno alla luce, violando la condizione sancita dagli dèi, e in un attimo Euridice spari per sempre. Così il canto di Orfeo, il primo dei poeti, i cui versi commuovevano animali, piante, alberi e rocce, ci racconta un amore profondo, quel sentimento che proprio come questo mitico personaggio è destinato a non morire mai, tanto da arrivare alla modernità nei versi di Whitman, di RIlke, di Dino Campana che non esita a dedicare il suo capolavoro Canti orfici proprio a colui che della poesia seppe fare consolazione per un’assenza che mai si sarebbe colmata.”
Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Perché Orfeo si voltò? Questo è il mistero della sua storia; si potrebbe dire che chiunque, anziché guardare verso la luce che brilla dinanzi, si volga alle tenebre che ha dietro le spalle, finisce inesorabilmente per essere risucchiato dall’abisso.”
Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Orfeo è curato da Roberto Mussapi, poeta e drammaturgo. I suoi ultimi lavori.
L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.
Igino nei Miti (274) fa un’elenco di alcune invenzioni mitiche dei Greci. Eccovene un assaggio: la più particolare, per noi, è la storia di Agnodice, la donna che curò per prima le altre donne, che si vergognavano di andare da medici maschi.
L’uso di bere il vino miscelato con acqua fu istituito da un uomo di nome Ceraso in Etolia che miscelò il vino con il fiume Acheloo, per cui mescolare fu chiamato in greco xepdout. I nostri antenati tenevano sui montanti dei loro letti tricliniari teste d’asino avvolte in foglie di vite, per significare che era stato lui a scoprire la dolcezza del vino. D’altra parte il capro che aveva roso la vite fece sì che essa producesse un frutto più abbondante, e da questo fatto fu scoperta la potatura. Peletronio inventò i morsi e le selle per i cavalli. Belone fu la prima a scoprire l’ago, che in greco porta il suo nome. Cadmo, figlio di Agenore, fu il primo a produrre bronzo, a Tebe; Eaco, figlio di Giove, fu il primo a scoprire l’oro in Panchea, sul monte Taso. Il re Indo in Scizia scoprì l’argento, che Erittonio introdusse ad Atene. Le gare con le quadrighe furono istituite per la prima volta in Elide, città del PeIoponneso. Il re Mida, figlio di Cibele, frigio, scoprì il piombo bianco e quello nero. Gli Arcadi furono i primi a sacrificare agli dèi. Foroneo, figlio di Inaco, fu il primo a fabbricare armi per Giunone e per questo motivo fu il primo ad avere un regno. Il centauro Chirone, figlio di Saturno, fu l’inventore della medicina chirurgica, che praticava con l’uso delle erbe; Apollo fu il primo a praticare l’oculistica; per terzo Asclepio, figlio di Apollo, inventò la clinica. Gli antichi non avevano ostetriche, per cui le donne, per vergogna, morivano: infatti gli Ateniesi avevano vietato che schiavi e donne praticassero la medicina. Una ragazza di nome Agnodice volle apprendere la medicina; presa da questo desiderio, si tagliò i capelli e in abito maschile divenne allieva di un certo Erofilo. Dopo avere appreso la medicina, quando sentiva che una donna era malata nelle regioni inferiori, si recava da lei; e quella, credendola un uomo, non voleva affidarsi a lei, così Agnodice si toglieva la veste e mostrava di essere una donna, e in questo modo le curava. Quando i medici scoprirono che loro non erano ammessi vicino alle donne, iniziarono ad accusare Agnodice dicendo che non aveva barba ed era un corruttore di donne, e che esse simulavano malattie. Quando i giudici dell’Areopago si riunirono, il loro verdetto iniziale fu di colpevolezza; allora Agnodice si sfilò la veste e mostrò di essere una donna. I medici tanto più insistettero con l’accusa; perciò una delegazione di donne autorevoli si presentò ai giudici e disse: «Voi non siete mariti, ma nemici, perché condannate chi ci ha guarito». Allora gli Ateniesi cambiarono la legge e permisero che le donne libere imparassero la medicina.
Perdice, figlio della sorella di Dedalo, inventò il compasso e la sega, traendoli da una lisca di pesce. Dedalo, figlio di Eupalamo, fu il primo a fare simulacri degli dèi. Oanne, che si dice sia sorto dal mare in Caldea, fondò l’interpretazione astrologica. I Lidi di Sardi usarono Per primi la lana e successivamente l’ordito. Pan inventò il suono del flauto. Cerere scoprì per prima il frumento in Sicilia. Tirreno, figlio di Ercole, scoprì la tromba in questo modo: poiché i suoi compagni si cibavano di carne umana, gli abitanti di quella regione si erano allontanati per evitare questa crudeltà. Allora, quando uno di loro mori, forò una conchiglia e vi soffiò dentro a mo’ di tromba per convocare i contadini. Egli e i suoi compagni giurarono che avrebbero sepolto il morto e non lo avrebbero mangiato. Per questo il suono della tromba viene detto melodia tirrenia. Ancora oggi i Romani seguono il suo esempio, e quando qualcuno muore i flautisti suonano e gli amici vengono convocati per constatare che quello non è morto né di veleno né di spada. I primi suonatori di corno erano marinai. Gli Africani e gli Egizi furono i primi a guerreggiare, armati di bastoni; successivamente Belo, figlio di Nettuno, combatté con la spada, motivo per cui la guerra fu detta bellum.
Il racconto del mito di Arianna (e Teseo e Dioniso) è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 5: Arianna – Le insidie dell’amore
In espiazione della morte di Androgeo, Minosse volle che gli Ateniesi inviassero ogni nove anni (e cioè al termine di ogni Grande Anno) sette fanciulli e sette fanciulle nel Labirinto di Creta, dove il Minotauro li avrebbe divorati. Questo Minotauro, che si chiamava Asterie o Asterione, era il mostro dalla testa di toro generato da Pasifae e dal toro bianco. Poco dopo l’arrivo di Teseo in città, gli Ateniesi avrebbero dovuto pagare per la terza volta il gravoso tributo e lo spettacolo dei genitori angosciati all’idea di separarsi per sempre dai loro figli era così triste che Teseo si offrì come vittima volontaria, benché suo padre Egeo, il re di Atene, cercasse in ogni modo di dissuaderlo da tale proposito. Altri invece dicono che il suo nome fu estratto a sorte; e, secondo altri ancora, lo stesso Minosse accompagnato da una grande flotta sarebbe giunto ad Atene per scegliere le vittime; il suo sguardo si posò su Teseo il quale, benché nato a Trezene e non Atene, si offrì di unirsi alle vittime a patto che se fosse riuscito ad abbattere il Minotauro con le sole mani Atene sarebbe stata esentata dal tributo.
Nei due viaggi precedenti, le navi che portavano le vittime a Creta avevano inalberato vele nere, ma Teseo si sentiva certo del favore degli dei ed Egeo gli affidò dunque una vela bianca, perché la inalberasse al ritorno, in segno di vittoria; altri dicono che si trattava di una vela rossa, tinta nel sugo delle bacche di cocciniglia.
Quando i nomi delle vittime furono estratti a sorte dinanzi al tribunale supremo, Teseo guidò i suoi compagni al Tempio del Delfino dove, in nome di tutti, offrì ad Apollo un ramo di olivo avvolto in un filo di lana bianca, Le quattordici madri portarono le provviste per il viaggio e narrarono ai loro figli favole prodigiose ed eroiche per rincuorarli. Teseo sostituì a due delle fanciulle dei giovanetti dall’aspetto effeminato ma dotati di insolito coraggio e presenza di spirito. Raccomandò loro di fare dei bagni caldi, di evitare i raggi solari, di profumarsi il corpo e i capelli con oli ed essenze, e di imitare l’incedere e il gestire delle donne. Riuscì così a ingannare Minosse e a far credere che quei due fossero fanciulle.
Quando la nave giunse a Creta alcuni giorni dopo. Minosse si recò al porto per contare le vittime. Innamoratesi di una delle vergini ateniesi (ancor si discute se si trattasse di Peribea, che divenne poi madre di Aiace, di Eribea o di Ferebea, poiché i nomi erano tanto simili da generar confusione) l’avrebbe violentata sul posto se Teseo non fosse insorto dichiarando che era suo compito, come figlio di Poseidone, di difendere le vergini dall’oltraggio dei tiranni. Minosse, con una risata di scherno, rispose che Poseidone non aveva mai rispettato le vergini che avessero acceso il suo desiderio, «Dunque», concluse, «se davvero sei figlio di Poseidone provamelo ripescando questo anello dal fondo del mare», e ciò dicendo gettò tra le onde l’aureo sigillo che portava al dito. «Tocca a te per primo dimostrarmi che sei figlio di Zeus! » replicò Teseo. Subito Minosse innalzò una preghiera al cielo e alle sue parole: «Padre Zeus, ascoltami!» rispose il balenare di un lampo e un fragore di tuono. Senza esitare Teseo si tuffò allora nel mare dove un branco di delfini lo scortò fino al palazzo delle Nereidi. Taluni dicono che la Nereide Teti donò a Teseo la corona ingioiellata, dono nuziale di Afrodite, che più tardi cinse il capo di Arianna; altri, che Anfitrite, la dea del mare, gli consegnò la corona e ordinò alle Nereidi di nuotare tutt’attorno per trovare l’anello. In ogni caso, Teseo emerse dal fondo del mare reggendo sia l’anello sia la corona, così come Micene l’ha dipinto sulla terza parete del santuario di Teseo.
II favore di Afrodite accompagnava dunque Teseo; non soltanto Peribea e Ferebea invitarono il cavalleresco giovane a giacersi con loro e non furono respinte, ma la stessa figlia di Minosse, Arianna, si innamorò di lui a prima vista. «Ti aiuterò a uccidere il mio fratellastro, il Minotauro», essa gli promise in segreto, «purché io possa ritornare con te ad Atene, come tua moglie». Teseo accettò con piacere questa proposta e giurò di sposare Arianna. Ora, prima di lasciare Creta, Dedalo aveva donato ad Arianna un gomitolo di filo magico, spiegandole come sarebbe potuta entrare e uscire dal Labirinto; essa doveva aprire la porta di ingresso e assicurare allo stipite un capo del filo; il gomitolo si sarebbe poi srotolato via via negli intricati recessi, fino alla camera segreta dove si trovava il Minotauro. Arianna diede il gomitolo a Teseo e gli raccomandò di seguire il filo finché avesse sorpreso il Minotauro addormentato; avrebbe potuto così afferrare il mostro per i capelli e sacrificarlo a Poseidone. Arrotolando poi il filo in gomitolo, sarebbe giunto di nuovo alla porta d’ingresso.
Quella notte stessa Teseo fece quanto gli era stato detto, ma non si sa con certezza se egli uccise il Minotauro con la spada donatagli da Arianna o con le nude mani o con la sua famosa clava. Un bassorilievo ad Amicle ci mostra il Minotauro legato e portato in trionfo ad Atene; ma questa versione non è accettata da tutti. Quando Teseo, con le vesti macchiate di sangue, emerse dal Labirinto, Arianna lo abbracciò appassionatamente e guidò il gruppo di tutti gli Ateniesi al porto. Nel frattempo, infatti, i due giovani dall’aspetto effeminato avevano ucciso le guardie dinanzi all’appartamento delle donne, liberando le vergini. Salirono in fretta sulla nave, dove Nausiteo e Feace vegliavano in attesa, e si allontanarono rapidamente a forza di remi. Tuttavia, benché Teseo avesse aperto delle falle negli scafi cretesi per impedire che lo inseguissero, dovette affrontare una battaglia navale nelle acque del porto; per fortuna non subì perdite e riuscì a fuggire con il favore delle tenebre.
Alcuni giorni dopo, sbarcato nell’isola allora chiamata Dia e ora nota col nome di Nasso, Teseo abbandonò Arianna addormentata sulla spiaggia e riprese il largo senza di lei. Perché l’abbia fatto è rimasto un mistero. Taluni dicono che Teseo abbandonò Arianna per la sua nuova amante, Egle figlia di Panopeo; altri sostengono che, mentre venti contrari lo trattenevano a Dia, egli riflette sulla sua posizione e temette che l’arrivo di Arianna ad Atene suscitasse uno scandalo.15 Altri ancora dicono che Dioniso, apparso a Teseo in sogno, gli ordinò minacciosamente di abbandonargli Arianna e che Teseo, ridestatesi, vide la flotta di Dioniso avvicinarsi a Dia e salpò le ancore atterrito. Dioniso infatti, per opera di magia, gli aveva fatto dimenticare la promessa fatta ad Arianna e persino l’esistenza di lei. I sacerdoti di Dioniso ad Atene affermano che quando Arianna si trovò sola sul lido deserto ruppe in disperati lamenti, rammentando con quanta angoscia aveva assistito Teseo che si preparava ad affrontare il suo mostruoso fratellastro, e quali fervide preghiere aveva innalzato per il suo successo; per amore di Teseo, inoltre, essa aveva abbandonato i genitori e la patria. Invocò ora vendetta dall’intero universo e Zeus annuì consenziente. Ed ecco Dioniso con il suo gaio corteo di Satiri e Menadi giungere in aiuto di Arianna. Egli la sposò senza por tempo in mezzo, posandole sul capo la corona di Teti, e Arianna gli generò numerosi figli. Tra costoro, soltanto Toante ed Enopione sono a volte chiamati figli di Teseo. La corona, che Dioniso più tardi immortalò in cielo nella costellazione della Corona Boreale, era stata fabbricata da Efesto con oro e rubini indiani disposti in forma di rose.
Il mito di Arianna riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
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