Il mito di Eracle (Parte 11 di 11): la morte di Eracle

Il mito di Eracle (Parte 11 di 11): la morte di Eracle

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Eracle (Parte 10 di 11): Eracle a Trachine

Dopo aver innalzato altari di marmo e consacrato un bosco al padre suo Zeus a Ceneo, Eracle si preparò a un grande sacrificio di ringraziamento per la conquista di Ecalia. Mandò dunque Lica a Trachine per chiedere a Deianira la bella camicia e il mantello che egli indossava sempre in simili occasioni. Deianira, che viveva tranquillamente a Trachine, si era ormai rassegnata all’idea che Eracle si prendesse delle amanti e quando riconobbe in Iole l’ultima di costoro, provò più pietà che rancore per la fatale bellezza che aveva provocato la distruzione di Ecalia. Le parve tuttavia intollerabile che Eracle pretendesse di farla vivere con Iole sotto lo stesso tetto. Poiché non era più giovane, Deianira decise allora di servirsi del supposto talismano d’amore datole da Nesso per assicurarsi l’affetto del marito. Già gli aveva intessuto una nuova camicia per celebrare i sacrifici e, dissuggellata in segreto l’anfora, bagnò un panno di lana nel miscuglio che conteneva e lo strofinò sulla camicia. Quando Lica giunse a palazzo, Deianira chiuse la camicia in un cofano e glielo consegnò dicendo: «Per nessuna ragione esporrai questa camicia alla luce o al calore finché Eracle non la indosserà per il sacrificio». Lica era già partito a tutta velocità sul suo cocchio quando Deianira, guardando il panno di lana che aveva gettato nel cortile, lo vide ardere come paglia mentre una schiuma rossastra ribolliva tra i ciottoli. Resasi conto che Nesso l’aveva ingannata, mandò un messaggero a spron battuto per avvertire Lica e, maledicendo la sua follia, giurò che se Eracle fosse morto non gli sarebbe sopravvissuta. II messaggero giunse troppo tardi al promontorio Ceneo. Eracle aveva già indossato la camicia e sacrificato dodici tori candidi come il fior fiore del suo bottino: in tutto egli aveva portato presso gli altari una mandria di cento capi. Stava versando vino da una coppa e gettando incenso sulle fiamme allorché si lasciò sfuggire un grido, come se fosse stato morso da un serpente. Il calore aveva fatto sciogliere il veleno contenuto nel sangue di Nesso che si diffuse sulle membra di Eracle corrodendogli la carne. Ben presto il dolore divenne lancinante e insopportabile, e Eracle ululante cominciò a correre travolgendo gli altari. Cercò di strapparsi la camicia di dosso, ma questa aderiva alla sua pelle così tenacemente che lacerandosi mise a nudo le ossa. Il sangue sgorgò sibilando e ribollendo come l’acqua di fonte quando si tempra il metallo arroventato. Eracle si tuffò nel fiume più vicino, ma il veleno bruciò ancora più violento. Da allora le acque di quel fiume sono sempre ribollenti e vengono chiamate Termopili, ossia «passaggio caldo».

Lanciandosi su per la montagna e sradicando gli alberi al suo passaggio. Eracle piombò sull’atterrito Lica che se ne stava rannicchiato nel cavo di una roccia, le mani intrecciate attorno alle ginocchia. Invano Lica cercò di discolparsi: Eracle lo agguantò, lo fece girare tre volte sopra la sua testa e lo scaraventò nel mare Eubeo. Colà Lica si trasformò in una roccia di forma umana, che emerge dalle onde a breve distanza dalla riva; i marinai ancor oggi la chiamano Lica e non osano salirvi sopra, perché credono che possa sentire dolore. Dall’esercito, che stava a guardare da lontano, si alzò un grande grido di corruccio, ma nessuno osò avvicinarsi finché, contorcendosi negli spasimi dell’agonia, Eracle chiamò Ilio e chiese di essere portato via per morire in solitudine. Ilio lo condusse ai piedi del monte Età, nella Trachinia, regione famosa per il suo bianco elleboro, poiché l’oracolo delfico l’aveva già indicato a Licinnio e a lolao come il luogo destinato ad accogliere la morte del loro comune amico. Atterrita dalla notizia, Deianira si impiccò o, altri dicono, si trafisse con una spada sul letto nuziale. Il pensiero dominante di Eracle, prima di morire, fu di punire Deianira, ma quando Ilio gli assicurò che era innocente, come il suo suicidio dimostrava, sospirò perdonandole ed espresse il desiderio che Alcrnena e tutti i suoi figli si riunissero attorno a lui per ascoltare le sue ultime parole. Ma Alcrnena si trovava a Tirinto con alcuni dei suoi figli mentre molti altri si erano stabiliti a Tebe. Così Eracle potè rivelare soltanto a Ilio la profezia di Zeus, ormai avveratasi: «Nessun uomo vivente ucciderà mai Eracle; ma un nemico morto segnerà la sua fine». Ilio allora chiese istruzioni e gli fu detto: «Giura sulla testa di Zeus che mi trasporterai sul più alto picco di questa montagna e lassù mi brucerai, senza lamentazioni, su una pira di legno di quercia e di tronchi di oleastro. Parimenti giura di sposare Iole non appena avrai raggiunto la maggiore età». Benché scandalizzato da tali richieste. Ilio promise di rispettarle. Quando tutto fu preparato, Iolao e i suoi compagni si ritirarono a breve che vi fosse appiccato il fuoco. Ma nessuno osò obbedire, finché un pastore eolio che passava di lì per caso, un certo Peante, ordinò a Filottete, il figlio che distanza, mentre Eracle saliva sul rogo funebre e dava ordine aveva avuto da Demonassa, di fare ciò che Eracle gli chiedeva. In segno di gratitudine Eracle lasciò la sua faretra, il suo arco e le sue frecce a Filottete e, quando le fiamme cominciarono a lambire la pira, stese la pelle di leone sulle fascine e vi si sdraiò sopra, il capo appoggiato alla clava: pareva sereno come un ospite inghirlandato seduto a banchetto. Folgori allora caddero dal cielo e ridussero la pira in cenere.

Sull’Olimpo, Zeus si rallegrò per il nobile comportamento del suo figlio favorito. «La parte immortale di Eracle», annunciò, «è al riparo dalla morte, e ben presto sarà accolta in questo luogo benedetto. Ma se qualcuno si risentirà per la sua divinizzazione così ampiamente meritata, costui, sia dio o sia dea, dovrà pure approvarla, volente o nolente.» Tutti gli Olimpi assentirono, ed Era decise di ingoiare quell’insulto, chiaramente diretto contro di lei, perché già aveva deciso di punire Filottete per il suo atto cortese nei riguardi di Eracle, con il morso di una vipera lemnia. Le folgori avevano incenerito la parte mortale di Eracle. Alcrnena non avrebbe più potuto riconoscerne i miseri resti, ma a guisa di un serpente sgusciato fuori dalla vecchia pelle egli apparve al padre divino in tutta la sua maestà. Avvolto in una nube che lo celava agli occhi dei suoi compagni, fra un sordo rombar di tuoni, Zeus lo trasportò in cielo sul suo cocchio tirato da quattro cavalli; lassù Atena, guidandolo per la mano, lo presentò alle altre divinità. Ora Zeus aveva stabilito che Eracle entrasse a far parte dei dodici Olimpi, e tuttavia gli spiaceva di espellere uno degli dei già esistenti per fargli posto. Convinse dunque Era ad adottare Eracle con la cerimonia della rinascita: e cioè, coricatasi, la dea avrebbe finto di essere colta dalle doglie, per poi presentare agli dei Eracle sotto le sue sottane; tale è il rito di adozione ancora in uso presso le tribù barbare, Da quel giorno Era considerò Eracle come suo figlio e lo amò quasi quanto Zeus. Tutti gli dei allora lo accolsero con gioia ed Era gli diede in isposa la sua bella Ebe; da Ebe Eracle ebbe due figli, Alessiare e Aniceto. Eracle in verità si era meritata la sincera gratitudine di Era durante la ribellione dei Giganti uccidendo Pronomo, che aveva cercato di usarle violenza. Eracle divenne così il portiere del cielo, e mai si stanca di montare la guardia presso i cancelli dell’Olimpo, fino al tramonto, in attesa del ritorno di Artemide dalla caccia. La accoglie sorridendo e scarica dal suo cocchio gli animali uccisi, corrugando la fronte e agitando il dito in segno di disapprovazione se vi trova soltanto innocue capre selvatiche o cerbiatti. «Scocca le tue frecce contro i cinghiali», dice allora, «che danneggiano i campi e sradicano gli alberi da frutto; o contro i tori uccisori di uomini o contro i leoni o contro i lupi. Ma che male fanno le capre e i cerbiatti?» Poi ne squarta le carcasse, e voracemente le spolpa dei pezzi migliori.9 Tuttavia, mentre l’Eracle immortale banchetta alla tavola degli dei, la sua ombra mortale vaga nel Tartaro, fra i pallidi morti, con l’arco teso e la freccia incoccata alla corda. Passando sopra la spalla, una cinghia gli attraversa il petto, decorata con terrificanti scene di caccia al leone, all’orso e al cinghiale, e scene di battaglie e massacri.

Quando Iolao e i suoi compagni ritornarono a Trachine, Menezio, il figlio di Attore, sacrificò un ariete, un toro e un cinghiale a Eracle, e istituì il suo culto eroico nella locrese Opunte; i Tebani ben presto lo imitarono; ma gli Ateniesi, guidati dalla gente di Maratona, furono i primi a onorario come dio, e tutti ora seguono il loro glorioso esempio.11 Festo, figlio di Eracle, notò che i Sicioni offrivano a suo padre sacrifici eroici, ma insistette a sacrificare a lui come a un dio. Fino a oggi, tuttavia, la gente di Sicione, dopo aver ucciso un agnello e bruciate le sue cosce sull’altare di Eracle il dio, dedica parte della sua carne a Eracle l’eroe. A Età, egli è onorato col nome di Cornopione perché mise in fuga le cavallette che stavano per abbattersi sulla città; gli Ioni di Eritre invece lo onorano come Eracle Ipoctono, perché distrusse gli ipes, i vermi che attaccano i vigneti in quasi tutte le altre regioni. Si dice che un simulacro tirio di Eracle, ora nel suo tempio di Eritre, lo rappresenti come Eracle il Dattilo. Questo simulacro fu trovato su una zattera che galleggiava nel mare Ionio, al largo di capo Mesate, esattamente a metà strada tra il porto di Eritre e l’isola di Chio. Gli abitanti di Eritre da un lato e quelli di Chio dall’altro logorarono le loro forze per trascinare la zattera ciascuno verso la propria spiaggia, ma invano. Infine un pescatore di Eritre chiamato Formione, e che aveva perduto la vista, sognò che le donne di Eritre dovevano intessere una corda con i loro capelli e con tale corda gli uomini avrebbero potuto tirare la zattera in secco. Le donne della tribù tracia che si era stabilita a Eritre acconsentirono a sacrificare le loro trecce e la zattera raggiunse il lido; soltanto i discendenti di quelle donne possono ora entrare nel santuario dove si conserva la corda. Formione ricuperò la vista ne più la perdette finché visse.

Vai a: Un riassunto di tutti i post sul mito di Eracle

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Il mito di Eracle (Parte 10 di 11): Eracle a Trachine

Il mito di Eracle (Parte 10 di 11): Eracle a Trachine

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Eracle (Parte 9 di 11): Deianira

Sempre seguito dai suoi alleati arcadi. Eracle giunse a Trachine, dove si stabilì per qualche tempo, sotto la protezione di Ceice. Strada facendo era passato per il paese dei Driopi, ai piedi del monte Parnaso, e colà trovò re Teodamante, figlio di Driope, intento ad arare i campi con un aratro tirato dai buoi. Poiché era affamato, e inoltre in cerca di un pretesto per fare guerra ai Driopi che, come ognuno sa, non avevano alcun diritto di occupare, quella regione. Eracle chiese che gli fosse consegnato uno dei buoi; e uccise Teodamante che glielo rifiutò. Dopo avere scannato il bue e banchettato con la sua carne. Eracle rapì il figlioletto di Teodamante, Ila, di cui era madre la Ninfa Menodice, figlia di Orione. Altri invece dicono che il padre di Ila fu Ceice o Eufemo o Teomene; e affermano che Teodamante era il contadino rodio che maledì da lontano Eracle quando questi sacrificò uno dei suoi buoi. Pare che Filante, successore di Teodamante, violasse il tempio di Apollo a Delfi. Per vendicare quell’oltraggio in nome di Apollo, Eracle uccise Filante e rapì sua figlia Meda; Meda generò a Eracle un figlio, Antioco, fondatore del demo ateniese che porta il suo nome. Eracle scacciò poi i Driopi dalla loro città sulle pendici del Parnaso e vi installò i Maliesi che lo avevano aiutato a conquistarla. Portò a Delfi i capi driopi perché servissero come schiavi nel tempio; ma poiché Apollo non sapeva che farsene, furono mandati nel Peloponneso, dove riuscirono ad ingraziarsi il favore di Euristeo, il gran re. Per suo ordine, e con l’aiuto di altri compatrioti, costruirono tre città: Asine, Ermione e Eone. Degli altri Driopi superstiti, alcuni fuggirono in Eubea, altri a Cipro e nell’isola di Cinto. Ma soltanto gli abitanti di Asine ancora si vantano d’essere Driopi; hanno innalzato un tempio al loro avo Driope dove si ammira un antico simulacro, e ogni due anni celebrano misteri in suo onore.

Driope nacque da Apollo e da Dia, una figlia di re Licaone; Dia appunto, temendo l’ira del padre, nascose il bimbo nel cavo di una quercia, e di qui il suo nome. Altri dicono che Driope stesso guidò la sua gente dal tessalico fiume Spercheo fino ad Asine, e che egli era figlio di Spercheo e della Ninfa Polidora. Sorse una contesa a proposito dei confini, tra i Dori di Estieotide, governati da re Egimio, e i Lapiti del monte Olimpo, un tempo alleati dei Driopi, il cui re era Corono, figlio di Caneo. I Dori, sopraffatti dai Lapiti che erano molto più numerosi, ricorsero a Eracle per invocarne l’aiuto, offrendogli in cambio un terzo del loro regno; Eracle allora, con i suoi alleati arcadi, sconfisse i Lapiti, uccise Corono e molti dei suoi sudditi e costrinse i vinti ad abbandonare il territorio conteso. Alcuni di loro si stabilirono a Corinto. Egimio allora continuò ad amministrare un terzo del regno per conto dei discendenti di Eracle. Eracle poi si recò a Itono, una città della Ftiotide, dove sorge un antico tempio di Atena. Colà si imbattè in Cicno, figlio di Ares e di Pelopia, che usava offrire premi di grande valore agli ospiti i quali volessero misurarsi con lui in una gara di corsa con i cocchi. Cicno, che vinceva sempre, tagliava le teste agli avversari e ne usava i crani per decorare il tempio del padre suo Ares. Questo Cicno, badate, non era però colui che Ares generò in Pirene e che quando morì fu trasformato in cigno. Apollo, irritato con Cicno perché razziava le mandrie dirette al santuario di Delfi, incitò Eracle ad accettare la sua sfida. Fu convenuto che l’auriga di Eracle fosse Iolao, e l’auriga di Cicno il padre suo Ares. Eracle, benché ciò fosse contrario alle sue abitudini, indossò per l’occasione i lucidi schinieri di bronzo che Efesto aveva fabbricati per lui e la corazza aurea donatagli da Atena. Armato con arco, frecce, lancia, il capo coperto dall’elmo e al braccio lo splendido scudo donategli da Zeus, pure opera di Efesto, agilmente montò sul suo cocchio.

Atena, discesa dall’Olimpo, avvertì Eracle che, pur avendo ottenuto da Giove la facoltà di uccidere e spogliare Cicno, non doveva far altro che difendersi da Ares e, anche se vittorioso, non poteva privarlo dei suoi cavalli e della sua splendida armatura. Poi la dea salì sul cocchio accanto a Eracle e a lolao, scrollò l’egida, e la Madre Terra gemette mentre il cocchio scattava in avanti. Cicno si lanciò verso gli avversar! a tutta velocità, e per la violenza dell’urto tra i due cocchi cadde a terra con Eracle, lancia contro scudo. Subito balzarono in piedi tutti e due e, dopo breve lotta, Eracle trapassò il collo di Cicno. Poi affrontò coraggiosamente Ares che gli scagliò contro la lancia; ma Alena, corrugando sdegnata la fronte, la fece deviare. Ares allora si precipitò su Eracle con una spada in mano, ma riuscì soltanto a buscarsi una ferita alla coscia ed Eracle gli avrebbe inferto un altro colpo mentre il dio giaceva al suolo, se Zeus non avesse separato i due contendenti con una folgore. Eracle e lolao allora spogliarono Cicno della sua armatura e ripresero il viaggio interrotto, mentre Atena trasportava sull’Olimpo Ares svenuto. Cicno fu sepolto da Ceice nella valle dell’Anauro ma, per ordine di Apollo, le acque del fiume in piena spazzarono via la sua pietra tombale. Alcuni, tuttavia, dicono che Cicno visse ad Anfane e che Eracle lo uccise con una freccia presso il fiume Peneo, oppure a Pagase. Passando dalla Pelasgiotide, Eracle giunse a Ormenio, una piccola città ai piedi del monte Pelio, dove re Amintore rifiutò di concedergli sua figlia Astidamia. «Sei già sposato», gli disse, «ed hai già tradito troppe principesse per meritare che io tè ne conceda un’altra.» Eracle attaccò la città e, dopo aver ucciso Amintore, rapì Astidamia dalla quale ebbe un figlio, Ctesippo o, altri dicono, Tiepolemo.

A Trachine Eracle raccolse un esercito di Arcadi, Meli e Locresi Epicnemidi e marciò contro Ecalia per vendicarsi di re Eurito che aveva rifiutato di concedergli la principessa Iole, da lui lealmente vinta in una gara con l’arco. Tuttavia, ai suoi alleati egli disse soltanto che Eurito esigeva ingiustamente un tributo dagli Eubei. Piombò dunque sulla città, trafisse con le magiche frecce Eurito e i suoi figli e, dopo aver sepolto alcuni dei suoi compagni caduti in battaglia, e cioè Ceice figlio di Ippaso e Argeo e Mela figli di Licinnio, mise a sacco Ecalia e fece prigioniera Iole. Piuttosto che cedere a Eracle, Iole preferì vedere uccisa sotto i propri occhi tutta la sua famiglia, e poi si gettò giù dalle mura; tuttavia sopravvisse, perché la sua gonna si allargò al soffio del vento e attuti la caduta. Eracle la mandò allora, con altre donne di Ecalia, da Deianira a Trachine, mentre egli si recava sul promontorio dell’Eubea detto Ceneo. Dobbiamo qui ricordare che, al momento di congedarsi da Deianira, Eracle fece una profezia; di lì a quindici mesi egli avrebbe dovuto morire, oppure trascorrere il resto della sua vita in completa tranquillità. Questo egli aveva letto nel volo di due colombe identiche, levatesi dalla antica quercia oracolare di Dodona. Non si sa con esattezza quale delle città chiamate Ecalia fosse saccheggiata in quella occasione: se l’Ecalia in Messenia o in Tessaglia o in Eubea o in Trachinia o in Etolia. L’Ecalia messenica è la più probabile, dato che il padre di Eurito, Melaneo re dei Driopi, un abilissimo arciere chiamato perciò figlio di Apollo, giunse in Messenia durante il regno di Periere figlio di Eolo, e fu accolto in Ecalia come se fosse la sua patria. Ecalia fu così chiamata in onore della moglie di Melaneo. Colà in un sacro bosco di cipressi, i sacrifici eroici in onore di Eurito, le cui ossa sono conservate in un’urna di bronzo, danno inizio ai misteri della grande dea. Altri identificano Ecalia con Andania, città che sorge a un miglio dal bosco di cipressi e dove un tempo si svolgevano questi misteri. Eurito fu uno degli eroi che i Messeni invitarono a risiedere tra loro quando Epaminonda ricuperò i territori nel Peloponneso.

Vai a: Il mito di Eracle (Parte 11 di 11): la morte di Eracle

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Il mito di Eracle (Parte 9 di 11): Deianira

Il mito di Eracle (Parte 9 di 11): Deianira

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Eracle (Parte 8 di 11): i figli di Ippocoonte e la storia di Auge

Trascorsi quattro anni a Feneo, Eracle decise di lasciare il Peloponneso. A capo di un potente esercito arcade, egli salpò per Calidone in Etolia, dove stabilì la sua residenza. Poiché non aveva moglie né figli legittimi, corteggiò Deianira, la supposta figlia di Eneo, mantenendo così la promessa fatta all’ombra del fratello di lei, Meleagro. Ma Deianira era in realtà figlia del dio Dioniso e della moglie di Eneo Altea, come fu dimostrato quando Meleagro morì e Artemide trasformò le sue sorelle gementi in galline faraone. In quella occasione infatti Dioniso indusse Artemide a lasciare sembianze umane a Deianira e a sua sorella Gorga. Molti pretendenti si presentarono al palazzo di Eneo in Pleurone, chiedendo la mano della bella Deianira: erano abili aurighi ed esperti nell’arte della guerra; ma tutti si allontanarono quando seppero di dover rivaleggiare con Eracle e con il dio del fiume Acheloo. Si sa che l’immortale Acheloo si presenta in tre forme: come toro, come serpente dalla pelle macchiettata e come uomo dalla testa di toro. Rivoli d’acqua scorrono continuamente dalla sua folta barba; Deianira avrebbe preferito morire anziché sposarlo. Eracle, quando Eneo lo invitò a esporre la sua richiesta, si vantò di poter dare a Deianira Zeus come suocero, e di farla inoltre risplendere della gloria riflessa delle sue dodici Fatiche. Acheloo (ora in forma di uomo con la testa di toro), sogghignò a quelle parole, obiettando che
egli era persona famosa, padre di tutti i fiumi greci, e non uno straniero vagabondo come Eracle: l’oracolo di Dodona aveva invitato tutti coloro che vi si recavano ad offrirgli sacrifici. Poi provocò Eracle dicendo: «I casi sono due: o tu non sei figlio di Zeus oppure tua madre è adultera!» Eracle corrugò la fronte: «Preferisco combattere anziché discutere», disse, «e non ammetto che si insulti mia madre!»

Acheloo allora si liberò della sua veste verde e lottò con Eracle finché si trovò steso a terra; allora subito si trasformò in serpente e guizzò via. «Ho strangolato serpenti quand’ero ancora in culla», rise Eracle e fece un balzo per stringere il serpente alla gola. Acheloo si trasformò in toro e lo caricò. Eracle lo schivò abilmente e, stringendolo per le corna, lo scaraventò di nuovo a terra con tanta forza che il corno destro si staccò netto dalla fronte. Acheloo si ritirò dalla lotta, umiliato e vergognoso, e nascose la sua mutilazione sotto una corona di rami di salice. Alcuni dicono che Eracle restituì il corno ad Acheloo e ne ebbe in cambio un corno della capra Amaltea, e altri che il corno di Acheloo fu trasformato dalle Naiadi nel corno di Amaltea e che Eracle lo offrì a Eneo come dono nuziale. Altri ancora, che nel corso della dodicesima Fatica, Eracle portò nel Tartaro quel corno già colmo dei dorati frutti delle Esperidi e chiamato Cornucopia, per donarlo a Pluto, un aiutante di Tiche. Dopo le sue nozze con Deianira, Eracle marciò alla testa dei Calidoni contro la città tesprozia di Efira, più tardi detta Cichiro, dove vinse e uccise re Fileo. Fra i prigionieri vi era la figlia di Fileo, Astioca, che ebbe da Eracle un figlio, Tiepolemo, benché altri dicano che Tiepolemo era figlio di Astidamia, a sua volta figlia di Amintore, che Eracle rapì da Efira in Elea, una città famosa per i suoi veleni.

Per consiglio di un oracolo, Eracle mandò poi un messaggio all’amico suo Tespio: «Sette dei tuoi figli rimangono con te a Tespia; mandane altri tre a Tebe e ordina agli altri quaranta di colonizzare l’isola di Sardegna!» Tespio obbedì. I discendenti di coloro che si recarono a Tebe vi sono ancor oggi onorati, e i discendenti di coloro che rimasero a Tespia, i cosiddetti Demuchi, governarono quella città fino a epoca recente. L’esercito guidato in Sardegna da Iolao comprendeva contingenti di Tespì e di Ateniesi, e quella fu la prima spedizione coloniale greca in cui i capi venivano da un ceppo diverso dalla gente comune. Sconfitti i Sardi in battaglia, Iolao divise l’isola in pronvice, piantò alberi d’olivo e rese il suolo così fertile che da allora i Cartaginesi furono disposti ad affrontare grandi rischi e fatiche pur di assicurarsi il possesso della Sardegna. lolao fondò la città di Olbia e incoraggiò gli Ateniesi a fondare la città di Ogrile. Col consenso dei figli di Tespio, che lo consideravano un loro secondo padre, chiamò i coloni dal suo nome, lolari. Ed essi ancora sacrificano a Padre lolao, così come i Persiani sacrificano a Padre Ciro. Si disse che lolao in seguito ritornò in Grecia passando dalla Sicilia, dove alcuni dei suoi seguaci si stabilirono e lo onorarono con sacrifici eroici; ma secondo i Tebani, che dovrebbero essere bene informati, nessuno dei coloni ritornò più in patria.

A una festa che si celebrò tre giorni dopo. Eracle si infuriò con un giovane parente di Eneo, chiamato in vari modi Eunomo, Eurinomo, Ennomo, oppure Archia o Cheriade, figlio di Architele, che ebbe l’ordine di versare acqua sulle mani di Eracle e maldestramente gliela schizzò sulle gambe. Eracle tirò le orecchie del ragazzo con più energia di quanto intendesse e lo uccise. Benché Architele lo avesse perdonato per questo incidente. Eracle decise di espiare la colpa con l’esilio secondo l’usanza e se ne andò accompagnato da Deianira e dal loro figlio Ilio, fino a Trachine patria di Ceice nipote di Anfitrione. Un incidente analogo gli era capitato a Fliunte, una città che sorge a oriente dell’Arcadia, quando Eracle tornava dal giardino delle Esperidi. Poiché non gli piaceva il vino che gli avevano posto dinanzi, Eracle colpì Ciato, il coppiere, con un dito soltanto, ma questo bastò a ucciderlo, Un sacello in ricordo di Ciato è stato costruito presso il tempio di Apollo a Fliunte. Alcuni dicono che Eracle combattè contro Acheloo prima dell’assassinio di Ifito, che lo costrinse poi ad andare in esilio. In ogni caso egli raggiunse con Deianira il fiume Eveno, allora in piena, dove il Centauro Nesso, dichiarandosi autorizzato dagli dei a trasportare gli uomini sulla riva opposta, si offrì, dietro modesto compenso, di caricarsi Deianira in groppa mentre Eracle avrebbe nuotato. Eracle accettò, pagò il compenso richiesto, gettò la clava e l’arco al di là del fiume e si tuffò nella corrente. Nesso tuttavia, invece di mantenere la promessa, galoppò nella direzione opposta con Deianira tra le braccia; poi la gettò a terra e cercò di farle violenza. Deianira gridò invocando aiuto ed Eracle, ricuperato l’arco, prese accuratamente la mira e trapassò il petto di Nesso con una freccia scagliata da mezzo miglio di distanza.

Estratta la freccia. Nesso disse a Deianira: «Se tu mescolerai il seme che ho sparso al suolo con il sangue sgorgato dalla mia ferita e vi aggiungerai olio d’oliva, ungendo in segreto con questa mistura la camicia di Eracle, non avrai più da lagnarti per la sua infedeltà». Deianira in gran fretta raccolse gli ingredienti in un vaso, che suggellò e nascose tra le pieghe della veste senza dir parola a Eracle. Secondo un’altra versione Nesso offrì a Deianira della lana imbevuta del proprio sangue e le disse di tesserla per farne una camicia a Eracle. E secondo una terza versione le offrì la propria camicia insanguinata dicendola dotata di magici poteri amorosi, e poi fuggì presso una vicina tribù di Locresi, dove morì per la ferita ricevuta; ma il suo corpo imputridì senza sepoltura ai piedi del monte Tafiasso, appestando l’intera zona con il suo fetore; ed ecco perché quei Locresi sono detti Ozoli. La sorgente presso la quale Nesso morì esala ancora cattivo odore e contiene grumi di sangue.

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ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Il mito di Eracle (Parte 8 di 11): i figli di Ippocoonte e la storia di Auge

Il mito di Eracle (Parte 8 di 11): i figli di Ippocoonte e la storia di Auge

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Eracle (Parte 7 di 11): la conquista di Pilo

Eracle decise di attaccare Sparta e di punire i figli di Ippocoonte: non soltanto essi si erano rifiutati di purificarlo dopo la morte di Ifito, schierandosi contro di lui agli ordini di Neleo, ma avevano altresì assassinato il suo amico Eono. Accadde infatti che mentre Eono, figlio di Licinnio, che aveva accompagnato Eracle a Sparta, passeggiava per la città nei pressi del palazzo di Ippocoonte, un enorme cane molosso lo assalì: per difendersi, Eono lanciò un sasso che colpì il cane al muso. I figli di Ippocoonte balzarono allora fuori dal palazzo e percossero Eono con bastoni nodosi. Eracle accorse in aiuto di Eono dall’altro capo della strada, ma giunse troppo tardi. Eono era ormai morente ed Eracle, ferito alla coscia e al palmo della mano, si rifugiò nel santuario di Demetra Eleusina presso il monte Taigeto, dove Asclepio gli offrì un nascondiglio e sanò le sue ferite. Riunito un piccolo esercito. Eracle raggiunse Tegea in Arcadia e colà pregò Cefeo, figlio di Aleo, di unirsi a lui con i suoi venti figli. Dapprima Cefeo rifiutò: non si azzardava infatti a lasciare Tegea senza-difesa. Ma Eracle, cui Atena aveva donato una ciocca dei capelli della Gorgone in un’urna di bronzo, la offrì alla figlia di Cefeo, Erope: se la città fosse stata attaccata, le disse, essa doveva esporre per tre volte sulle mura quella ciocca, voltando le spalle al nemico che subito si sarebbe dato alla fuga. Gli eventi dimostrarono, tuttavia, che Erope non aveva bisogno di quel talismano. Così Cefeo si unì alla spedizione contro Sparta nel corso della quale, per mala sorte, egli perì con diciassette dei suoi figli. Taluni dicono che anche Ificle fu ucciso, ma più probabilmente si trattava dell’Argonauta etolo dello stesso nome, e non del figlio di Anfitrione. L’esercito di Eracle subì altre perdite, mentre tra gli Spartani caddero Ippocoonte e i suoi dodici figli, con numerosi altri uomini di alto rango; e la loro città fu conquistata d’assalto. Eracle allora rimise sul trono Tindareo, a patto che il regno passasse poi ai propri discendenti. Dal momento che Era, inesplicabilmente, non aveva insidiato Eracle nel corso di quella campagna, egli le edificò un tempio a Sparta e le sacrificò capre, perché non disponeva di altre vittime. Ecco perché gli Spartani sono gli unici Greci che hanno dato ad Era l’appellativo di «mangiatrice di capre» e le offrono quegli animali in sacrificio. Eracle innalzò inoltre un tempio ad Atena dai Giusti Meriti e, lungo la strada di Terapne, un tempio ad Asclepio Cotileo che ricorda la ferita ricevuta nel palmo della mano. A Tegea, un santuario detto «il comune focolare degli Arcadi» è famoso per la statua di Eracle con una ferita alla coscia.

Aleo, re di Tegea, figlio di Afidante, sposò Neera, una figlia di Pereo, che gli generò Auge, Cefeo, Licurgo e Afidamante. Un tempio di Atena Alea, fondato a Tegea da Aleo, contiene ancora il sacro giaciglio della dea. Quando, nel corso di una visita a Delfi, Aleo fu avvertito dall’oracolo che i due fratelli di Neera sarebbero morti per mano del figlio di sua figlia, egli si precipitò a casa e nominò Auge sacerdotessa di Atena, minacciando di ucciderla se non si fosse mantenuta casta. Non si sa con certezza se Eracle giunse a Tegea mentre si preparava ad affrontare re Augia, oppure al suo ritorno da Sparta; comunque Aleo lo accolse con cordialità ospitale nel tempio di Atena. Colà riscaldato dal vino. Eracle violò la vergine sacerdotessa presso una fontana che ancora si mostra a settentrione del tempio; ma dato che Auge non lanciò nemmeno un grido, molti suppongono che essa si recò laggiù di propria volontà. Eracle continuò per la sua strada e a Stinfalo generò Eurete in Partenope, la figlia di Stinfalo. Frattanto pestilenza e carestia si abbatterono su Tegea e Aleo, informato dalla Pizia che un sacrilegio era stato commesso nel recinto del tempio di Atena, vi si recò e trovò Auge in stato di avanzata gravidanza. Benché essa piangendo gli assicurasse che Eracle l’aveva presa di forza e ubriaco, Aleo non volle crederle. La trascinò sulla piazza di Tegea, ed essa cadde in ginocchio là dove oggi sorge il tempio di Ilizia, famoso per il suo dipinto di «Auge in ginocchio». Non osando uccidere sua figlia in pubblico, Aleo incaricò re Nauplio di affogarla. Nauplio, seguendo le istruzioni ricevute, partì con Auge per Nauplia: ma sul monte Partenio Auge fu colta dalle doglie e ricorse a una scusa per appartarsi nel bosco. Colà diede alla luce un bimbo e, celatelo in un cespuglio, ritornò da Nauplio che l’aveva pazientemente attesa ai margini della strada. Egli, tuttavia, non aveva l’intenzione di affogare una principessa che poteva vendere per altissimo prezzo al mercato degli schiavi; cedette dunque Auge a certi mercanti cari che erano da poco giunti a Nauplia e che, a loro volta, la vendettero a Teutrante, re di Teutrania in Misia. II figlio di Auge fu allattato da una cerva sul monte Partenio (dove è ora un recinto a lui sacro); alcuni mandriani lo rinvennero, lo chiamarono Telefo e lo portarono al loro padrone, re Corito. Nello stesso periodo, per curiosa coincidenza, i pastori di Corito scoprirono, esposto sulla medesima collina, il figlio neonato di Atalanta, che essa aveva avuto da Meleagro; lo chiamarono Partenopeo, che significa «figlio di una vergine violata», perché Atalanta pretendeva d’essere ancora vergine. Quando Telefo raggiunse l’età virile, si recò dall’oracolo delfico per avere notizie dei suoi genitori. Gli fu detto: «Salpa e cerca di re Teutrante in Misia». In Misia infatti egli trovò Auge, ora sposata a Teutrante, e da lei seppe che essa era sua madre ed Eracle suo padre: non gli fu difficile crederlo, poiché nessuna donna aveva mai generato a Eracle un figlio che gli somigliasse. Teutrante allora diede in isposa a Telefo sua figlia Argiope, e lo dichiarò erede al trono. Altri dicono che Telefo, dopo aver ucciso Ippotoo e Nereo, suoi zii materni, si recò in Misia alla ricerca di sua madre, rispettando un completo silenzio. «II silenzio di Telefo» divenne proverbiale; ma Partenopeo lo accompagnava per parlare in vece sua.

Accadde che il famoso Argonauta Ida, figlio di Afareo, stava per impadronirsi del trono di Misia e Teutrante, disperato, promise di abdicare in favore di Telefo e di dargli in isposa la sua figlia adottiva, se Ida fosse stato scacciato. Al che Telefo, con l’aiuto di Partenopeo, sconfisse Ida in duello. Ora la figlia adottiva di Teutrante era Auge, che non riconobbe Telefo, né egli sapeva che essa era sua madre. Fedele alla memoria di Eracle, Auge, la notte delle nozze, si portò una spada nella camera da letto e avrebbe ucciso Telefo al suo ingresso se gli dei non avessero fatto strisciare fra loro un grande serpente. Auge, sgomenta, gettò via la spada e confessò le sue intenzioni omicide. Innalzò poi una supplica e Eracle e Telefo cominciò a gridare, ispirato: «O madre, o madre!» Poi caddero piangendo l’uno nelle braccia
dell’altra e il giorno seguente ritornarono alla loro città natale accompagnati dalla benedizione di Eutrante. La tomba di Auge ancora si mostra a Pergamo presso il fiume Caico. Gli abitanti di Pergamo sostengono di essere emigranti arcadi che giunsero in Asia con Telefo e gli offrono sacrifici eroici.8
g)Altri dicono che Telefo sposò Astioca, o Laodice, figlia del Troiano Priamo. Altri ancora, che Eracle si era giaciuto con Auge a Troia vi si recò per farsi consegnare gli immortali cavalli di Laomedonte. Altri ancora, che Aleo chiuse Auge e il suo infante in un cofano che affidò alle onde del mare; tale cofano poi, sotto la solerte guida di Atena, raggiunse le coste dell’Asia Minore alle foci del fiume Caico, dove re Teutrante sposò Auge e adottò Telefo. Codesto Teutrante, mentre cacciava sul monte Teutrante, inseguì un giorno un gigantesco cinghiale che si rifugiò nel tempio di Artemide Ortosia. Teutrante era sul punto di forzare l’ingresso allorché il cinghiale gridò: «Risparmiami o mio signore, io sono il beniamino della dea!» Teutrante non gli badò nemmeno e lo uccise, offendendo così Artemide in modo tale che essa ridonò la vita al cinghiale, punì Teutrante con il tormento della lebbra e lo costrinse a vagare tra valli solitarie. Sua madre Leucippe, tuttavia, si inoltrò in gran fretta nella foresta portando con sé il veggente Poliido, e placò Artemide con cospicui sacrifici. Teutrante fu curato e guarito della lebbra con le pietre antipate, che ancora si trovano in grande quantità sul monte Teutrante; Leucippe allora innalzò un altare ad Artemide Ortosia e fece costruire un cinghiale meccanico tutto d’oro con la testa d’uomo, che si rifugia nel tempio quando è inseguito e grida: «Risparmiami!» Eracle, trovandosi in Arcadia, si recò sul monte 0stracina dove sedusse Pialo, una figlia dell’eroe Alcimedonte. Quando Pialo partorì un figlio chiamato Ecmagora, Alcimedonte li scacciò ambedue e volle che morissero di fame sulla montagna. Ecmagora piangeva da spezzare il cuore e una misericordiosa gazza volò alla ricerca di Eracle, imitando i gemiti; guidò così l’eroe fino all’albero dove Fialo sedeva, legata e imbavagliata dal padre crudele. Eracle salvò la madre e il bambino, che crebbe uomo robusto. La fonte che sgorga in quel luogo chiamata Cissa, in ricordo della gazza.

Vai a: Il mito di Eracle (Parte 9 di 11): Deianira

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Il mito di Eracle (Parte 7 di 11): la conquista di Pilo

Il mito di Eracle (Parte 7 di 11): la conquista di Pilo

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Eracle (Parte 6 di 11): la conquista dell’Elide

Eracle in seguito mise a sacco e a fuoco la città di Pilo perché i Pili avevano prestato aiuto agli Elei. Uccise tutti i figli di Neleo, eccetto il più giovane che era lontano, in Germania, ma Neleo stesso riuscì a scampare. Atena, che sempre si schiera dalla parte della giustizia, combatté per Eracle; e Pilo fu difesa da Era, Poseidone, Ade e Ares. Mentre Atena impegnava Ares, Eracle affrontò Poseidone, clava contro tridente, e lo costrinse a cedere. Poi subito corse in aiuto di Atena con la lancia in pugno, e al terzo assalto trapassò lo scudo di Ares, stendendo il dio al suolo; infine, con un colpo potente vibrato alla coscia, affondò il ferro nella carne di Ares. Ares dolorante si rifugiò sull’Olimpo dove Apollo versò unguenti sulla ferita che si
rimarginò in un’ora; tosto Ares si gettò di nuovo nella mischia, finché una freccia di Eracle non lo colpì alla spalla, Frattanto, Eracle aveva ferito anche Era alla mammella destra con un’altra freccia. II figlio maggiore di Neleo, Periclimeno l’Argonauta, ebbe da Poseidone il dono di una forza senza limiti e la facoltà di assumere qualsiasi forma gli piacesse: uccello, belva o albero. In quella circostanza egli si trasformò dapprima in leone, poi in serpente e infine, per sfuggire all’attenzione, si appollaiò sul giogo dei cavalli di Eracle sotto forma di formica o mosca o ape. Eracle, a una gomitata di Atena, riconobbe Periclimeno e agguantò la clava, ma subito Periclimeno si trasformò in aquila e tentò di accecarlo a colpi di becco. Una freccia scoccata dall’arco di Eracle lo colpì sotto l’ala: cadde a terra e la freccia gli penetrò nella gola uccidendolo. Altri tuttavia dicono che Periclimeno riuscì a volare via sano e salvo; e che Eracle aveva attaccato Poseidone in un’altra circostanza, dopo l’assassinio di Ifito, quando Neleo rifiutò di purificarlo. E che il combattimento con Ade si verificò nell’altra Pilo, in Elide, quando Eracle fu sfidato dal dio perché si era portato via Cerbero senza permesso.

Eracle affidò la città di Messene a Nestore, poiché ricordava che Nestore non aveva tentato di derubarlo del bestiame di Gerione; e ben presto lo amò più di Ila e di Iolao. Fu Nestore che per il primo giurò per Eracle. Gli Elei, benché avessero contribuito alla riedificazione di Pilo, approfittarono della debolezza dei suoi abitanti e li vessarono in molti modi. Neleo riuscì a dominare la propria collera finché un giorno, avendo mandato un suo carro con quattro splendidi cavalli, vincitori di molti premi, a una gara dei Giochi Olimpici, seppe che Augia si era appropriato di carro e cavalli e aveva rimandato l’auriga a Pilo, a piedi. Allora ordinò a Nestore di fare una spedizione punitiva nella pianura elea e Nestore riuscì a razziare cinquanta mandrie di bovini, cinquanta greggi di pecore, cinquanta greggi di capre, cinquanta branchi di maiali e centocinquanta cavalle baie, molte di esse con puledri, respingendo gli Elei che tentavano di opporglisi e bagnando per la prima volta la sua lancia nel sangue. Gli araldi di Neleo convocarono allora in Pilo tutti coloro che avevano crediti con gli Elei e dopo aver diviso tra di loro il bottino, trattenendo però per Nestore la parte del leone, Neleo sacrificò generosamente agli dei. Tre giorni dopo gli Elei avanzarono su Pilo in pieno assetto di guerra (tra loro vi erano i due figli orfani di Molioni, che ne avevano ereditato il titolo) e attraversarono la pianura a Triessa. Ma Atena scese dall’Olimpo nottetempo e mise in allarme la gente di Pilo; quando i due eserciti vennero a battaglia, Nestore, che era appiedato, abbatté con un colpo di lancia Amarinceo, il generale degli Elei; poi, impadronitesi del suo cocchio, piombò come nera nube di tempesta sulle schiere dei nemici, conquistando cinquanta altri cocchi e uccidendo cento uomini. Anche i Molioni sarebbero caduti sotto i colpi della sua infaticabile lancia, se Posidone non li avesse avvolti in una nebbia impenetrabile soffiandoli via lontano. Gli Elei, incalzati dall’esercito di Nestore, fuggirono sino alla rocca Olenia, dove Atena impose loro di fermarsi. Si giunse così a una tregua; Amarinceo fu sepolto a Buprasio e onorato con agoni funebri cui concorsero numerosi abitanti di Pilo. I Molioni vinsero la corsa dei cocchi stringendo Nestore alla curva, ma si dice che Nestore stesso vinse tutte le altre gare: il pugilato e la lotta, la corsa a piedi e il lancio del giavellotto. Dobbiamo aggiungere che in seguito, giunto ormai alla vecchiaia, Nestore assistette come spettatore a questi giochi; poiché per la grazia di Apollo, che gli concesse tutti gli anni negati agli zii materni, egli visse per tre secoli e nessuno dei suoi coetanei era ancora al mondo per mettere in dubbio la sua età.

Vai a: Il mito di Eracle (Parte 8 di 11): i figli di Ippocoonte e la storia di Auge

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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