Il racconto del mito di Giasone è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 26: Giasone – La verità su un eroe.
Pelia, figlio del dio del mare Poseidone e di Tiro, era assetato di potere e ambiva a dominare l’intera Tessaglia. Dopo un’aspra contesa detronizzò Esone, uccidendo tutti i suoi discendenti, ma Alcimede, moglie di Esone, che aveva appena avuto un piccolo di nome Giasone, lo salvò da Pelia, facendo raggruppare le donne intorno al neonato e facendole piangere per far credere che il bambino fosse nato morto. Alcimede mandò il figlio dal centauro Chirone perché badasse alla sua educazione e per sottrarlo alla violenza di Pelia; questi, sempre timoroso che qualcuno potesse usurpargli il trono, consultò un oracolo che lo avvertì di stare attento all’uomo con un solo sandalo. Molti anni dopo, mentre a Iolco si tenevano dei giochi in onore di Poseidone, arrivò Giasone, che perse uno dei sandali nel fiume Anauro mentre aiutava un’anziana (che era in realtà la dea Era travestita) ad attraversarlo; la donna lo benedisse perché sapeva cosa Pelia gli avrebbe riservato. Quando entrò nella città, fu annunciato come l’uomo con un solo sandalo: Giasone reclamò il trono del padre, ma Pelia gli disse che l’avrebbe ottenuto solo dopo aver conquistato il vello d’oro. Giasone accettò la sfida e radunò un gruppo di eroi, noti con l’appellativo di Argonauti dal nome della nave Argo con cui partì per compiere la missione.
La prima tappa fu l’isola di Lemno, situata al largo della costa occidentale dell’Asia Minore, era abitata da donne che avevano ucciso i loro mariti: esse avevano trascurato di venerare Afrodite, la quale le aveva punite rendendole maleodoranti al punto da essere ripudiate dai maschi dell’isola. Gli uomini si erano allora legati a delle concubine provenienti dalla prospiciente terraferma, la Tracia, e le donne, furibonde, uccisero tutti i maschi mentre dormivano. Il re Toante venne salvato dalla figlia Ipsipile, che lo fece fuggire su una piccola nave, e le donne di Lemno vissero per qualche tempo senza uomini con Ipsipile come loro regina. Durante la visita degli Argonauti, le donne si unirono con loro creando una nuova razza denominata Mini: lo stesso Giasone divenne padre di due gemelli avuti dalla regina. Eracle li spinse a ripartire, disgustato dalla loro ridicolaggine, e restò fuori dai bagordi, fatto strano se si considerano le tante relazioni che ebbe con altre donne. Dopo Lemno gli Argonauti approdarono nella terra abitata dai Dolioni, venendo amichevolmente accolti dal loro giovanissimo re Cizico, che era figlio di un amico defunto di Eracle. Poi ripartirono ma persero l’orientamento, riapprodando nuovamente nello stesso luogo in una notte senza luna; ciò fece sì che Dolioni e Argonauti non si riconoscessero. Cizico e i suoi uomini scambiarono gli Argonauti per pirati e li assalirono ma ebbero la peggio e tra le vittime ci furono lo stesso re e il grande guerriero Artace. Solo all’alba gli Argonauti si resero conto del terribile errore che avevano commesso e non rimase altro da fare che seppellire i Dolioni morti. Clite, la moglie di Cizico, si suicidò per il dolore.
Quando gli Argonauti giunsero nella Misia, alcuni di essi, tra cui Eracle e il suo servo Ila, andarono in perlustrazione alla ricerca di cibo e acqua. Le ninfe, che abitavano il corso d’acqua da dove si stava rifornendo Ila, furono attratte dal suo bell’aspetto e lo attirarono nel fiume. Eracle udì le sue grida di aiuto e si mise a cercarlo disperatamente: era così intento nella ricerca che lasciò che gli Argonauti ripartissero senza di loro. Di Ila, tuttavia, non si seppe più nulla. Giasone giunse quindi alla corte di Finea nella Tracia dove Zeus mandava le Arpie, donne alate, a rubare ogni giorno il cibo del re. Giasone ebbe pietà dello scheletrico sovrano e uccise le Arpie al loro arrivo; in altre versioni, Calaide e Zete le scacciarono. In cambio del favore Finea rivelò a Giasone la posizione della Colchide e come superare le Simplegadi, isole in perenne collisione. Gli Argonauti ripresero dunque il loro cammino. L’unico modo per raggiungere la Colchide era quello di passare attraverso le Simplegadi, enormi scogli in perenne collisione che stritolavano tutto ciò che passasse attraverso loro. Fineo aveva raccomandato a Giasone di liberare una colomba mentre si avvicinavano a queste isole: se la colomba fosse riuscita a passare avrebbero dovuto remare con tutte le loro forze, mentre se fosse stata stritolata la sorte della spedizione sarebbe stata destinata al fallimento. Giasone liberò la colomba, che riuscì a passare perdendo solo qualche piuma dalla coda: gli Argonauti allora remarono con tutte le loro forze, riuscendo a passare e riportando solo un lieve danno alla poppa della nave. Da quel momento le isole in collisione rimasero unite per sempre, lasciando libero il passaggio.
Giasone arrivò nella Colchide (sull’attuale costa georgiana del Mar Nero) per conquistare il vello d’oro, che il re Eeta aveva avuto da Frisso. Eeta promise di darlo a Giasone a patto di superare tre prove, ma una volta saputo di cosa si trattava Giasone si disperò. Era ne parlò con Afrodite, la quale chiese al figlio Eros di far innamorare di Giasone la figlia di Eeta, Medea, così da aiutarlo. Nella prima Giasone doveva arare un campo facendo uso di due tori dalle unghie di bronzo che spiravano fiamme dalle narici e che doveva aggiogare all’aratro. Medea gli diede una pomata che lo protesse dalle fiamme dei tori, consentendogli di superare la prova. Nella seconda Giasone doveva seminare nel campo appena arato i denti di un drago, i quali, germogliando, generavano un’armata di guerrieri. Ancora una volta Medea istruì Giasone su come poteva fare per avere la meglio: egli lanciò un sasso in mezzo ai guerrieri che, incapaci di capirne la provenienza, si attaccarono tra di loro annientandosi. Nella terza Giasone doveva sconfiggere il drago insonne che era a guardia del vello d’oro. Gli spruzzò una pozione ricavata da alcune erbe, datagli sempre da Medea: il drago si addormentò ed egli poté conquistare il vello d’oro.
Giasone scappò con l’Argo insieme a Medea, che aveva rapito il fratellino Apsirto. Inseguiti da Eeta, Medea uccise il fratello, lo fece a pezzi e lo gettò in acqua: Eeta si fermò a raccoglierli, perdendo di vista la Argo. Zeus, per punirli dell’uccisione di Apsirto, inviò una serie di tempeste che mandarono fuori rotta l’Argo: quest’ultima parlò e disse che dovevano purificarsi recandosi da Circe, l’antica maga che viveva sull’isola di Eea. Una volta purificati, gli Argonauti ripresero il viaggio verso casa. Chirone aveva raccontato a Giasone che senza l’aiuto di Orfeo gli Argonauti non sarebbero riusciti a superare il luogo abitato dalle sirene, le stesse incontrate da Ulisse. Le Sirene vivevano su tre piccoli isolotti rocciosi e cantavano bellissime melodie che attiravano i naviganti, facendoli schiantare contro gli scogli. Appena Orfeo sentì le loro voci prese la lira e suonò delle melodie ancora più belle e più forti di quelle delle sirene, surclassandole. La Argo arrivò quindi nell’isola di Creta, protetta dal gigante di bronzo Talo. Quando la nave cercava di avvicinarsi, Talo scagliava enormi sassi, tenendola alla larga. Il gigante aveva una vena che partiva dal collo e arrivava alla caviglia, tenuta chiusa da un chiodo di bronzo. Medea gli fece un incantesimo: Talo impazzì e rimosse il chiodo, facendo fuoriuscire l’unica vena, e morì dissanguato. L’Argo poté riprendere il suo cammino. Medea, usando i suoi poteri magici, convinse le figlie di Pelia che era in grado di ringiovanirne il padre tagliandolo a pezzi e bollendolo in un calderone pieno di acqua e erbe magiche. Per dimostrare le sue capacità, Medea operò questa magia su un agnello, che saltò fuori dal calderone. Le ragazze, molto ingenuamente, fecero a pezzi il padre, mettendolo nel calderone e condannandolo così alla morte, dal momento che Medea non aggiunse le erbe magiche. Il figlio di Pelia, Acasto, mandò in esilio Giasone e Medea per l’uccisione del padre e i due si stabilirono a Corinto.
A Corinto, Giasone si innamorò di Glauce figlia del re Creonte e la sposò. Quando Medea gli rinfacciò la sua ingratitudine, Giasone replicò che non era lei che doveva ringraziare bensì Afrodite che l’aveva fatta innamorare di lui. Inferocita con Giasone per essere venuto meno alla promessa di amore eterno, Medea si vendicò dando a Glauce un vestito incantato come dono di nozze e che prese fuoco facendola morire insieme al padre accorso in suo aiuto e uccidendo, inoltre, Mermero e Fere, i due figli che la stessa Medea aveva avuto da Giasone. Quando quest’ultimo venne a saperlo, Medea era già andata via, in volo verso Atene su un carro mandatole dal nonno, il dio del sole Elio. In seguito, Giasone con l’aiuto di Peleo (il padre di Achille), attaccò e sconfisse Acasto, riconquistando il trono di Iolco. Avendo disatteso la promessa di fedeltà fatta a Medea, Giasone perse i favori della dea Era e morì solo ed infelice. Mentre dormiva a poppa della ormai fatiscente Argo, rimase ucciso all’istante da un suo cedimento: fu questa la maledizione degli dèi per essere venuto meno alla parola data. Secondo una variante l’eroe morì di crepacuore dopo aver appreso la notizia dell’uccisione dei figlioletti.
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