Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare
Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Eracle (Parte 3 di 11): la morte di Ifito
Eracle fu condotto in Asia e offerto in vendita come uno schiavo qualsiasi da Ermete, patrono di tutte le importanti transazioni commerciali e che in seguito consegnò agli orfani di Ifito il prezzo dell’acquisto: tre talenti d’argento. Eurito, tuttavia, caparbiamente proibì ai suoi nipoti di accettare quel compenso, dicendo che soltanto il sangue poteva pagare il sangue; e ciò che accadde del denaro soltanto Ermete lo sa. Come la Pizia aveva predetto. Eracle fu comprato da Onfale, regina di Lidia, una donna che aveva buon occhio in fatto di acquisti. E la servì fedelmente per un anno intero, oppure per tre, liberando l’Asia Minore dai banditi che la infestavano. Codesta Onfale, figlia di Giordano e, secondo certi autori, madre di Tantalo, aveva ereditato il regno dal suo sventurato marito Tmolo, figlio di Are e di Teogone. Mentre cacciava sul monte Carmanorio, così chiamato in onore di Carmanore, figlio di Dioniso e di Alessirroe, che fu ucciso lassù da un cinghiale selvatico, Tmolo si innamorò della cacciatrice Arippe, una casta sacerdotessa di Artemide. Arippe, sorda alle minacce e alle lusinghe di Tmolo, si rifugiò nel tempio della sua signora dove, incurante della santità del luogo, il re la violentò sul giaciglio della dea stessa. Arippe si impicco a una trave, dopo aver invocato Artemide che subito scatenò la furia di un toro; Tmolo fu lanciato in aria, ricadde su una palizzata appuntita e su ciottoli taglienti e morì tra atroci sofferenze. Teoclimeno, il figlio che egli aveva avuto da Onfale, lo seppellì là dove l’aveva trovato, e chiamò «Tmolo» il monte. Una città dello stesso nome, costruita sulle sue pendici, fu distrutta da un grande terremoto durante il regno dell’imperatore Tiberio.
Tra le molte imprese minori compiute da Eracle durante la sua schiavitù vi fu la cattura dei due Cercopi Efesini, che da tempo gli impedivano di dormire. Essi erano due fratelli gemelli chiamati Passalo e Acmone, oppure Olo ed Euribate, oppure Sillo e Triballo. Figli di Oceano e di Tia, e i più raffinati ladri e impostori che l’umanità abbia mai conosciuto, essi vagavano qua e là per il mondo, sempre pronti ad architettare nuove burle. Tia li aveva ammoniti di stare alla larga da Eracle, e poiché la sua frase: «Miei cari sederini bianchi, ancora non sapete chi sia il grande sedere nero» divenne proverbiale, «sederino bianco» ora significa «codardo, meschino, oppure lascivo». Essi si accanirono a ronzare attorno al letto di Eracle sotto forma di mosconi, finché una sera egli li agguantò, li costrinse ad assumere il loro vero aspetto e li appese a testa in giù a una pertica che portava sulla spalla. Ora il sedere di Eracle, che la pelle del leone non copriva, era divenuto nero come cuoio vecchio perché bruciato dai raggi del sole e dal fiato infuocato di Caco e del toro cretese; e i Cercopi scoppiarono in una risata irresistibile quando, appesi com’erano a testa in giù, se lo videro dinanzi agli occhi. La loro ilarità sorprese Eracle, ma quando ne seppe la ragione sedette su una pietra e rise a sua volta così di cuore che i gemelli lo convinsero a lasciarli in libertà. Benché vi sia una nota città asiatica chiamata Cercopia, il rifugio dei Cercopi e una roccia chiamata «sedere nero» si mostrano presso le Termopili; è dunque probabile che questo episodio si sia verificato in un’altra occasione. Taluni dicono che i Cercopi furono poi tramutati in pietra perché tentarono di burlarsi di Zeus; e altri ancora, che Zeus punì la loro insolenza trasformandoli in scimmioni dal lungo pelo giallastro e confinandoli nell’isola italiana chiamata Pitecusa.
In una stretta gola della Lidia viveva un certo Sileo, che catturava gli stranieri di passaggio e li costringeva a zappare la sua vigna. Ma Eracle gli sradicò tutte le viti. Quando poi i Lidi di Itone cominciarono a fare incursioni nel regno di Onfale, Eracle ricuperò il bottino e rase al suolo la loro città. A Celene viveva il contadino Litierse, un bastardo di re Minosse, che offriva ospitalità ai viandanti, ma poi li costringeva a misurarsi con lui in una gara di mietitura. Se le forze venivano loro meno, li frustava e la sera, dopo aver vinto la prova, li decapitava e ne celava i corpi tra i covoni, cantando lugubri inni. Eracle si recò a Celene per portare aiuto al pastore Dafni, un figlio di Ennete, che dopo aver vagato per tutto il mondo alla ricerca della sua diletta Pimplea, rapita dai pirati, la trovò infine tra le schiave di Litierse. Dafni fu sfidato alla gara di mietitura, ma Eracle prese il suo posto e vinse: decapitò allora Litierse con una falce e gettò il suo cadavere nel fiume Meandro. Quanto a Dafni, non soltanto poté unirsi alla sua Pimplea, ma Eracle donò loro anche la terra di Litierse, come dote. In onore di Litierse, i falciatori frigi cantano ancora un funebre inno agreste che assomiglia molto all’inno in onore di Manero, figlio del primo re egiziano e anch’esso morto al momento del raccolto.
Infine, presso il fiume Sagari in Lidia, Eracle uccise con una freccia un gigantesco serpente che faceva strage di uomini distruggendo le messi. E Onfale, gratissima a Eracle, avendone finalmente scoperto l’identità e i natali, gli ridiede la libertà e lo rimandò a Tirinto, colmo di doni; mentre Zeus ne commemorava la vittoria con la costellazione Ofiuco. Il fiume Sagari era stato così chiamato in ricordo di un figlio di Mindone e di Alessirroe che si annegò nelle sue acque: la madre degli dei lo aveva fatto impazzire perché si era preso gioco dei suoi Misteri, insultando i suoi sacerdoti eunuchi.
Onfale aveva comprato Eracle più che altro per farsene un amante. Egli la rese madre di tre figli: Lamo, Agelao, avo del famoso re Creso che tentò di immolarsi su una pira quando i Persiani entrarono in Sardi, e Laomedonte. Alcuni parlano anche di un quarto figlio Tirreno o Tirseno, che inventò la tromba e guidò gli emigranti Lidi fino all’Etruria, dove presero il nome di Tirreni; ma è più probabile che Tirreno fosse il figlio di re Ati e un lontano discendente di Eracle e di Onfale.”Da una delle ancelle di Onfale, chiamata Malide, Eracle ebbe Cleodeo o Cleolao, e Alceo, fondatore della dinastia lidia che re Creso soppiantò dal trono di Sardi.
Giunse in Grecia la voce che Eracle aveva rinunciato alla pelle di leone e alla corona di pioppo e portava invece collane di pietre preziose, braccialetti d’oro, un turbante da donna, un manto purpureo e una cintura meonia. E così agghindato sedeva tra lascive fanciulle ioniche, cardando la lana oppure intento a filarla; tremava come una foglia se la sua padrona lo sgridava. Essa lo percuoteva con la pantofolina dorata se per caso, con le dita maldestre, gli capitava di spezzare il fuso; e lo costringeva a raccontare le sue passate avventure per divertirla. Ma a quanto pareva Eracle non se ne vergognava. Ecco perché certi pittori ci mostrano l’eroe con una sopravveste gialla indosso, che si lascia pettinare dalle ancelle di Onfale mentre Onfale stessa, coperta dalla pelle del leone, regge la sua clava e il suo arco. In verità era accaduto soltanto questo: un giorno, mentre Eracle e Onfale visitavano i vigneti di Tmolo, la regina con una veste purpurea ricamata in oro e i riccioli profumati, ed Eracle che reggeva galantemente il parasole sulla sua testa, Pan li vide dall’alto di una collina. Innamoratosi di Onfale, subito si congedò dalle dee montane gridando: «Da ora in poi Onfale sarà il mio unico amore!» Onfale ed Eracle raggiunsero la loro mèta, una grotta appartata dove per gioco si scambiarono le vesti. Onfale cinse Eracle con una cintura intessuta e troppo piccola per la sua vita; quando poi gli fece indossare la veste, le maniche si lacerarono; e i sandaletti accolsero a stento la punta dei piedi dell’eroe. Dopo cena si coricarono in giacigli separati, perché all’alba dovevano fare sacrifici a Dioniso che in tali occasioni pretende dai suoi devoti la castità coniugale. A mezzanotte Pan sgattaiolò nella grotta e, brancolando al buio, trovò quel che gli parve il giaciglio di Onfale, poiché chi vi dormiva sopra era avvolto in vesti di seta. Con mano tremante sollevò un lembo delle coperte e vi strisciò sotto. Ma Eracle, destatesi e allungato un piede, fece volare Pan attraverso la grotta. All’udire un tonfo e un gemito, Onfale balzò a sedere e invocò delle torce, e quando la grotta fu illuminata rise con Eracle fino alle lacrime al vedere Pan steso a terra in un canto, tutto ammaccato. Da quel giorno, Pan ha concepito un odio profondo per ogni sorta di veste e vuole che i suoi sacerdoti officino nudi; per vendicarsi di Eracle sparse la voce che quello scambio di indumenti, fatto una sola volta e per capriccio, fosse invece cosa consueta e lasciva.
Vai a: Il mito di Eracle (Parte 5 di 11): Esione, figlia di Laomedonte
ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.
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