Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: I viaggi di Odisseo – Partenza e Polifemo – Parte 1 (di 4)
Odisseo puntò la prua verso nord e raggiunse l’isola di Eolo Custode dei Venti, che lo ospitò regalmente per un mese intero e l’ultimo giorno gli offrì un otre zeppo di venti, spiegandogli che fino a quando la bocca ne fosse rimasta chiusa e stretta da un filo d’argento, tutto sarebbe andato bene. Quell’otre conteneva tutti i venti, all’infuori del dolce vento d’occidente, che avrebbe spinto direttamente la flotta attraverso lo Ionio fino a Itaca; ma Odisseo poteva liberare gli altri venti a uno a uno, se per una qualche ragione avesse voluto modificare la rotta. E già si poteva scorgere il fumo che si alzava dai camini del palazzo di Odisseo in Itaca, allorché egli cadde addormentato, sopraffatto dalla stanchezza. I suoi uomini, che attendevano con ansia quel momento, aprirono l’otre dei venti, convinti che contenesse vino. E subito i venti tutti assieme soffiarono galoppando verso la loro dimora e spingendo la nave; così Odisseo si ritrovò nell’isola Eolia. Con profonde scuse implorò l’aiuto di Eolo, ma gli fu risposto che desse di piglio ai remi; nemmeno un soffio del vento dell’ovest gli sarebbe stato concesso. «Non posso aiutare un uomo che è inviso agli dei», gridò Eolo sbattendogli la porta in faccia.
Dopo sette giorni di navigazione Odisseo giunse alla terra dei Lestrigoni governati da re Lamo, e taluni dicono che tale terra si trovasse nella parte nordoccidentale della Sicilia, altri nei pressi di Formia in Italia, dove la nobile gente di Lamia si vanta di discendere da re Lamo; e la cosa pare credibile, perché chi si vanterebbe di discendere dai cannibali se ciò non fosse noto a tutti? Nella terra dei Lestrigoni il giorno e la notte si susseguono così rapidamente che i pastori i quali riconducono le greggi al chiuso al calar del sole danno la voce a quelli che si preparano a uscire all’alba. I capitani della flotta di Odisseo entrarono a vele spiegate nel porto di Telepilo che è chiuso tutt’attorno da rocce scoscese, e spinsero le navi in secco presso un sentiero che serpeggiava su per la vallata. Odisseo, più cauto dei suoi compagni, legò la propria nave a un albero all’imboccatura del porto e mandò tre uomini in ricognizione nell’interno dell’isola. Essi seguirono il sentiero finché si imbatterono in una fanciulla che attingeva acqua a una fonte. Era la figlia di Antifate, capitano dei Lestrigoni, e li guidò alla sua dimora. Ma colà essi furono assaliti da un’orda di selvaggi che afferrato uno di essi lo uccisero per cucinarlo; gli altri due fuggirono a gambe levate e i selvaggi, anziché inseguirli, afferrarono grosse pietre dai fianchi dei monti e le scagliarono sulle navi in secco fracassandole prima che potessero riprendere il mare. Poi, calati sulla riva, fecero strage tra gli equipaggi divorando chiunque capitasse loro tra le mani. Odisseo riuscì a fuggire recidendo con un colpo di spada la gomena che tratteneva la sua nave e incitò i compagni a vogare se era loro cara la vita.
Con l’unica nave rimasta si diresse verso est e dopo un lungo viaggio raggiunse Eea, l’isola dell’alba, dove regnava la dea Circe figlia di Elio e di Persa e dunque sorella di Eete, il feroce re della Colchide. Circe era maga esperta in ogni sorta di incantesimi, ma nemica del genere umano. Quando si estrasse a sorte chi dovesse rimanere di guardia sulla nave e chi dovesse scendere a terra, toccò a Euriloco di esplorare l’isola con altri ventidue compagni. L’isola era ricca di querce e di altri alberi d’alto fusto e dopo aver vagato tra i boschi gli uomini giunsero infine al palazzo di Circe che sorgeva in un’ampia radura al centro dell’isola. Lupi e leoni erravano lì attorno, ma anziché assalire Euriloco e i suoi compagni, affettuosamente li lambirono con la lingua, ritti sulle gambe posteriori. Li si sarebbe detti esseri umani e tali erano infatti, trasformati in bestie dagli incantesimi di Circe.
Circe sedeva nella sala del palazzo e cantava, intenta al suo telaio. Quando udì il richiamo di Euriloco, si affacciò sulla soglia e con un sorriso invitò tutti a cenare alla sua tavola. Gli uomini accettarono con piacere, e il solo Euriloco, insospettito, indugiò all’esterno, spiando dalle finestre. La dea posò sulla mensa formaggio, orzo, miele e vino; ma i cibi contenevano tarmaci maligni e non appena i marinai ebbero mangiato i primi bocconi la dea li percosse con una verga e li trasformò in maiali. Con maligno sorriso li spinse allora nel porcile, gettò loro una manciata di ghiande e di corniole e li lasciò, richiudendo la porta.
Euriloco ritornò alla nave piangendo e narrò ogni cosa a Odisseo che sguainò la spada e partì per recare aiuto agli sventurati compagni, pur non avendo stabilito un piano ben chiaro nella sua testa. Con grande sorpresa incontrò il dio Ermes che lo salutò cortesemente e gli offrì un talismano per rendere inefficaci gli incantesimi di Circe: un bianco fiore profumato e dalla nera radice, chiamato moli, che gli dei soltanto possono riconoscere e raccogliere. Odisseo accettò grato il dono e, proseguendo il cammino, fu infine accolto da Circe. Quando egli ebbe mangiato il cibo affatturato, la maga gli batté la verga sulla spalla e gli ordinò: «Vai dunque a raggiungere i tuoi compagni!» Ma poiché in segreto aveva fiutato il magico fiore, Odisseo non subì la metamorfosi e subito balzò in piedi sguainando la spada. Circe cadde ai suoi piedi piangendo. «Risparmiami», gridò, «e dividerai il mio letto e regnerai sull’isola al mio fianco». Ben sapendo che le maghe possono indebolire e a poco a poco uccidere i loro amanti, Odisseo volle che Circe giurasse solennemente di non tramare nuovi inganni. Circe giurò su tutti gli dei e dopo aver preparato per Ulisse un bagno tiepido, offertogli vino in coppe dorate e una cena squisita, si preparò a trascorrere con lui la notte in un letto dalle coltri purpuree. Tuttavia, Odisseo si rifiutò di accettare le sue amorose carezze finché ella non avesse liberato i suoi compagni e tutti gli altri marinai tramutati in belve prima di loro. Quando ciò fu fatto, ben volentieri Odisseo rimase in Eea finché Circe gli ebbe partorito tre figli, Agrio, Latino e Telegono.
Venne il giorno in cui Odisseo chiese di ripartire e Circe gli concesse di lasciarla. Prima però doveva scendere nel Tartaro e interrogare Tiresia il veggente che avrebbe profetizzato ciò che lo attendeva in Itaca, se mai vi fosse giunto, e negli anni seguenti. «Lascia che il Vento del Nord gonfi le tue vele», disse Circe, «finché giungerai al fiume Oceano e al sacro bosco di Persefone, denso di bianchi pioppi e di antichi salici. Là dove il Flegetonte e il Cocito confluiscono nell’Acheronte, scava una fossa e sacrifica un giovane ariete e una pecora nera (che io stessa ti fornirò) ad Ade e a Persefone. Lascia che il sangue scorra nella fossa e mentre attendi l’arrivo di Tiresia tieni lontane con la tua spada tutte le altre ombre. Al solo Tiresia permetterai di bere quanto voglia e ascolterai con attenzione i suoi consigli».
Vai a: I Viaggi di Odisseo – Il Regno di Ade – Parte 3 (di 4)
I Viaggi di Odisseo, riassunti dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.
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