L’essere bisessuale per eccellenza, nella mitologia greca, si chiama Ermafrodito, figlio, come dice il suo nome, dell’amore di Ermes e Afrodite. Questo personaggio — introdotto forse da ambiente orientale — è abbastanza recente nella mitologia: sue immagini iniziano a comparire solo nel quinto-quarto secolo a.C. L’androginia è invece una prerogativa assai antica del divino: gli dèi più arcaici sono sessualmente indifferenziati e contengono in sé l’energia riproduttiva di entrambi i sessi, potenziata perché racchiusa in un unico essere.
Ermafrodito era oggetto di un culto popolare e iconico certamente nel quarto secolo a.C.; i suoi giorni sacri erano il quarto e il settimo del mese. Nel quarto si diceva che fossero nati sia Ermes che Afrodite, e questo giorno veniva considerato il migliore per i matrimoni e quindi per la procreazione: è nel quarto giorno del mese che Esiodo raccomanda di portarsi in casa una moglie (Opere e giorni 800); e il superstizioso di cui si fa beffe Teofrasto (Caratteri 16) nel quarto e nel settimo giorno di ogni mese si dedica a comprare incenso da bruciare e passa l’intera giornata a inghirlandare statuette di Ermafroditi.
La storia di Ermafrodito è nota in particolare attraverso il grazioso racconto di Ovidio, che ne fa la trama di una piccola anche se inquietante elegia d’amore. Egli era in origine un meraviglioso giovane, e si dilettava di caccia sui monti e nelle solitudini. Un giorno, mentre si trovava presso una sorgente, la ninfa del luogo, Salmacide, s’innamorò di lui e lo ghermì. Ermafrodito si divincolò, mentre la ninfa lo abbracciava e pregava gli dèi che mai sciogliessero quell’abbraccio. Fu esaudita: i due corpi divennero uno solo, maschile e femminile insieme. La fonte Salmacide, da allora, ha il potere di togliere la virilità a chiunque vi s’immerga.
Quello di Ermafrodito non è l’unico esempio di bisessualità della mitologia. Esistevano altri personaggi che l’avevano sperimentata nel loro corpo, generalmente però come prodotto di un cambiamento di sesso. Era questo il caso di Ceneo, che era in origine una donna di nome Cenide. Poseidone si innamorò di lei e la ragazza acconsentì a ricambiare i suoi abbracci, ma chiese in compenso di essere trasformata in uomo e inoltre di avere il dono dell’invulnerabilità. Così le fu concesso; Ceneo, diventato ormai un uomo possente, si coprì di gloria per il suo valore. L’ultima sua impresa, in cui trovò la morte, fu la battaglia contro i Centauri, alla quale partecipò insieme ai Lapiti. Poiché i Centauri, per quanti colpi sferrassero, non riuscivano a ferirlo, lo assalirono tutti insieme e lo seppellirono vivo, piantandolo nella terra con colpi di tronchi di abete. Secondo alcuni racconti, Ceneo dopo la morte ritornò a essere donna, oppure divenne un uccello dalle ali variopinte; ma in generale si riteneva che abitasse nel suolo come demone sotterraneo, né morto né vivo, a somiglianza di altri eroi ctoni quali Trofonio e Anfiarao. Di lui si raccontava anche un’altra storia: Ceneo mise in fuga da solo i Centauri, poi gonfio d’orgoglio piantò la sua lancia in mezzo alla piazza e obbligò tutti i cittadini a onorarla e a fare giuramenti in nome suo. Fu un gesto di folle arroganza (hybris), perché con questi atti Ceneo usurpava le prerogative divine; perciò Zeus eccitò nuovamente contro di lui i Centauri, che lo seppellirono vivo.
Anche Tiresia sperimentò lo sdoppiamento di sesso e ciò fu per alcuni all’origine della sua cecità e delle sue qualità di profeta. Secondo una versione del mito egli divenne cieco per avere visto Atena nuda una sorgente. La versione alternativa diceva che fu chiamato come arbitro in una contesa tra Zeus ed Era sulla natura del piacere sessuale, maschile e femminile: Tiresia, infatti, era l’unica creatura vivente che potesse pronunciarsi sull’argomento, perché un giorno, dopo aver ucciso un serpente che si stava accoppiando, era improvvisamente divenuto donna e cosi aveva vissuto molto tempo (sette anni, si diceva), finché aveva nuovamente ucciso, nello stesso luogo, un altro serpente in amore, ritornando uomo. Interrogat0 dagli dèi decretò che il piacere femminile è maggiore, e perciò Era, adirata per l’accusa di sfrenatezza che era stata rivolta al suo sesso, lo privò della vista; in cambio, Zeus gli concesse il dono della profezia e una vita lunghissima.
I miti parlano di un altro essere bisessuale, Agdisti. Il racconto che lo riguarda è di origine orientale, connesso ai rituali di Cibele e del suo paredro Attis, i cui sacerdoti praticavano l’autoevirazione, come un tempo si diceva avesse fatto lo stesso Attis, al quale si conformavano. In ambiente mediorientale il mito di Attis assume varie forme; Pausania riferisce una variante arrivata sino a Dime, in Acaia, dove la Madre degli dèi e il suo paredro avevano un tempio molto frequentato. La storia era originaria di Pessinunte, la terra della Gran Madre. Si diceva che Zeus, nel sonno, fece cadere al suolo alcune gocce del suo seme e di lì nacque un essere bisessuale che venne chiamato Agdisti; gli altri dèi, intimoriti dalla sua forma insolita, lo evirarono e dal suo membro reciso nacque un mandorlo. La figlia del dio-fiume Sangario colse una mandorla di quell’albero e la ripose sul suo seno: di lì nacque Attis, che subito dopo venne abbandonato e scampò miracolosamente alla morte grazie a un caprone che lo nutrì. Il ragazzo crebbe e divenne talmente bello che l’evirato Agdisti s ‘innamorò di lui. In seguito, Attis fu sul punto di sposare la figlia del re di Pessinunte, ma quando già le nozze stavano per essere celebrate Agdisti si rifece vivo e Attis, preso da improvvisa follia, si evirò, come un tempo era accaduto a Agdisti, e lo stesso fece il re di Pessinunte. Attis morì per quella ferita, ma dagli dèi gli fu concesso di non corrompersi mai.
Il brano di questo post è tratto dal magnifico libro di Giulio Guidorizzi, Il mito greco. Si tratta di due volumi (usciti per Mondadori nel 2009 e nel 2012) che noi vi consigliamo caldamente. Qui una lista di altri volumi di Guidorizzi sul mito greco.
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