Cosa hanno in comune Eurialo e Niso, Pallante figlio di Evandro, Lauso figlio di Mezenzio, la vergine Camilla e moltissimi altri personaggi minori dell’Eneide? Sono tutti ragazzi, giovanissimi guerrieri (anche Camilla!) che compaiono nella storia per ricordarci il dolore e la tragicità della guerra. Non si tratta più di nomi che appaiono per essere scolpiti sulle lapidi, personaggi fugaci presentati da Virgilio per farli cadere nella polvere e nella morte dopo pochi versi. Sono giovani vite che impariamo a conoscere, a veder sbocciare, ad apprezzare e che poi vediamo cadere e fuggire nell’Ade in mezzo al dolore di madri, padri e compagni. Non vale neppure la pena dire a che esercito appartengono: sono accumunati dal destino di vittime della furia guerresca. E la loro morte porta con sé il destino di intere dinastie: Evandro maledice la sua età e il fatto di essere già troppo vecchio per partecipare alla battaglia, condanna il fatto di aver mandato il figlio al suo posto. Mezenzio addirittura va a farsi uccidere volontariamente da Enea per non dover sopportare il dolore di sopravvivere al figlio. Questo atto lo trasforma ai nostri occhi: da infame re pieno di boria a padre disperato e pienamente umano. La follia della guerra non è mai così chiara come nel racconto di queste tragedie. Cortei funebri, tregue per seppellire i morti dall’una e dall’altra parte, pianti e grida di padri e di madri. I libri dell’Eneide che narrano di guerra sono sei, dal settimo al dodicesimo, l’esatta metà del poema. Alla fine, quando Enea conclude gli scontri uccidendo Turno, non si può che rimanere commossi da una parte e sconsolati dall’altra chiedendosi come si possa ancora credere che la guerra porti qualcosa di buono a un popolo. Personalmente dopo sei canti di macelleria umana ero nauseato…
Andreas Barella