E quindi? Quindi possiamo affermare che i narratori orali non riconoscono il concetto di ripetizione letterale. La variabilità, caratteristica insita nella poesia delle tradizioni orali, consente al bardo di adattare il materiale al pubblico presente e permette l’emergere di nuove versioni più facili da ricordare. Le digressioni non pertinenti vengono tralasciate, le parole troppo lunghe o troppo rare evitate. E, nonostante questo, il mito narrato viene considerato dai rapsodi come fedele a se stesso e all’arte poetica. Cosa vuol dire per noi appassionati di mitologia e narratori orali di queste antiche storie? Vuol forse dire che la letteralità dei testi non è tutto (come sa bene chiunque abbia narrato una storia… anche se poi ci sono dei pezzi di miti che vanno raccontati sempre allo stesso modo, come per esempio la scena di Odisseo e il Ciclope e il gioco con il nome Nessuno), che il rapporto con il pubblico che ascolta è parte integrante del mito narrato, che il mito ci viene consegnato da chi lo ha narrato prima di noi ma che non è definitivo, che va di nuovo fatto vivere e crescere per permettergli di far danzare la psiche degli ascoltatori (e dei narratori… mica che quando narriamo rimaniamo indifferenti… il mito lavora anche su di noi!). Potremmo affermare che il mito viene passato di mano in “versione archetipica” e che il narratore lo deve declinare in “versione costellata sulla terra”, vale a dire che lo deve adattare alle condizioni particolari in cui lo narra. Devo dire che queste cose mi riempiono di gioia e anche mi angosciano un po’: siamo in grado di raccogliere la sfida di far di nuovo danzare le storie mitologiche nella vita delle persone? E seguendo quali regole e vincoli? In che modo abbiamo ricevuto queste storie da chi ci ha preceduto? Come le possiamo “sviluppare” lasciandole fedeli a loro stesse, ai secoli e alle esigenze psichiche che le hanno forgiate?
Una risposta interessante viene da una lettura particolare del significato di “memoria”. La memoria, dice Foer nel suo libro, è un procedimento che utilizza soprattutto la fantasia. L’apprendimento, la memoria e la creatività sono, di fatto, il medesimo processo seppur orientato a scopi diversi. L’arte e la scienza della memoria sono il potenziamento della capacità di creare rapidamente immagini in grado di collegare le idee più disparate. La creatività è l’abilità di formare connessioni analoghe tra immagini differenti per creare qualcosa di nuovo e proiettarlo nel futuro perché diventi una poesia, un palazzo, un ballo, un romanzo. In un certo senso, la creatività è la memoria del futuro. Se l’essenza della memoria è creare legami tra idee e fatti eterogenei, maggiore è la facilità con cui una persona crea associazioni e più numerosi sono i fatti e le idee che ha a disposizione, più è probabile che sviluppi nuovi pensieri. D’altra parte Mnemosine, dea della memoria, è la Madre di tutte le Muse! Per questo è importante continuare a leggere di Miti, a collegarli uno con l’altro, a raccontarli alle platee più disparate, di adulti, di bambini, di persone pronte a mettersi in discussione e a crescere. E proprio questo continueremo a fare!
Andreas
(Pensieri sviluppati leggendo il libro di Joshua Foer, L’arte di ricordare tutto, Longanesi. Alcuni passaggi sono presi pari pari dal libro.Il post è dedicato ad Andrea Della Neve e alle nostre discussioni su questi argomenti! 🙂 )