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Il mito di Apollo

Il mito di Apollo

Il racconto del mito di Apollo è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 3: Apollo – La divina bellezza.

Apollo, figlio di Zeus e di Latona, nacque di sette mesi, ma gli dei crescono in fretta. Temi lo nutrì di nettare e ambrosia, e dopo quattro giorni il bimbo già chiedeva a gran voce arco e frecce, che Efesto subito gli porse. Partito da Delo, Apollo si diresse senza indugio verso il monte Parnaso, dove si celava il serpente Pitone, nemico di sua madre, e lo ferì gravemente con le sue frecce. Pitone si rifugiò presso l’oracolo della Madre Terra a Delfi, città così chiamata in onore del mostro Delfine, compagna di Pitone; ma Apollo osò inseguirlo anche nel tempio e lo finì dinanzi al sacro crepaccio.

La Madre Terra, oltraggiata, ricorse a Zeus che non soltanto ordinò ad Apollo di farsi purificare a Tempe, ma istituì i giochi Pitici in onore di Pitone, e costrinse Apollo a presiederli per penitenza. Apollo, sfrontatamente, non si curò di obbedire agli ordini di Zeus e invece di recarsi a Tempe andò a Egialia, in compagnia di Artemide, per purificarsi; e poiché il luogo non gli piacque, salpò per Tarra in Creta, dove re Carmanore eseguì la cerimonia di purificazione.

Al suo ritorno in Grecia, Apollo andò a cercare Pan, il dio arcade dalle gambe di capra e dalla dubbia riputazione, e dopo avergli strappato con blandizie i segreti dell’arte divinatoria, si impadronì dell’oracolo delfico e ne costrinse la sacerdotessa, detta pitonessa, a servirlo.

Latona, udita questa notizia, si recò con Artemide a Delfi, dove si appartò in un sacro boschetto per adempiere a certi riti. Il gigante Tizio interruppe le sue devozioni e stava tentando di violentarla, quando Apollo e Artemide, udite le grida della dea, accorsero e uccisero Tizio con un nugolo di frecce: una vendetta che Zeus, padre di Tizio, si compiacque di giudicare pio atto di giustizia. Nel Tartaro Tizio fu condannato alla tortura con le braccia e le gambe solidamente fissate al suolo; il suo enorme corpo copriva un’area di nove acri e due avvoltoi gli mangiavano il fegato.

In seguito Apollo uccise il satiro Marsia, seguace della dea Cibele. Ed ecco come si svolsero gli eventi. Un giorno Atena si fabbricò un doppio flauto con ossa di cervo e lo suonò a un banchetto degli dei. Essa non riuscì a capire, dapprima, perché mai Era e Afrodite ridessero silenziosamente nascondendosi il volto tra le mani, benché la sua musica paresse deliziare gli altri dei; appartatasi perciò nel bosco frigio, riprese a suonare nei pressi di un ruscello e così facendo osservò la sua immagine riflessa nello specchio delle acque. Resasi subito conto di quanto fosse orribile a vedersi, col viso paonazzo e le gote enfiate, gettò via il flauto e lanciò una maledizione contro chiunque lo avesse raccolto.

Marsia fu l’innocente vittima di quella maledizione. Egli trovò per caso il flauto e non appena se lo portò alle labbra lo strumento si mise a suonare da solo, quasi ispirato dal ricordo della musica di Atena. Marsia allora percorse la Frigia al seguito di Cibele, deliziando con le sue melodie i contadini ignoranti. Costoro infatti proclamavano che nemmeno Apollo con la sua lira avrebbe saputo far di meglio, e i Marsia fu tanto sciocco da non contraddirli. Ciò naturalmente provocò l’ira di Apollo che sfidò Marsia a una gara: il vincitore avrebbe inflitto al vinto la punizione che più gli fosse piaciuta. Marsia acconsentì e Apollo affidò il giudizio alle Muse. I due contendenti chiusero la gara alla pari, poiché le Muse si dichiararono egualmente deliziate dalle loro melodie, ma Apollo gridò allora a Marsia: «Ti sfido a fare col tuo strumento ciò che io farò con il mio; dovrai capovolgerlo e suonare e cantare al tempo stesso». II flauto, come logico, non si prestava a una simile esibizione e Marsia non poté raccogliere la sfida. Apollo invece rovesciò la sua lira e cantò inni così dolci in onore degli dei olimpi, che le Muse non poterono fare a meno di dichiararlo vincitore. Allora Apollo, nonostante la sua presunta dolcezza, si vendicò di Marsia in modo veramente efferato e crudele, scorticandolo vivo e appendendo la sua pelle a un pino (oppure a un platano, come altri sostengono) presso la sorgente del fiume che ora porta il suo nome.

Apollo vinse poi una seconda gara musicale, cui presiedette il re Mida, e questa volta sconfisse Pan. Divenuto così ufficialmente il dio della musica, suonò sempre la sua lira dalle sette corde durante i banchetti degli dei. Altro suo compito fu quello di sorvegliare le greggi e le mandrie che gli olimpi possedevano nella Pieria; ma in seguito delegò questo incarico a Ermes.

Pur rifiutando di legarsi in matrimonio. Apollo ha generato molti figli in Ninfe o in donne mortali; tra costoro ricordiamo Ftia, che diede alla luce Doro e i suoi fratelli; e Talia la Musa, madre di Coribante; e Coronide, madre di Asclepio; e Aria, madre di Mileto; e Cirene, madre di Aristeo.

Apollo sedusse anche la ninfa Driope che custodiva le greggi di suo padre sul monte Eta in compagnia delle sue amiche, le Amadriadi. Apollo si tramutò in tartaruga e tutte le fanciulle si dilettarono con quell’animaletto: ma non appena Driope se lo pose in grembo. Apollo si trasformò in serpente e sibilando mise in fuga le Amadriadi, per poi godere della Ninfa. Driope gli generò Anfisso, che fondò la città di Eta ed eresse un tempio in onore di suo padre; colà Driope servì come sacerdotessa finché un giorno le Amadriadi la rapirono e lasciarono un pioppo suo posto.

Non sempre il successo arrideva ad Apollo nelle imprese d’amore. Un giorno cercò di sottrarre Marpessa a Ida, ma essa rimase fedele a suo marito. Un altro giorno inseguì Dafne, la Ninfa dei monti, sacerdotessa della Madre Terra e figlia del fiume Peneo di Tessaglia; ma quando l’ebbe raggiunta, Dafne invocò la Madre Terra che in un baleno la trasportò in Creta, dove essa divenne Pasifae. La Madre Terra fece poi crescere un lauro, là dove si trovava Dafne, e Apollo intrecciò una corona con le sue foglie per consolarsi.

Bisogna aggiungere che il tentativo di usare violenza a Dafne non fu fatto di impulso; da molto tempo Apollo l’amava e aveva provocato la morte del suo rivale Leucippo, figlio di Enomao, che si era travestito da fanciulla per unirsi a Dafne sulle pendici del monte. Apollo, scoperto l’inganno grazie all’arte divinatoria, consigliò le Ninfe montane di bagnarsi nude per accertarsi che il loro gruppo fosse composto di sole donne: l’inganno di Leucippo fu così scoperto, e le Ninfe lo fecero a pezzi.

Vi fu poi l’episodio del bel giovane Giacinto, un principe spartano, di cui si innamorarono non soltanto Tamiri (il primo uomo che concupì un individuo del suo sesso) ma anche Apollo, il primo dio che fece altrettanto. Per Apollo, Tamiri non fu un rivale pericoloso; saputo infatti che egli si vantava di superare le Muse nel canto. Apollo riferì tali parole alle Muse stesse, che subito privarono Tamiri della vista, della voce e della memoria. Ma anche il Vento dell’Ovest si era invaghito di Giacinto e divenne pazzamente geloso di Apollo; questi stava un giorno insegnando al fanciullo come si lancia un disco, quando il Vento dell’Ovest fermò il disco a mezz’aria e lo mandò a sbattere contro il cranio di Giacinto, uccidendolo. Dal suo sangue nacque il fiore del giacinto, su cui si vedono le lettere iniziali del suo nome.

Apollo attirò su di sé la collera di Zeus soltanto una volta, dopo il famoso complotto organizzato dagli dei per detronizzarlo. Ciò accadde quando il figlio del dio, Asclepio il medico, ebbe l’ardire di risuscitare un uomo morto, privando così Ade di un suddito; Ade naturalmente se ne lagnò in Olimpo; Zeus uccise Asclepio con una folgore e Apollo per vendicarsi uccise i Ciclopi. Zeus, furibondo al vedere sterminata la sua guardia del corpo, avrebbe esiliato per sempre Apollo nel Tartaro se Latona non ne avesse implorato il perdono, assicurandogli che da quel giorno in poi Apollo si sarebbe emendato. La sentenza fu ridotta a un anno di lavori forzati che Apollo scontò pascolando le greggi di re Admeto di Pere. Obbedendo ai consigli di Latona, il dio non soltanto accettò umilmente il verdetto, ma colmò Admeto di favori.

Ammaestrato dall’esperienza, Apollo in seguito predicò la moderazione in ogni cosa: le frasi: «Conosci te stesso» e «Nulla in eccesso» erano sempre sulle sue labbra. Indusse le Muse ad abbandonare la loro sede sul monte Elicona per trasferirsi a Delfi, domò la loro furia selvaggia e insegnò loro a intrecciare danze decorose e garbate.

Il mito di Apollo riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

 

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Recensione: Apollo – La divina bellezza

Recensione: Apollo – La divina bellezza

Dal risvolto di copertina: “Tra gli dèi greci, Apollo rappresenta la bellezza della gioventù nel suo pieno splendore: perciò essendo il più bello degli dèi è anche – come diceva Walter Otto – il più greco degli dèi. Apollo è l’efebo (o kouros) divino, e simboleggia il pieno fiorire della vita. Il Neoclassicismo vide in Apollo, e nella sua serena bellezza, il rappresentante della religione greca nel suo aspetto più luminoso, in quanto dio della musica, dell’arte, del senso della misura e della razionalità. Anche Nietzsche prese Apollo a simbolo di quel carattere razionale e solare che secondo la sua prospettiva costituisce uno dei poli dello spirito greco – l’altro sarebbe rappresentato da Dioniso, dio dei misteri e dell’irrazionale – : egli vide in Apollo “il limite dell’equilibrio, la difesa dalle eccitazioni brutali, la calma sapiente del dio artista”.

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Una caratteristica particolare della religione greca fu di cercare il divino non nella giustizia o nella bontà o nell’eternitâ di Dio, ma nella bellezza. Gli dèi greci sono belli, straordinariamente ed eternamente belli, e sono anche antropomorfi. Potremmo ben dire che ci vuole molto coraggio spirituale per immaginarli così, al di sopra delle tragedie della vita, e pensare che in certi momenti l’essere umano, nel suo attimo di maggiore bellezza, si avvicini a un dio.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla fortuna del mito nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Apollo è curato da Giuseppe Zanetto, professore di Letteratura greca presso l’Università degli Studi di Milano. I suoi ultimi volumi pubblicati.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Apollo.
Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Pinocchio e l’infanzia dell’uomo – Liberamente – mercoledì 27 febbraio 2019

Pinocchio e l’infanzia dell’uomo – Liberamente – mercoledì 27 febbraio 2019

Pinocchio e l’infanzia dell’uomo – Liberamente RSI RETE UNO – mercoledì 27 febbraio 2019

Carlo Collodi è il padre di uno dei libri più noti ed amati che siano mai stati dati alle stampe. Le avventure di PinocchioStoria di un burattino è apparso per la prima volta a puntate nel 1881 ma ancora oggi ogni anno si aggiungono versioni teatrali, cinematografiche e fumetti. Qual è dunque il segreto del suo immenso e secolare successo? Facendo un tuffo nella nostra infanzia andremo a zonzo nel Paese dei Balocchi, all’Osteria del Gambero Rosso o nel ventre del pesce-cane accompagnati dai nostri ospiti Andreas Barella, Dr. Phil. I all’università di Zurigo e studioso di mitologia comparata che parlerà del suo rapporto con la storia del burattino e dei rimandi archetipici all’Odissea, Laura di Corcia poetessa e giornalista, Maddalena Moccetti, libraia specializzata in letteratura per l’infanzia, il Professor Roberto Ritter, già ispettore scolastico e oggi responsabile della formazione docenti; al telefono raggiungeremo Piero Dorfles, giornalista e critico letterario autore di “Le palline di zucchero della Fata Turchina” per Garzanti. Trasmissione condotta da Rossana Maspero e Elizabeth CamozziPrima parte della trasmissioneSeconda parte della trasmissione.

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Recensione: Dioniso – L’esaltazione dello spirito

Recensione: Dioniso – L’esaltazione dello spirito

Dioniso è e rimane il dio che porta l’uomo al di fuori di se stesso: è il dio delle danze estatiche durante le quali le sue fedeli, le Menadi, danzano fino a perdere la coscienza, entrano in trance e in quello stato sperimentano che nel loro corpo esiste qualcosa di possente e divino: l’estasi, l’ex-stasi (“via da quello che si conosce”) si manifesta dentro e intorno a loro. Dioniso non è però il dio che scatena la follia nelle persone, è un dio folle lui stesso. Il che vuole dire che in certe forme di pazzia è compresa l’estasi divina, vi è una manifestazione degli dèi. Quella di Dioniso è una follia sacra, che permette di dimenticare i dolori e uscire dal penoso limite che ogni essere umano vive: rinchiuso nel proprio corpo, nella propria mente, separato dagli altri esseri umani, dalla natura, dal divino.

L’altra via, oltre alle danze, alla follia manifestata tramite il corpo, che Dioniso offre agli esseri umani, è l’oblio causato dal vino, dall’inebriante bevanda da lui inventata. Se da una parte, quindi, è un dio che divide la società, dall’altra la unisce grazie all’opera civilizzatrice dell’addomesticamento della vite e della produzione del vino. Uscire dai propri schemi e poi ritornarvi: sembrano queste le caratteristiche di Dioniso, che trovano il loro culmine nell’altra invenzione ideata dal dio e donata agli esseri umani: il teatro.

Nel secondo volume della Collana Grandi Miti Greci del Corriere della sera, si narra il mito di Dioniso con le sue mille sfaccettature, e si fornisce molto materiale interessante a chi vuole approfondire il passaggio attraverso i secoli di questo “dio popolare” che non risiede sull’Olimpo, ma si mescola con noi umani. E che addirittura sposa un’umana: Arianna, abbandonata a Nasso da Teseo. Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene infatti anche approfondimenti sulla fortuna del mito nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura, pittura, teatro, cinema. Inoltre, vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. L’Autore del volume è Robero Mussapi: un poeta e drammaturgo, autore di saggi e di traduzioni da autori classici e contemporanei. Nato a Cuneo nel 1952, vive e lavora a Milano.

Breve introduzione al dio Dioniso
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Dioniso: breve introduzione

Dioniso: breve introduzione

Le Menadi danzano le melodie del dio Dioniso

Originariamente Dioniso fu un dio arcaico della vegetazione, legato alla linfa vitale che scorre nelle piante. In seguito fu identificato come dio dell’estasi, del vino, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi; venne quindi a rappresentare l’essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire, lo spirito divino di una realtà smisurata, l’elemento primigenio del cosmo, l’irruzione spirituale della zoé greca, ossia l’esistenza intesa in senso assoluto, la frenetica corrente di vita che tutto pervade.

Dio “ibrido” dalla multiforme natura maschile e femminile, animalesca e divina, tragica e comica, Dioniso incarna, nel suo delirio mistico, la scintilla primordiale e istintuale presente in ogni essere vivente; che permane anche nell’uomo civilizzato come sua parte originaria e insopprimibile, e che può riemergere ed esplodere in maniera violenta se repressa e non elaborata correttamente.

Dioniso viene spesso rappresentato nelle arti come vestito di pelle di leopardo o pantera (pardalide), trionfante su di un carro assieme alla sua compagna Arianna, solitamente accompagnato da un corteo chiamato tiaso e composto dalle sue sacerdotesse (dette menadi o baccanti, donne in preda a frenesia estatica e invasate dal dio), bestie feroci, satiri e sileni. Care al dio erano le piante della vite (da cui il legame con il vino e la vendemmia) e all’edera (in particolare alcune specie di edera, contenenti sostanze psicotrope e che venivano lasciate macerare nel vino). Uno dei suoi attributi era infatti il sacro tirso, un bastone nodoso avvolto da edera e pampini e sormontato da una pigna; altro suo attributo è il kantharos, una coppa per bere caratterizzata da due alte anse che si estendono in altezza oltre l’orlo.

Veniva identificato a Roma con il dio Bacco, con il Fufluns venerato dagli Etruschi e con la divinità italica Liber Pater, ed era soprannominato lysios, “colui che scioglie” l’uomo dai vincoli dell’identità personale per ricongiungerlo all’originarietà universale. Nei misteri eleusini veniva identificato con Iacco. Altro epiteto con cui veniva chiamato è Bromio, usato anche da Euripide ne Le Baccanti, da βρόμος, “fragore”, “fremito”, perché secondo il mito il dio era stato generato in mezzo ai fragori del tuono dalla madre Semele colpita dal fulmine, o perché l’ebbrezza del vino produce fremito e furore.

Strettamente legato alle origini del teatro, Dioniso è il dio della mitologia greca di maggior fortuna nella cultura contemporanea, in particolare nel Novecento, dopo che il filosofo Friedrich Nietzsche, nella Nascita della tragedia, ha creato la categoria estetica del dionisiaco – emblema delle forze naturali, vitalistiche e irrazionali – contrapponendola a quella dell’apollineo.

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