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Il mito di Ettore – L’addio ad Andromaca e Astianatte alle Porte Scee

Il mito di Ettore – L’addio ad Andromaca e Astianatte alle Porte Scee

Il racconto del mito di Ettore è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 24: Ettore – L’eroe e la sua sposa.

Ettore si slanciò fuori di casa, giù verso le strade ben costruite. Passato attraverso la grande città, giunse alle porte Scee, da cui doveva incamminarsi verso il pianoro; qui la sposa dai ricchi doni a lui venne incontro, correndo, Andromaca figlia del magnanimo Eezìone, quell’Eezìone che abitava sotto il Placo boscoso a Tebe Ipoplacia, signore di genti cilice; e la sua figlia appartiene ad Ettore dall’elmo bronzeo. Gli andò incontro, con lei l’ancella con in braccio il bimbo, piccolo, dal cuore ingenuo, figlio prediletto di Ettore, una candida stella. Il padre lo chiamava Scamandrio, ma gli altri Astianatte, perché Ettore solo era il difensore dell’alta Troia. Sorrise Ettore nel vederlo, e tacque. Ma bagnata da un pianto dirotto Andromaca si accostò al marito, gli strinse la mano, e per nome con dolce dire, chiamandolo proruppe: «Sventurato, il tuo coraggio ti ucciderà! Nessuna pietà provi per il figlio, né per me, crudele, per me che vedova infelice resterò tra non molto, perché tutti raccolti insieme gli Achei contro te solo si scaglieranno per trucidarti; e a me sarebbe meglio, se mi sei tolto, andare sottoterra. Una volta priva di te, che altro può restarmi se non perpetuo pianto? Io sono orfana del padre, e della madre. Mi uccise il padre Achille spietato, il giorno in cui egli distrusse Tebe l’eccelsa popolosa città dei Cilici: il crudele mi uccise Eezìone. Ma non osò spogliarlo, preso nel cuore da un terrore divino. Quindi compose la sua salma sul rogo con tutte le armi, un tumulo gli alzò che le figlie dell’Egìoco Giove – Oreadi pietose – incoronarono di olmi. Di ben sette fratelli si gloriava, superba, la mia casa. In un solo giorno le loro anime furono sospinte all’Ade uccise da Achille, piede veloce, li trafisse accanto ai buoi dal cupo muggito, e alle candide pecore. Mi restava solo la madre regina della boscosa Ipoplaco. Il vincitore con ricco bottino la condusse qui, e poi dietro largo riscatto la pose in libertà. Ma questa pure, me sventurato, nelle paterne stanze fu trafitta dallo strale d’Artemide.

Or mi resti tu soltanto, Ettore caro: tu per me sei padre, madre, fratello, sei il mio fiorente sposo. Abbi dunque pietà di me e fermati qui con me, a questa torre né desiderare che sia vedova la consorte, orfano il figlio. Raduna i tuoi guerrieri presso il caprifico, dove il nemico scoprì un varco più diretto verso la città e agevole è lo scalare delle mura. O che quel varco l’abbia mostrato agli Achei un indovino, o che ve gli abbia spinti il proprio coraggio, ti basti questo: che qui i più forti già vennero tre volte, i migliori per coraggio, ambo gli Aiaci, ambo gli Atridi, e il chiaro sovrano di Creta ed il fatale figlio di Tidèo». Le rispose allora Ettore: «Dolce sposa, tutto ciò che hai detto affligge il mio pensiero; ma dei Troiani io temo fortemente l’offesa, e dell’altere donne troiane, se mi tenessi in disparte, ed evitassi lo scontro in battaglia, come guerriero codardo. Il mio cuore non consente di fare ciò. Già da molto tempo imparai a esser forte, sempre, e a primeggiare negli aspri combattimenti, procurando gloria a me stesso e al padre. Verrà un giorno, lo presagisco nel cuore, verrà un giorno in cui il sacro muro di Ilio, e Priamo, e tutta la sua gente cadrà. Ma né il dolore dei Troiani né quello d’Ecuba stessa, né del padre antico, né dei fratelli, che molti e valorosi distesi cadranno nella polvere sotto le spade nemiche, non mi affligge, o donna, nessuno di questi dolori quanto quello per il tuo destino crudele, se accadrà che qualche Acheo, magari con lo scudo ancora lordo di sangue, ti rapisca piangente in schiavitù. Sventurata, in Argo agli ordini supponenti di una straniera tesserai le tele; dalle fonti di Messíde o d’Iperéa (sprezzante, non volente, ma dal fato costretta), alla padrona superba recherai l’acqua. E vedendo qualcuno piovere il pianto dalle tue ciglia, dirà: “Quella è d’Ettore la nobile consorte, di quel prode Ettore che fra i Troiani domatori di cavalli era il  primo degli eroi quando si combatteva intorno a Ilio.” Così sarà detto da qualcuno; e allora tu di nuovo dolore con anima trafitta, più viva in petto sentirai la brama di tale marito a sciogliere le tue catene. Ma prima morto la terra mi ricopra, che io oda i tuoi lamenti pietosi, una volta fatta schiava». Dopo aver detto ciò, distese le braccia aperte al caro figlio, e acuto mandò un grido il bambino, e reclinato il volto, lo nascose nel seno della nutrice, spaventato dalle tremende armi del padre e dal cimiero che orribilmente ondeggia di crini di cavallo sulla sommità dell’elmo. Sorrise il padre, sorrise anche lei, la madre veneranda; e colmo di tenerezza, l’eroe subito si tolse l’elmo splendente dalla fronte, e lo pose in terra. Quindi, baciato con immenso affetto il figlio, palleggiatolo dolcemente tra le mani, lo alzò al cielo, e supplice esclamò: «Giove pietoso e voi tutti, o dei celesti, concedete che degno di me un giorno questo mio figlio sia lo splendore della patria, e diventi forte e potente sovrano dei Troiani. Vi prego: fate sì che qualcuno, vedendolo tornare dalla battaglia recando le crude armi dei nemici uccisi, dica: “Non fu così forte il padre!”; e il cuore della madre, nell’udirlo, esulti».

Così dicendo, pose il figlio in braccio all’amata sposa; ed ella lo raccolse nel seno profumato, sorridendo nel pianto. Addolorato nel cuore da struggente tenerezza, il marito si trattenne a guardarla, l’accarezzò con la mano, le disse: «Mia diletta, ti prego oltre misura: non rattristarti a causa mia. Nessuno mi spingerà da Plutone se il momento estremo non è ancora giunto. E nessuno al mondo, pusillanime o temerario, si sottrae al fato. Adesso torna a casa, dedicati ai tuoi lavori, alla spola, al fuso, e veglia sull’operato delle ancelle; e a noi, quanti nascemmo fra le mura di Ilio – e a me per primo – lascia i doveri della dura guerra». Finito di parlare, Ettore generoso raccolse l’elmo da terra, e la donna amata, silenziosa, riprese la via verso casa, guardandosi indietro, piangendo amaramente. Giunta alla casa di Ettore, trovò le ancelle, e le commosse al pianto. Compativano tutte Ettore, nonostante fosse ancora vivo, nella sua stessa casa, le donne addolorate, poiché prive della speranza di rivederlo reduce dalla battaglia, scampato dalle fiere mani dei forti Achei. (Libera traduzione dal Canto VI dell’Iliade di Omero) 

Il piano dell’opera “Grandi Miti Greci” e recensioni agli altri volumi.

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Recensione: Ettore – L’eroe e la sua sposa

Recensione: Ettore – L’eroe e la sua sposa

“Zeus e voi divinità del cielo, fate che questo mio figlio sia come me, valoroso e forte, che si distingua fra i Troiani, che regni sovrano su Ilio. E vedendolo tornare dalla battaglia un giorno qualcuno dirà: ‘È molto più forte del padre’.” (Omero, Iliade, Canto VI)

Dal risvolto di copertina: “Ettore il guerriero, il marito, il padre, una delle figure più emblematiche dell’Iliade. Il mondo si è diviso a metà: chi parteggia per Achille, chi per Ettore. Un’insuperabile dicotomia: da una parte l’eroe forte, implacabile, dall’origine divina; dall’altra parte, il valoroso, compassionevole principe troiano, umano in ogni sua parte. Figlio di Priamo, marito di Andromaca, a cui dice addio in uno dei libri più coinvolgenti del poema, padre di Astianatte che, secondo una versione del mito, verrà ucciso proprio dal figlio di Achille, Neottolemo. Un duello che sembra non avere fine nella storia. E ancora Andromaca, moglie adorata, personaggio amato dalla letteratura, dalle arti figurative e dalla musica, la cui circolare vita – dall’Asia Minore venne mandata a Troia per dare una discendenza a Ettore, e in Asia Minore ritornerà alla fine dei suoi giorni – forse darà un senso alla dolorosa fine di Ettore.”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Ettore è gagliardo, coraggioso, implacabile: ‘massacratore’, dice di lui Omero. È l’opposto di Achille, che combatte solo in nome della sua gloria. Ettore combatte invece per se stesso e per gli altri: per la moglie Andromaca e il figlio Astianatte in primo luogo; poi per il padre e per la città.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume su Ettore è curato da Monica Tondelli, docente di greco e latino al liceo classico. Qui gli ultimi volumi pubblicati.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito di Ettore
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Il mito delle Sirene

Il mito delle Sirene

Il racconto del mito delle Sirene collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 23: Le Sirene – Incanto e seduzione.

Dopo essere uscito dall’Ade, Odisseo ritornò a Eea, dove Circe lo accolse sorridendo: “Quale ardire hai mostrato visitando la terra di Ade!” disse. “Una sola morte spetta alla maggior parte degli uomini, ma tu ora ne avrai due!” Lo avverti poi che sarebbe passato presso l’Isola delle Sirene, le cui belle voci incantano i marinai. Codeste figlie di Acheloo o di Forci e della Musa Tersicore o Sterope, figlia di Portaone, avevano volti di fanciulle ma zampe e piume d’uccello, e a proposito di questa loro caratteristica si raccontano varie storie: a esempio, che esse stavano giocando con Core quando Ade la rapì e che Demetra, irata perché non erano accorse in aiuto di sua figlia, fece spuntare penne sui loro corpi e ordinò: “Andate a cercare Core in tutto il mondo!” Oppure che Afrodite le trasformò in uccelli perché orgogliosamente rifiutavano di sacrificare la loro verginità a dèi o a uomini mortali. Non avevano più la possibilità di volare dal giorno in cui le Muse le avevano sconfitte in una gara di canto, strappando poi loro le ali per farsene delle corone. Ora sedevano cantando in un prato, tra le ossa sbiancate dei marinai che avevano trascinato alla morte.

“Tura con cera le orecchie dei tuoi uomini”, consigliò Circe a Odisseo, “e se davvero sei curioso di udire i canti delle Sirene fatti legare dai marinai all’albero maestro e inducili a giurare di non scioglierti, per quanto tu li supplichi o li minacci”. Quando Odisseo si congedò da lei, Circe lo mise in guardia contro altri pericoli che lo attendevano e infine egli salpò, di nuovo favorito dal vento. Non appena la nave si avvicinò all’Isola delle Sirene, Odisseo seguì il consiglio di Circe; le Sirene cantavano in modo così suadente, promettendogli la possibilità di prevedere tutto ciò che sarebbe accaduto sulla terra, che Odisseo minacciò di morte i marinai se non lo avessero liberato.

Ma, fedeli alla consegna, essi invece rafforzarono le corde che assicuravano Odisseo all’albero maestro. Così la nave doppiò l’isola senza che nessuno scendesse a terra e le Sirene, per la rabbia, si uccisero. Taluni credono che vi fossero soltanto due Sirene; altri, che ve ne fossero tre e cioè Partenope, Leucosia e Ligea; oppure Pisinoe, Aglaope e Telsepea; oppure Aglaofone, Telsiope e Molpa. Altri ancora ne citano quattro: Telete, Redna, Telsiope e Molpa.

ll mito delle Sirene, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Recensione: Le Sirene – Incanto e seduzione

Recensione: Le Sirene – Incanto e seduzione

“Devo essere una sirena. Non ho paura delle profondità e ho una gran paura della vita superficiale.” (Anais Nin, Le quattro stanze del cuore)

Dal risvolto di copertina: “Le Sirene sono fra le più affascinanti ed enigmatiche figure dell’immaginario collettivo. La loro presenza in uno dei più celebri episodi dell’Odissea le colloca nel cuore del sistema mitico del mondo antico. La loro ibrida natura (di donne-uccello prima e di donne-pesce poi) le rende temute e rispettate creature che marcano il passaggio fra il mondo culturale e il mondo altro. Dotate di conoscenza speciale, ma anche mostri micidiali che annientano e divorano chi cede al loro canto, divengono nel cristianesimo una rappresentazione del richiamo sessuale che può condurre alla perdizione. La loro immagine, segnata da una latente misoginia, diventa nel romanticismo un’espressione della femme fatale che mina gli equilibri sociali. Nel Novecento viene invece rielaborata, in chiave per lo più giocosa, dal cinema e dall’industria dell’intrattenimento per poi insinuarsi nei meandri della società postmoderna, della cui liquidità diventa un simbolo”

Dall’introduzione di Giulio Guidorizzi: “Alcuni narrano che in origine le Sirene erano state graziose fanciulle, amiche di Persefone; quando Ade rapì la ragazza, Demetra si adirò con le sue compagne che non avevano saputo difenderla e le trasformò in uccelli. Non erano immortali, un giorno morirono di una fine tragica e violenta. Avevano ricevuto la profezia che sarebbero morte quando un navigante fosse riuscito a passare indenne accanto alla loro isola, sopravvivendo al loro canto malioso. Così dopo che Ulisse le ebbe beffate, si uccisero precipitandosi in mare. Omero descrive minuziosamente l’isola delle Sirene: davanti agli occhi stupefatti dei marinai compaiono prati ameni pieni di fiori, ma dietro si nascondono le ossa marcite degli uomini che si lasciarono incantare dal canto e furono uccisi. Ma cosa cantavano queste misteriose creature per incantare i marinai? Nessuno lo seppe mai dire, nemmeno Ulisse.”

Oltre alla narrazione del mito, il volume contiene anche approfondimenti sulla sua fortuna nel corso dei secoli, in tutte le forme artistiche: letteratura (con una ricca antologia di testi classici sul mito), pittura, teatro, cinema. Inoltre vi è una tavola genealogica, e un ricco apparato bibliografico e sitografico. Il volume sulle Sirene è curato da Marxiano Melotti, professore di di Sociologia dei processi culturali e Sociologia del turismo all’Università Niccolò Cusano di Roma. Qui gli ultimi volumi pubblicati.

L’intera collana di trenta volumi è a cura di Giulio Guidorizzi. Guidorizzi è grecista, traduttore, studioso di mitologia classica e antropologia del mondo antico. Ha scritto numerosi libri sulla mitologia. Noi vi consigliamo, per iniziare, il suo bellissimo Il mito greco (in due volumi, usciti nel 2009 e nel 2012). Qui una lista di suoi volumi sul mito greco.

Il racconto del mito delle sirene
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Il mito di Poseidone

Il mito di Poseidone

Il racconto del mito di Poseidone è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 22: Poseidone – La forza del profondo.

Quando Zeus, Poseidone e Ade, dopo aver deposto il padre loro Crono, estrassero a sorte delle tessere da un elmo per stabilire chi dovesse essere signore del cielo, del mare e dell’oscuro oltretomba, mentre la terra sarebbe stata dominio di tutti, a Zeus toccò il cielo, ad Ade l’oltretomba e a Poseidone il mare. Poseidone, che è pari a suo fratello Zeus per dignità, se non per potere, e ha un carattere cupo e litigioso, subito si accinse a costruire un palazzo subacqueo al largo di Egea, in Eubea. Nelle sue stalle spaziose albergano bianchi cavalli con zoccoli di bronzo e criniere d’oro, e un aureo cocchio al cui apparire subito cessano le tempeste, mentre mostri marini emergono dalle onde e gli fanno da scorta.

Poiché gli occorreva una moglie che si trovasse a suo agio negli abissi marini, Poseidone corteggiò Teti la Nereide; ma quando seppe che, secondo una profezia, il figlio nato da lei sarebbe stato più famoso di suo padre, rinunciò a sposarla e lasciò che si unisse a un mortale chiamato Peleo. Posò poi gli occhi su Anfitrite, un’altra Nereide, che sdegnò le sue proposte e si rifugiò sul monte Atlante; ma Poseidone le inviò messaggeri, e tra questi un certo Delfino, che perorò la causa di Poseidone con tanta efficacia da indurre Anfitrite al consenso. Subito si fecero i preparativi per le nozze e Poseidone, grato a Delfino, ne immortalò l’immagine tra le stelle del firmamento. Anfitrite diede a Poseidone tre figli: Tritone, Roda e Bentesicima; ma come già era accaduto a Era per colpa di Zeus, Poseidone fece molto soffrire la moglie intrecciando amori con dee, ninfe e donne mortali. Anfitrite si ingelosì soprattutto di Scilla, figlia di Forcide, e gettando erbe magiche nella fontana dove la fanciulla si bagnava, la trasformò in un latrante mostro dalle sei teste e dodici zampe.

Poseidone si mostrò sempre avido di assicurarsi regni sulla terra, e un giorno avanzò pretese sull’Attica scagliando il suo tridente nell’acropoli di Atene, dove subito si aprì un pozzo d’acqua marina che ancora si vede: quando soffia il vento del sud si può sentire il remoto fragore della risacca. In seguito, durante il regno di Cecrope, Atena prese possesso dell’Attica in modo più gentile, piantando un olivo accanto al pozzo. Poseidone, furibondo, la sfidò a duello, e Atena avrebbe accettato se Zeus non si fosse interposto nella disputa ordinando che i due dèi si rimettessero al suo giudizio. Poseidone e Atena si presentarono dunque al tribunale divino, composto da tutte le divinità olimpiche, che invitarono Cecrope a deporre come testimone. Zeus non espresse il proprio parere, ma mentre tutti gli dèi appoggiavano le pretese di Poseidone, tutte le dee si schierarono dalla parte di Atena. E così, per un voto di maggioranza, Atena ottenne di governare sull’Attica, poiché aveva fatto a quella terra il dono migliore. Poseidone, furibondo, allagò con onde immense la pianura triasia, dove sorgeva Atene, la città di Atena, e la dea si trasferì allora alla futura Atene; chiamò così anche questa dal suo nome. Per placare l’ira di Poseidone, le donne ateniesi rinunciarono al diritto di voto e fu proibito agli uomini di portare il nome delle loro madri, come era stata usanza fino a quel tempo.

Poseidone contese ad Atena anche il possesso di Trezene, e in tale occasione Zeus impose che la città fosse divisa equamente tra i due, ma né l’uno né l’altra ne furono soddisfatti. In seguito, Poseidone cercò invano di strappare Egina a Zeus e Nasso a Dioniso; e quando vantò pretese su Corinto, la città di Elio, ottenne soltanto l’Istmo, mentre Elio fu ricompensato con l’acropoli della città. Esasperato, tentò di impossessarsi dell’Argolide, dominio di Era, ed era di nuovo pronto a battersi, rifiutando di comparire dinanzi al concilio degli olimpi che, diceva, gli erano tutti ostili. Zeus allora affidò il giudizio agli dèi-fiumi Inaco, Cefiso e Asterione, che si dichiararono in favore di Era. Poiché gli era stato proibito di vendicarsi con un’inondazione, Poseidone fece esattamente il contrario: disseccò i fiumi degli dèi che l’avevano giudicato, tanto che durante l’estate essi non scorrono più nel loro letto. Per amore di Amimene, una delle Danaidi che più ebbero a soffrire per quella siccità, concesse tuttavia che il fiume Lerna scorresse in perpetuo.

Poseidone si vanta di aver creato il cavallo, benché, come taluni sostengono, quando egli era ancora in fasce, Rea avesse già dato in pasto a Crono uno di questi animali; e di aver inventato le briglie, benché questa invenzione sia da attribuirsi ad Atena; ma nessuno può negargli il merito di aver istituito le corse con i cocchi. È certo che i cavalli sono sacri a Poseidone, forse per via di quel che accadde quand’egli, spinto dall’amore, inseguì Demetra che cercava disperatamente sua figlia Persefone. Si narra che Demetra, stanca e scoraggiata dopo tanto errare, non volendo unirsi con un dio o con un titano, si trasformò in giumenta e cominciò a pascolare tra gli armenti di un certo Onco, figlio di un figlio di Apollo, che regnava a Onceo in Arcadia. Essa non riuscì, tuttavia, a trarre in inganno Poseidone, che si trasformò a sua volta in stallone e la coprì, e da quella orrenda unione nacquero la ninfa Despena e il cavallo Arione. Il furore di Demetra fu tale che in Arcadia ancora la si onora come “Demetra la Furia”.

ll mito di Poseidone, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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