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Brevi descrizioni di dee e dèi delle varie mitologie.

Il mito di Eracle (Parte 5 di 11): Esione, figlia di Laomedonte

Il mito di Eracle (Parte 5 di 11): Esione, figlia di Laomedonte

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Eracle (Parte 4 di 11): Onfale la regina della Lidia

Dopo aver servito come schiavo presso la regina Onfale, Eracle ritornò a Tirinto, ormai del tutto sano di mente, e subito organizzò una spedizione contro Troia. Ed ecco perché: Eracle e Telamone, durante il viaggio di ritorno dal paese delle Amazzoni, oppure quando sbarcarono con gli Argonauti a Sigeio, videro con stupore la figlia di Laomedonte, Esione, incatenata a una roccia sulla spiaggia di Troia, completamente nuda e con i soli gioielli indosso. Seppero poi che Poseidone aveva mandato un mostro marino per punire Laomedonte, reo di non aver pagato il compenso promesso a Poseidone stesso e ad Apollo quando lo aiutarono a innalzare le mura della città e si occuparono delle sue greggi. Taluni dicono che egli avrebbe dovuto sacrificare tutto il bestiame nato nel suo regno in quell’anno; altri, che aveva promesso agli dèi soltanto un modesto salario di manovali, ma anche così li aveva defraudati di più di trenta dracme troiane. Per vendicarsi Apollo scatenò una pestilenza e Poseidone ordinò a quel suo mostro di fare strage tra la popolazione e di danneggiare il raccolto rovesciando acqua marina sui campi. Secondo un altro racconto Laomedonte rispettò il patto stretto con Apollo, ma cercò di ingannare Poseidone che scatenò allora la pestilenza e la furia del mostro marino. Laomedonte si recò dall’oracolo di Zeus Ammone che gli consigliò di esporre Esione sulla spiaggia di Troia perché il mostro la divorasse. Ma il re ostinatamente si rifiutò di seguire tale consiglio, a meno che i nobili troiani non acconsentissero per i primi a sacrificare le loro figlie. Disperati, i nobili consultarono Apollo che, covando un rancore non meno violento di Posidone, diede loro ben poca soddisfazione. Molti genitori mandarono le figlie in altri paesi perché fossero al sicuro, ma Laomedonte cercò di costringere un certo Fenodamante, che aveva tenuto a casa le sue tre fanciulle, a esperie sulla spiaggia. Al che Fenodamante arringò l’assemblea, gridando che Laomedonte era l’unico responsabile delle loro sciagure, e lui solo doveva soffrire sacrificando la propria figlia. Alla fine fu deciso di estrarre a sorte le fanciulle, e toccò a Esione di essere legata alla roccia, dove Eracle la vide. Eracle la liberò dai ceppi, poi si recò in città e si offrì di uccidere il mostro in cambio di una coppia di incomparabili, immortali e candidi cavalli o cavalle, che potevano volare come il vento sull’acqua o sopra campi di spighe mature, e che Zeus aveva donato a Laomedonte come compenso per il ratto di Ganimede. E Laomedonte subito accettò le condizioni di Eracle.

Con l’aiuto di Atena, i Troiani costruirono per Eracle un alto muro che servì a nasconderlo dal mostro quando questi emerse dall’acqua e avanzò sulla terraferma. Appena si trovò dinanzi al muro, il mostro spalancò le fauci ed Eracle gli balzò nella gola, armato com’era. Passò tre giorni nel ventre del mostro e ne emerse vittorioso, benché l’aspra lotta gli fosse costata tutti i capelli che aveva in capo. Non si sa bene che cosa accadde in seguito. Alcuni dicono che Laomedonte diede Esione in isposa a Eracle ma tuttavia lo convinse a lasciare a Troia sia Esione sia le cavalle, mentre partiva con la spedizione degli Argonauti; e che dopo la conquista del Vello d’Oro si lasciò nuovamente dominare dalla cupidigia e rifiutò di consegnare a Eracle la sposa e le cavalle. Altri dicono che Laomedonte fece questo rifiuto un mese o due prima, quando Eracle venne a Troia in cerca di Ila. La versione più attendibile, tuttavia, è che Laomedonte ingannò Eracle sostituendo cavalle mortali alle immortali; allora Eracle minacciò di fare guerra a Troia e subito si imbarcò furibondo. Dapprima si recò all’isola di Paro, dove innalzò un altare a Zeus e ad Apollo; e poi all’Istmo di Corinto, dove profetizzò il triste fato di Laomedonte; infine reclutò un esercito nella città di Tirinto. Laomedonte, nel frattempo, aveva ucciso Fenodamante e venduto le sue tre figlie a certi mercanti siciliani venuti a comprare vittime da esibire nella lotta con le fiere; ma in Sicilia le fanciulle furono salvate da Afrodite; la maggiore, Egesta, si giacque col fiume Crimisso che prese la forma di un cane e le generò un figlio, Egeste, chiamato Aceste dai Latini. Codesto Egeste, con l’aiuto di un figlio bastardo di Anchise, Elimo, che egli aveva fatto venire da Troia, fondò le città di Egesta, più tardi chiamata Segesta; di Entella, così chiamata dal nome della moglie di Egeste; di Erice e di Asca. Altri invece dicono che Egesta ritornò a Troia e colà sposò un certo Capi che la rese madre di Anchise.

È ancora discusso se Eracle partì per Troia con diciotto lunghe navi da cinquanta remi ciascuna, oppure con una flottiglia di sei piccole navi ed esigue forze. Ma si sa che tra i suoi alleati erano lolao. Telamone figlio di Eaco, Peleo, l’argivo Ecleo e il beota Dimaco. Eracle aveva trovato Telamone a Salamina, intento a banchettare con i suoi amici. Subito gli fu offerta una aurea coppa di vino e Telamone lo invitò a libare a Zeus. Dopo aver libato. Eracle tese le braccia al cielo e così pregò: «O Padre, concedi a Telamone uno splendido figlio, con la pelle dura come quella del leone ed equivalente coraggio!» Tali parole egli disse perché aveva visto che Peribea, la moglie di Telamone, era sul punto di partorire. Zeus mandò allora un’aquila che si liberò nel ciclo ed Eracle assicurò a Telamone che la sua preghiera era stata esaudita. E infatti, non appena il banchetto fu terminato, Peribea diede alla luce il Grande Aiace ed Eracle lo avvolse nella pelle del leone, rendendolo invulnerabile, fuorché al collo e sotto le ascelle, due punti che la pelle non arrivò a coprire. Sbarcato nei pressi di Troia, Eracle lasciò Ecleo a guardia delle navi, mentre egli stesso guidava gli altri campioni all’assalto della città. Laomedonte, colto di sorpresa, non ebbe il tempo di radunare l’esercito, ma distribuì al popolo spade e torce e fece correre tutti verso la spiaggia per incendiare la flotta. Ecleo resistette sino alla morte, sacrificandosi nobilmente in un’azione di copertura mentre i suoi compagni mettevano le navi in mare e fuggivano. Laomedonte allora si precipitò di nuovo verso la città, e dopo una scaramuccia con le forze di Eracle, non ancora organizzate, riuscì a entrare nelle mura e si chiuse le porte alle spalle. Eracle, che non voleva indugiare in un lungo assedio, ordinò immediatamente un attacco. Il primo ad aprire una breccia nelle mura fu Telamone, che scelse il lato occidentale, costruito da suo padre Eaco, considerandolo il più debole; ma Eracle gli fu subito alle calcagna, pazzo di gelosia. Telamone, rendendosi conto all’improvviso che la spada di Eracle era puntata contro il suo petto, ebbe la presenza di spirito di chinarsi e raccogliere alcune grosse pietre rotolate giù dalle mura. «Ma che stai facendo?» tuonò Eracle. «Intendo costruire un altare per Eracle Vincitore e Risanatore!» rispose pronto Telamone. «Lascio a tè il compito di saccheggiare Troia», disse Eracle bruscamente a mo’ di ringraziamento, e corse avanti. Uccise con le sue frecce Laomedonte e tutti i suoi figli, tranne Podarce, il solo che avesse tentato di indurre il padre a consegnare a Eracle le immortali cavalle. Appagata la sua sete di vendetta. Eracle ricompensò Telamone concedendogli la mano di Esione, ed Esione a sua volta ebbe il permesso di riscattare uno dei suoi compagni prigionieri. Essa scelse Podarce. «Benissimo», disse Eracle, «ma prima dovrà essere venduto come schiavo». Podarce dunque fu messo in vendita ed Esione lo riscattò con il velo dorato che le ricopriva il capo; così Podarce si meritò il nome di Priamo, che significa «riscattato». Ma altri dicono che Priamo era ancora in fasce a quel tempo.

Dopo aver distrutto Troia con un incendio. Eracle mise Priamo sul trono e riprese il mare. Esione accompagnò Telamone a Salamina dove gli generò un figlio, Teuero, non si sa se come concubina o come legittima moglie. Più tardi essa lasciò Telamone, fuggì in Asia Minore e giunse a nuoto a Mileto, dove re Arione la trovò nascosta in un bosco. Colà essa diede alla luce un secondo figlio di Telamone, Trambelo, che re Arione allevò come se fosse suo, e in seguito lo elesse re dei parenti asiatici di Telamone, i Lelegi o, altri dicono, i Lesbi. Quando, nel corso della guerra diTroia, Achille conquistò Mileto, uccise Trambelo e troppo tardi seppe che egli era figlio di Telamone, cosa che gli provocò grande dolore. Taluni dicono che Ecleo non cadde a Troia, ma era ancora vivo quando le Erinni fecero impazzire suo nipote Alcrneone. Si mostra la sua tomba in Arcadia, presso il recinto megalopolitano di Borea. Eracle salpò poi dalla Troade portando con sé Glaucia, una figlia del fiume Scamandro. Durante l’assedio essa era stata l’amante di Dimaco, e quando Dimaco cadde in battaglia, si rivolse a Eracle per averne protezione. Eracle la prese a bordo della sua nave, lieto che la progenie di un così valoroso amico gli sopravvivesse; perché Glaucia era incinta, e in seguito diede alla luce un figlio chiamato Scamandro.

Ora, mentre il Sonno cullava Zeus sino a farlo assopire, Era ordinò a Borea di suscitare una tempesta che spinse Eracle fuori rotta, verso l’isola di Coo. Zeus si ridestò furibondo e minacciò di precipitare il Sonno giù nel golfo dell’Èrebo; ma il Sonno si rifugiò supplice nel grembo della Notte, che Zeus non osava contrariare. Scornato, cominciò allora a malmenare gli dei di tutto l’Olimpo. Taluni dicono che in quella occasione egli legò i polsi di Era a una trave e le chiuse le caviglie nei ceppi; poi scagliò Efesto sulla terra. Dato così pieno sfogo alla sua ira, prestò soccorso a Eracle e da Coo lo guidò verso Argo, dove l’eroe ebbe avventure in vario modo descritte. Taluni dicono che gli abitanti di Coo lo credettero un pirata e cercarono di impedire che la sua nave approdasse, scagliandovi contro delle pietre. Ma Eracle riuscì a sbarcare, si impadronì della città di Astipalea con un assalto notturno e uccise il re, Euripilo, figlio di Posidone e di Astipalea. L’eroe stesso fu ferito da Calcodonte, ma salvato da Zeus quando già si credeva spacciato. Altri dicono che Eracle attaccò Coo perché si era innamorato di Calciope, figlia di Euripilo. Secondo un altro racconto, cinque delle sei navi di Eracle si inabissarono nel corso della tempesta. L’unica nave scampata si sfasciò sulla spiaggia di Coo presso Lacela ed Eracle e i suoi compagni poterono salvare soltanto le armi. Mentre stavano strizzando le loro vesti inzuppate d’acqua salata, passò di lì un gregge ed Eracle chiese al pastore meropide, un certo Antagora, di donargli un ariete. Al che Antagora, che era forte e nerboruto, sfidò Eracle a una gara di lotta, offrendo di mettere un ariete in palio. Eracle accettò la sfida ma, quando i due lottatori si strinsero in un a corpo a corpo, gli amici di Antagora accorsero in suo aiuto e altrettanto fecero i Greci per Eracle, e subito ne seguì una zuffa generale. Sopraffatto dalla stanchezza e dal numero dei nemici. Eracle si rifugiò nella casa di una corpulenta matrona tracia, indossò le vesti di lei e riuscì così a salvarsi. Più tardi, quello stesso giorno, rinfrancato dal cibo e da un buon sonno. Eracle affrontò di nuovo i Meropì e li sconfisse; poi fu purificato dal loro sangue e, sempre indossando vesti femminili, sposò Calciope che lo rese padre di Tessalo. Sacrifici annuali si offrono ora a Eracle sulla pianura dove si combatté quella battaglia; e gli abitanti di Coo indossano vesti femminili quando accolgono in casa le loro spose; così pure il sacerdote di Eracle ad Antimachia, prima di compiere un sacrificio.

Le donne di Astipalea si considerarono offese da Eracle e lo insultarono, ed Era riconoscente diede loro delle corna, come se fossero vacche, in segno di onore; ma altri dicono che quelle corna furono una punizione inflitta da Afrodite, perché le donne di Astipalea avevano osato vantarsi di essere più belle della dea. Devastata l’isola di Coo e uccisi quasi tutti i Meropi, Eracle fu guidato da Atena a Flegra, dove aiutò gli dei a vincere la battaglia contro i Giganti. Di lì passò in Beozia dove, dietro sua insistenza, Scamandro fu eletto re. Scamandro diede il proprio nome al fiume Inaco, il nome di sua madre Glaucia a un vicino corso d’acqua e il nome di Acidusa, sua moglie, a una sorgente; da Acidusa egli aveva avuto tre figlie che ancora si onorano in quella località col nome di «Vergini».

Vai a: Il mito di Eracle (Parte 6 di 11): la conquista dell’Elide

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Il mito di Eracle (Parte 4 di 11): Onfale la regina della Lidia

Il mito di Eracle (Parte 4 di 11): Onfale la regina della Lidia

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Il mito di Eracle (Parte 3 di 11): la morte di Ifito

Eracle fu condotto in Asia e offerto in vendita come uno schiavo qualsiasi da Ermete, patrono di tutte le importanti transazioni commerciali e che in seguito consegnò agli orfani di Ifito il prezzo dell’acquisto: tre talenti d’argento. Eurito, tuttavia, caparbiamente proibì ai suoi nipoti di accettare quel compenso, dicendo che soltanto il sangue poteva pagare il sangue; e ciò che accadde del denaro soltanto Ermete lo sa. Come la Pizia aveva predetto. Eracle fu comprato da Onfale, regina di Lidia, una donna che aveva buon occhio in fatto di acquisti. E la servì fedelmente per un anno intero, oppure per tre, liberando l’Asia Minore dai banditi che la infestavano. Codesta Onfale, figlia di Giordano e, secondo certi autori, madre di Tantalo, aveva ereditato il regno dal suo sventurato marito Tmolo, figlio di Are e di Teogone. Mentre cacciava sul monte Carmanorio, così chiamato in onore di Carmanore, figlio di Dioniso e di Alessirroe, che fu ucciso lassù da un cinghiale selvatico, Tmolo si innamorò della cacciatrice Arippe, una casta sacerdotessa di Artemide. Arippe, sorda alle minacce e alle lusinghe di Tmolo, si rifugiò nel tempio della sua signora dove, incurante della santità del luogo, il re la violentò sul giaciglio della dea stessa. Arippe si impicco a una trave, dopo aver invocato Artemide che subito scatenò la furia di un toro; Tmolo fu lanciato in aria, ricadde su una palizzata appuntita e su ciottoli taglienti e morì tra atroci sofferenze. Teoclimeno, il figlio che egli aveva avuto da Onfale, lo seppellì là dove l’aveva trovato, e chiamò «Tmolo» il monte. Una città dello stesso nome, costruita sulle sue pendici, fu distrutta da un grande terremoto durante il regno dell’imperatore Tiberio.

Tra le molte imprese minori compiute da Eracle durante la sua schiavitù vi fu la cattura dei due Cercopi Efesini, che da tempo gli impedivano di dormire. Essi erano due fratelli gemelli chiamati Passalo e Acmone, oppure Olo ed Euribate, oppure Sillo e Triballo. Figli di Oceano e di Tia, e i più raffinati ladri e impostori che l’umanità abbia mai conosciuto, essi vagavano qua e là per il mondo, sempre pronti ad architettare nuove burle. Tia li aveva ammoniti di stare alla larga da Eracle, e poiché la sua frase: «Miei cari sederini bianchi, ancora non sapete chi sia il grande sedere nero» divenne proverbiale, «sederino bianco» ora significa «codardo, meschino, oppure lascivo». Essi si accanirono a ronzare attorno al letto di Eracle sotto forma di mosconi, finché una sera egli li agguantò, li costrinse ad assumere il loro vero aspetto e li appese a testa in giù a una pertica che portava sulla spalla. Ora il sedere di Eracle, che la pelle del leone non copriva, era divenuto nero come cuoio vecchio perché bruciato dai raggi del sole e dal fiato infuocato di Caco e del toro cretese; e i Cercopi scoppiarono in una risata irresistibile quando, appesi com’erano a testa in giù, se lo videro dinanzi agli occhi. La loro ilarità sorprese Eracle, ma quando ne seppe la ragione sedette su una pietra e rise a sua volta così di cuore che i gemelli lo convinsero a lasciarli in libertà. Benché vi sia una nota città asiatica chiamata Cercopia, il rifugio dei Cercopi e una roccia chiamata «sedere nero» si mostrano presso le Termopili; è dunque probabile che questo episodio si sia verificato in un’altra occasione. Taluni dicono che i Cercopi furono poi tramutati in pietra perché tentarono di burlarsi di Zeus; e altri ancora, che Zeus punì la loro insolenza trasformandoli in scimmioni dal lungo pelo giallastro e confinandoli nell’isola italiana chiamata Pitecusa.

In una stretta gola della Lidia viveva un certo Sileo, che catturava gli stranieri di passaggio e li costringeva a zappare la sua vigna. Ma Eracle gli sradicò tutte le viti. Quando poi i Lidi di Itone cominciarono a fare incursioni nel regno di Onfale, Eracle ricuperò il bottino e rase al suolo la loro città.  A Celene viveva il contadino Litierse, un bastardo di re Minosse, che offriva ospitalità ai viandanti, ma poi li costringeva a misurarsi con lui in una gara di mietitura. Se le forze venivano loro meno, li frustava e la sera, dopo aver vinto la prova, li decapitava e ne celava i corpi tra i covoni, cantando lugubri inni. Eracle si recò a Celene per portare aiuto al pastore Dafni, un figlio di Ennete, che dopo aver vagato per tutto il mondo alla ricerca della sua diletta Pimplea, rapita dai pirati, la trovò infine tra le schiave di Litierse. Dafni fu sfidato alla gara di mietitura, ma Eracle prese il suo posto e vinse: decapitò allora Litierse con una falce e gettò il suo cadavere nel fiume Meandro. Quanto a Dafni, non soltanto poté unirsi alla sua Pimplea, ma Eracle donò loro anche la terra di Litierse, come dote. In onore di Litierse, i falciatori frigi cantano ancora un funebre inno agreste che assomiglia molto all’inno in onore di Manero, figlio del primo re egiziano e anch’esso morto al momento del raccolto.
Infine, presso il fiume Sagari in Lidia, Eracle uccise con una freccia un gigantesco serpente che faceva strage di uomini distruggendo le messi. E Onfale, gratissima a Eracle, avendone finalmente scoperto l’identità e i natali, gli ridiede la libertà e lo rimandò a Tirinto, colmo di doni; mentre Zeus ne commemorava la vittoria con la costellazione Ofiuco. Il fiume Sagari era stato così chiamato in ricordo di un figlio di Mindone e di Alessirroe che si annegò nelle sue acque: la madre degli dei lo aveva fatto impazzire perché si era preso gioco dei suoi Misteri, insultando i suoi sacerdoti eunuchi.

Onfale aveva comprato Eracle più che altro per farsene un amante. Egli la rese madre di tre figli: Lamo, Agelao, avo del famoso re Creso che tentò di immolarsi su una pira quando i Persiani entrarono in Sardi, e Laomedonte. Alcuni parlano anche di un quarto figlio Tirreno o Tirseno, che inventò la tromba e guidò gli emigranti Lidi fino all’Etruria, dove presero il nome di Tirreni; ma è più probabile che Tirreno fosse il figlio di re Ati e un lontano discendente di Eracle e di Onfale.”Da una delle ancelle di Onfale, chiamata Malide, Eracle ebbe Cleodeo o Cleolao, e Alceo, fondatore della dinastia lidia che re Creso soppiantò dal trono di Sardi.

Giunse in Grecia la voce che Eracle aveva rinunciato alla pelle di leone e alla corona di pioppo e portava invece collane di pietre preziose, braccialetti d’oro, un turbante da donna, un manto purpureo e una cintura meonia. E così agghindato sedeva tra lascive fanciulle ioniche, cardando la lana oppure intento a filarla; tremava come una foglia se la sua padrona lo sgridava. Essa lo percuoteva con la pantofolina dorata se per caso, con le dita maldestre, gli capitava di spezzare il fuso; e lo costringeva a raccontare le sue passate avventure per divertirla. Ma a quanto pareva Eracle non se ne vergognava. Ecco perché certi pittori ci mostrano l’eroe con una sopravveste gialla indosso, che si lascia pettinare dalle ancelle di Onfale mentre Onfale stessa, coperta dalla pelle del leone, regge la sua clava e il suo arco. In verità era accaduto soltanto questo: un giorno, mentre Eracle e Onfale visitavano i vigneti di Tmolo, la regina con una veste purpurea ricamata in oro e i riccioli profumati, ed Eracle che reggeva galantemente il parasole sulla sua testa, Pan li vide dall’alto di una collina. Innamoratosi di Onfale, subito si congedò dalle dee montane gridando: «Da ora in poi Onfale sarà il mio unico amore!» Onfale ed Eracle raggiunsero la loro mèta, una grotta appartata dove per gioco si scambiarono le vesti. Onfale cinse Eracle con una cintura intessuta e troppo piccola per la sua vita; quando poi gli fece indossare la veste, le maniche si lacerarono; e i sandaletti accolsero a stento la punta dei piedi dell’eroe. Dopo cena si coricarono in giacigli separati, perché all’alba dovevano fare sacrifici a Dioniso che in tali occasioni pretende dai suoi devoti la castità coniugale. A mezzanotte Pan sgattaiolò nella grotta e, brancolando al buio, trovò quel che gli parve il giaciglio di Onfale, poiché chi vi dormiva sopra era avvolto in vesti di seta. Con mano tremante sollevò un lembo delle coperte e vi strisciò sotto. Ma Eracle, destatesi e allungato un piede, fece volare Pan attraverso la grotta. All’udire un tonfo e un gemito, Onfale balzò a sedere e invocò delle torce, e quando la grotta fu illuminata rise con Eracle fino alle lacrime al vedere Pan steso a terra in un canto, tutto ammaccato. Da quel giorno, Pan ha concepito un odio profondo per ogni sorta di veste e vuole che i suoi sacerdoti officino nudi; per vendicarsi di Eracle sparse la voce che quello scambio di indumenti, fatto una sola volta e per capriccio, fosse invece cosa consueta e lasciva.

Vai a: Il mito di Eracle (Parte 5 di 11): Esione, figlia di Laomedonte

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Il mito di Eracle (Parte 3 di 11): la morte di Ifito

Il mito di Eracle (Parte 3 di 11): la morte di Ifito

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Le dodici fatiche di Eracle: 12) La cattura di Cerbero, il guardiano infernale

Quando Eracle ritornò a Tebe dopo le sue Fatiche, diede in isposa la propria moglie Megara, giunta ai trentatre anni, al suo nipote e auriga lolao che ne aveva soltanto sedici, perché sosteneva che la sua unione con Megara era stata infausta. Si mise poi alla ricerca di una moglie più giovane e di migliore auspicio; e saputo che il suo amico Eurito, un figlio di Melanio re di Ecalia, aveva offerto la propria figlia Iole in isposa all’arciere che fosse stato capace di superare in una gara lui stesso e i suoi quattro figli, subito partì a quella volta. Eurito aveva ricevuto in dono un bellissimo arco da Apollo, e il dio gli aveva insegnato pure a usarlo; infatti egli si vantava di superare il maestro. Tuttavia Eracle vinse la gara senza difficoltà. Eurito ne fu assai amareggiato, e quando seppe che Eracle aveva ripudiato Megara dopo averne ucciso i figli, rifiutò di concedergli Iole in isposa. Bevuto molto vino per darsi coraggio disse a Eracle: «Tu non avresti mai potuto gareggiare con me e con i miei figli, se non avessi usato slealmente delle frecce magiche che vanno dritte al bersaglio. La prova dunque non è valida e in ogni caso non affiderei mai la mia amatissima figlia a un ruffiano come te. Sei lo schiavo di Euristeo e in qualità di schiavo meriti soltanto calci da un uomo libero!» Così dicendo cacciò Eracle dal palazzo. Eracle non rispose per le rime, come avrebbe potuto fare; ma giurò di vendicarsi in seguito.

Tre dei figli di Eurito, e cioè Dideone, Clizie e Tosseo, avevano appoggiato il padre nelle sue disoneste pretese. Il maggiore invece, che si chiamava Ifito, dichiarò che secondo giustizia Iole avrebbe dovuto essere data in isposa a Eracle; e quando, poco tempo dopo, dodici giumente dai solidi zoccoli e dodici vigorose mule sparirono dall’Elibea, rifiutò di credere che Eracle fosse l’autore del furto. Gli animali, in verità, erano stati rubati da Autolico, ladro ben noto, che per opera di magia ne alterò le fattezze e li vendette all’ignaro Eracle come se fossero di sua proprietà.  Ifito seguì le tracce delle giumente e delle mule e si accorse che si dirigevano verso Tirinto; ciò gli fece sospettare che Eracle, dopo tutto, avesse voluto davvero vendicarsi dell’insulto di Eurito. Trovatesi all’improvviso a faccia a faccia con Eracle celò i suoi sospetti e si limitò a chiedergli consiglio. Eracle non riconobbe gli animali dalla descrizione che gliene fece Ifito e con la consueta generosità promise di aiutarlo a cercarli se Ifito avesse accettato la sua ospitalità. Tuttavia comprese che lo si sospettava di furto e ciò urtò il suo cuore sensibile. Al termine di un sontuoso banchetto egli condusse Ifito sulla torre più alta di Tirinto. «Guardati attorno», gli intimò, «e dimmi se vedi le tue giumente pascolare qua sotto!» «Non le vedo», ammise Ifito. «Allora mi hai falsamente accusato, in cuor tuo, di essere un ladro!» urlò Eracle, e lo gettò giù verso la sua morte. Eracle poi si recò da Neleo re di Pilo, e gli chiese di essere purificato; ma Neleo rifiutò, perché Eurito era suo alleato. E nessuno dei suoi figli, salvo il più giovane, Nestore, acconsentì a ricevere Eracle che infine persuase Deifobo, figlio di Ippolito, a purificarlo ad Amicle. Tuttavia, poiché era ancora tormentato da incubi notturni, Eracle si recò dall’oracolo di Delfi e chiese come potesse liberarsene. La Pizia Senoclea rifiutò di rispondere a quella domanda. «Tu hai ucciso un ospite», disse, «e io non ho voce per uomini come te!» «Allora dovrò io stesso istituire un oracolo!» gridò Eracle. E tosto spogliò il tempio delle offerte votive e gettò via persino il tripode sul quale sedeva Senoclea. «Eracle di Tirinto era un uomo ben diverso dal suo omonimo Canopico!» disse la Pizia con tono severo; essa alludeva all’Eracle Egizio che un giorno era giunto a Delfi e si era comportato in modo cortese e riverente.

Apollo allora si levò indignato e lottò con Eracle finché Zeus non separò i due rivali con una folgore, inducendoli a stringersi la mano in segno di amicizia. Eracle restituì il sacro tripode e unitamente al dio fondò la città di Gizio dove ora sorgono, l’una accanto all’altra, nella piazza del mercato, statue di Apollo, di Eracle e di Dioniso. Senoclea diede poi a Eracle questo consiglio: «Per liberarti dal tuo tormento dovrai servire come schiavo per un anno intero, e il prezzo della tua schiavitù sarà offerto ai figli di Ifito. Zeus è furibondo perché hai violato le leggi dell’ospitalità, ne vale come scusa la provocazione». «Di chi dovrò essere schiavo?» chiese Eracle umilmente. «La regina Onfale di Lidia ti comprerà», replicò Senoclea. «Obbedisco», disse allora Eracle, «ma un giorno ridurrò in schiavitù l’uomo che ha fatto ricadere sulla mia testa questa sofferenza, e con lui tutta la sua famiglia!» Altri tuttavia dicono che Eracle non restituì il tripode e che quando, cento anni dopo. Apollo seppe che era stato portato nella città di Feneo, punì i Feneati ostruendo il canale che Eracle aveva scavato per farvi scorrere l’eccesso d’acqua piovana, e allagò la città. È assai diffusa una versione del tutto diversa di questi avvenimenti, e cioè che Lieo l’Eubeo, figlio di Posidone e di Dirce, attaccò Tebe durante una rivolta, uccise re Creonte e usurpò il trono. Convinto che Eracle fosse morto (tale notizia gli era stata data da Copreo), Lieo cercò di sedurre Megara e poiché essa gli resisteva, l’avrebbe uccisa con i suoi figli se Eracle non fosse ritornato dal Tartaro appena in tempo per vendicarsi di Lieo. Ma Era, che prediligeva Lieo, fece impazzire Eracle: egli uccise allora Megara e i propri figlioletti e anche il suo amante, l’Etolo Stichio. I Tebani, che mostrano ancor oggi le tombe dei fanciulli, dicono che Eracle avrebbe ucciso in quella circostanza anche il suocero Anfitrione, se Atena non gli avesse ridato il senno picchiandogli sul capo una grossa pietra, e la indicano aggiungendo: «L’abbiamo soprannominata ‘Castigatrice’». Anfitrione, in verità, era morto molto tempo prima, durante la guerra orcomena. Gli Ateniesi sostengono che Teseo, grato a Eracle che lo aveva liberato dal Tartaro, arrivò in quel
frangente con un esercito ateniese, per dar man forte a Eracle contro Lieo. Rimase come annichililo dinanzi a
quella strage, tuttavia promise a Eracle tutti gli onori finché fosse vissuto e anche dopo la sua morte e lo condusse ad Atene, dove Medea lo guarì dalla follia con potenti medicine. E Sicalo lo purificò di nuovo.

Vai a: Il mito di Eracle (Parte 4 di 11): Onfale la regina della Lidia

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Le dodici fatiche di Eracle: 12) La cattura di Cerbero, il guardiano infernale

Le dodici fatiche di Eracle: 12) La cattura di Cerbero, il guardiano infernale

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Le dodici fatiche di Eracle: 11) I pomi d’oro delle Esperidi

L’ultima e più ardua fatica di Eracle fu catturare il cane Cerbero nel Tartaro. Per prepararsi a questa impresa l’eroe si recò a Eleusi dove chiese di essere iniziato ai Misteri e si cinse il capo con la corona di mirto. Oggigiorno tutti i Greci di buona reputazione possono essere iniziati a Eleusi ma poiché ai tempi di Eracle vi erano ammessi soltanto gli Ateniesi, Teseo propose che un certo Pilio lo adottasse. Pilio acconsentì, e quando Eracle fu purificato per il suo massacro dei Centauri, perché nessuno con le mani sporche di sangue poteva essere ammesso ai Misteri, fu iniziato dal figlio di Orfeo, Museo, mentre Teseo gli faceva da padrino. Tuttavia Eumolpo, il fondatore dei Grandi Misteri, aveva decretato che nessuno straniero vi poteva essere ammesso e perciò gli Eleusini, restii a rifiutare la richiesta di Eracle, e però dubitando che la sua adozione da parte di Pilio facesse di lui un vero Ateniese, stabilirono in suo onore i Piccoli Misteri; altri dicono che Demetra stessa onorò Eracle istituendo i Piccoli Misteri in quell’occasione. Ogni anno si svolgono due diversi Misteri Eleusini: i Grandi, in onore di Demetra e di Core, e i Piccoli, in onore della sola Core. Questi Piccoli Misteri, una preparazione dei Grandi, rievocano la sorte di Dioniso con una rappresentazione drammatica che si svolge ad Agra presso il fiume Ilisso, nel mese Antesterione. I riti principali comportano il sacrificio di una scrofa, che gli iniziati dapprima lavano nel fiume Cantaro; in seguito sono purificati da un sacerdote che porta il nome di Idrano. Dovranno poi aspettare un anno prima di partecipare ai Grandi Misteri, che si svolgono in Eleusi nel mese Boedromione, e sono legati al silenzio da un solenne giuramento che fanno in presenza del mistagogo. Nell’attesa è loro negato l’accesso al santuario di Demetra e aspettano nel vestibolo mentre si svolgono le cerimonie solenni. Così purificato e preparato. Eracle discese al Tartaro da Tenaro in Laconia; o, altri dicono, dalla penisola Acherusia presso Eraclea sul Mar Nero, dove si mostrano ancora, a grande profondità, tracce del suo passaggio. Fu guidato da Atena e da Ermete: ogni qual volta infatti, esausto per le Fatiche sostenute, egli invocava disperatamente Zeus, Atena era subito al suo fianco, pronta a confortarlo. Terrificato dal cipiglio di Eracle, Caronte lo traghettò al di là del fiume Stige senza esitare; per punirlo di questa sua disobbedienza, Ade in seguito lo incatenò per un anno intero. Appena Eracle fu sbarcato sulla riva opposta tutte le ombre fuggirono, salvo Meleagro e la Gorgone Medusa. Alla vista di Medusa Eracle estrasse la spada, ma Ermete lo rassicurò dicendogli che si trattava soltanto di un fantasma. E quando incoccò una freccia per colpire Meleagro, che indossava una splendida armatura, Meleagro rise e disse: «Tu non hai nulla da temere dai morti» e conversarono amichevolmente per un po’.Infine si offrì di sposare la sorella di Meleagro, Deianira. Presso le porte del Tartaro, Eracle trovò i suoi amici Teseo e Piritoo legati a sedie di tortura, e strappò i lacci di Teseo, ma fu costretto a lasciare incatenato Piritoo: poi fece rotolare via il sasso che aveva imprigionato Ascalafo, e infine, per ingraziarsi le ombre con un dono di sangue, sgozzò un capo della mandria di Ade. Il mandriano, Menete o Menezio, figlio di Centonimo, lo sfidò a una gara di lotta, ma subito Eracle lo strinse alla vita e gli spezzò le cestole. A quel punto Persefone, che era uscita dal suo palazzo e aveva salutato Eracle come un fratello, implorò che lasciasse in vita Menete. Quando Eracle chiese di Cerbero, Ade, ritto al fianco della moglie, replicò sogghignando: «II cane è tuo se saprai domarlo senza usare la clava o le frecce». Eracle trovò il cane presso le porte dell’Acheronte e risolutamente lo afferrò per la gola, dalla quale sorgevano tre teste ricoperte di serpenti. La coda irta di aculei scattò per colpire, ma Eracle, protetto dalla pelle di leone, non allentò la stretta finché Cerbero, mezzo soffocato, si arrese.

Sulla via del ritorno Eracle si intrecciò una corona con le fronde dell’albero che Ade aveva piantato presso i Campi Elisi in ricordo della sua amante, la bellissima Ninfa Leuca. Le foglie marginali di tale corona rimasero nere, perché questo è il colore dell’Oltretomba; ma le foglie che aderivano alla fronte di Eracle furono tinte in bianco-argento dal sudore dell’eroe. Ecco perché il pioppo bianco o tremula gli è sacro; il suo colore significa che Eracle ha compiuto le Fatiche in ambedue i mondi. Con l’aiuto di Atena, Eracle attraversò il fiume Stige sano e salvo, e poi trascinò Cerbero su per l’orrido che si trova presso Trezene, dove Dioniso aveva guidato sua madre Semele. Nel tempio di Artemide Salvatrice, costruito da Teseo all’imboccatura di quell’orrido, sorgono ora degli altari sacri alle divinità degli Inferi. Pure a Trezene si vede ancora oggi dinanzi all’antico palazzo di Ippolito una fontana scoperta da Eracle. Secondo un’altra versione. Eracle trascinò Cerbero, legato con catene adamantine, lungo un sentiero sotterraneo che conduce alla cupa grotta di Acona, presso Mariandine sul Mar Nero. Poiché Cerbero opponeva resistenza, abbagliato dalla luce solare, e abbaiava furiosamente con tutte e tre le bocche, la sua saliva volò sopra i verdi campi circostanti e fece nascere la velenosa pianta dell’aconito, detta anche ecatea, perché Ecate fu la prima a usarla. Un’altra leggenda dice che Eracle ritornò sulla superficie terrestre attraverso Tenaro, il famoso tempio a forma di grotta dinanzi al quale sorge un simulacro di Poseidone; ma se davvero vi era una via che risaliva al tempio dall’Oltretomba, fu in seguito bloccata. Infine taluni dicono che Eracle emerse nel sacro recinto di Zeus Lafistio, sul monte Lafistio, dove si trova una statua di Eracle lungimirante. Tutti concordano tuttavia nell’affermare che, non appena Eracle ebbe condotto Cerbero a Micene, Euristeo, il quale stava celebrando un sacrificio, gli porse la porzione destinata agli schiavi, riservando le porzioni migliori della vittima per la sua gente; Eracle allora manifestò il suo giusto sdegno uccidendo tre dei figli di Euristeo: Perimede, Euribio ed Euripilo. Oltre all’aconito Eracle scoprì anche i seguenti semplici: l’eraclea panacea, ossia l’origano selvatico; l’eraclea sideria, con il suo stelo sottile, le foglie simili a quelle del coriandolo, che cresce presso i laghi e presso i fiumi ed è un eccellente rimedio per tutte le ferite d’arma da taglio; e lo iosciamo o embane, che provoca vertigini e pazzia. L’eraclea ninfea, che ha una radice a forma di clava, fu così chiamata in ricordo di una certa Ninfa abbandonata da Eracle, che morì di gelosia; rende impotenti gli uomini per un periodo di dodici giorni.

Vai a: Il mito di Eracle (Parte 3 di 11): la morte di Ifito

ll mito di Eracle, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Le dodici fatiche di Eracle: 11) I pomi d’oro delle Esperidi

Le dodici fatiche di Eracle: 11) I pomi d’oro delle Esperidi

Il racconto del mito di Eracle è collegato alla nostra recensione della collana “Grandi Miti Greci”, Volume 15: Eracle – L’eroe più popolare

Prima di questo post, se non l’hai ancora letto, leggi: Le dodici fatiche di Eracle: 10) Le mandrie di Gerione

Eracle aveva compiuto queste dieci Fatiche nello spazio di otto anni e un mese; ma Euristeo, che non riteneva valida la seconda e la quinta Fatica, gliene impose altre due. La undicesima Fatica fu di cogliere i frutti aurei di un melo, dono di nozze della Madre Terra a Era, e che la dea aveva tanto gradito da piantarlo nel proprio giardino. Questo giardino si trovava sulle pendici del monte Atlante, dove gli ansimanti cavalli del Sole terminavano la loro corsa e dove i greggi e le mandrie di Atlante vagavano liberamente sui pascoli che nessuno contendeva. Quando Era un giorno si accorse che le Esperidi, figlie di Atlante, cui essa aveva affidato il sacro albero, stavano cogliendone le mele, ordinò al sempre vigile drago Ladone di arrotolarsi attorno al tronco e di fare attenta guardia. Taluni dicono che Ladone era figlio di Tifone e di Echidna; oppure di Ceto e Porci; altri ancora, che egli era nato per partenogenesi dalla Madre Terra. Aveva cento teste e parlava con diverse lingue. È pure discusso se le Esperidi vivessero sul monte Atlante nella terra degli Iperborei o sul monte Atlante in Mauritania; in qualche luogo oltre il fiume Oceano o su due isole dinanzi al promontorio chiamato Corno Occidentale, che giace presso l’Esperia etiopica, alle frontiere dell’Africa. Benché le mele appartenessero a Era, Atlante, nella sua qualità di giardiniere, ne andava fiero, e Temi lo mise in guardia: «Un giorno, o Titano, il tuo albero sarà spogliato dalle mele d’oro da un figlio di Zeus». Atlante, che non era stato ancora punito con il terribile ordine di reggere il globo celeste sulle sue spalle, costruì solide mura attorno all’orto e scacciò tutti gli stranieri dalla sua terra; può darsi che fosse appunto Atlante colui che mise Ladone a guardia del melo. Eracle, che non sapeva quale direzione prendere per giungere al giardino delle Esperidi, camminò attraverso la Illiria fino al fiume Po, patria del profetico dio del mare Nereo. Strada facendo guadò l’Echedoro, un piccolo fiume macedone dove Cicno, figlio di Are e di Pirene, lo sfidò a duello. Are fece da secondo a Cicno e incitò i duellanti, ma Zeus scagliò una folgore tra di loro e interruppe il combattimento. Quando Eracle finalmente giunse al Po, le Ninfe del fiume, figlie di Zeus e di Temi, lo condussero presso Nereo addormentato. Eracle agguantò il canuto dio del Mare e senza lasciarselo sfuggire di mano nonostante le sue continue proteiche metamorfosi, lo costrinse a rivelargli il modo per impossessarsi delle mele d’oro. Altri invece dicono che Eracle ottenne da Prometeo le informazioni che desiderava. Nereo aveva consigliato a Eracle di non cogliere le mele con le proprie mani, ma di servirsi di Atlante, alleggerendolo nel frattempo dell’enorme peso che gravava sulle sue spalle. Appena giunto al giardino delle Esperidi, Eracle chiese dunque ad Atlante di fargli questo favore. Atlante avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di avere un’ora di respiro, ma Ladone gli incuteva paura; allora Eracle uccise il drago scoccando una freccia al di sopra del muro del giardino. Poi chinò le spalle per accogliere il peso del globo celeste; Atlante si allontanò e ritornò poco dopo con tre mele colte dalle sue figlie. Il Titano assaporava la gioia della recuperata libertà. «Porterò io stesso le mele a Euristeo», disse, «se tu reggerai il cielo sulle tue spalle per due o tre mesi ancora.» Eracle finse di acconsentire, ma poiché Nereo l’aveva avvertito di non accettare una simile proposta, pregò Atlante di sostenere il globo per pochi minuti soltanto, affinché egli potesse fasciarsi il capo. Atlante, tratto in inganno, posò a terra le mele e riprese il suo carico; subito Eracle raccattò i frutti e si allontanò con un ironico saluto. Alcuni mesi dopo Eracle portò le mele a Euristeo che gliele restituì; l’eroe le diede allora ad Atena che a sua volta le restituì alle Ninfe, poiché era ingiusto che i beni di Era passassero nelle sue mani. Tormentato dalla sete al termine di questa sua Fatica, Eracle batté il piede al suolo e ne fece scaturire un fiume, che in seguito salvò le vite degli Argonauti quando si trovarono stanchi e assetati nel bel mezzo del deserto libico. Frattanto Era, piangendo sulla sorte di Ladone, ne pose l’immagine fra le stelle come costellazione del Serpente.

Eracle non ritornò direttamente a Micene. Dapprima attraversò la Libia dove re Anteo, figlio di Poseidone e della Madre Terra, costringeva gli stranieri a lottare con lui finché fossero esausti, e poi li uccideva; infatti non soltanto egli era atleta forte e abile, ma ogni qual volta toccava terra riprendeva forza. Conservava i crani delle sue vittime per farne il tetto del tempio di Posidone. Non si sa se Anteo fu sfidato per primo da Eracle, che era ben deciso a por fine a questa barbara usanza, oppure se lo sfidò. Anteo comunque non era un avversario facile da battere; viveva in una grotta ai piedi di un picco roccioso, dove si nutriva di carne di leone e dormiva sulla nuda terra per conservare e aumentare la sua forza colossale. La Madre Terra, non ancora sterile dopo il parto dei Giganti, concepì Anteo in un antro libico ed era fiera di lui più di quanto non lo fosse dei suoi mostruosi figli maggiori: Tifone, Tizio e Briareo. Le cose si sarebbero messe male per gli Olimpi se egli si fosse schierato contro di loro nella Pianura Flegrea. Preparandosi alla lotta, ambedue i contendenti si liberarono delle loro pelli di leone, ma mentre Eracle si ungeva il corpo con olio alla maniera olimpica, Anteo si massaggiò le membra con sabbia calda, per timore che il solo contatto delle piante dei piedi con la terra non fosse sufficiente a rinvigorirlo. Eracle aveva pensato di risparmiare le proprie forze per atterrare Anteo, ma non appena ebbe steso il Gigante al suolo, con grande stupore vide i suoi muscoli enfiarsi e il sangue scorrergli benefico nelle membra, poiché la Madre Terra gli ridava forza. I contendenti si avvinghiarono di nuovo l’uno all’altro, e di nuovo Anteo si gettò a terra, questa volta di sua spontanea volontà, senza aspettare che Eracle lo sopraffacesse. Al che Eracle, rendendosi conto di ciò che stava accadendo, sollevò il Gigante alto tra le braccia e gli strizzò le costole, sordo ai profondi gemiti della Madre Terra, finché Anteo morì. Alcuni dicono che questa lotta si svolse a Lisso, una cittadina della Mauritania a circa cinquanta miglia da Tangeri, presso il mare, dove ancora si mostra una collinetta detta la tomba di Anteo. Se si scavano alcune palate di terra da questa collina, così credono gli indigeni, subito comincia a piovere e continuerà a piovere finché non si lascerà ricadere la terra al suo posto. C’è anche chi dice che il giardino delle Esperidi si trovasse su un’isola vicina, dove sorge un altare di Eracle; ma salvo pochi alberi d’olivo, non è rimasta traccia dell’antico frutteto. Quando Sertorio si impadronì di Tangeri, aprì la tomba di Anteo per vedere se il suo scheletro era davvero gigantesco come la leggenda lo descriveva. Con sua grande sorpresa trovò che misurava sessanta cubiti: subito richiuse la tomba e offrì ad Anteo sacrifici eroici. In quella regione si dice inoltre che Anteo fondò Tangeri, un tempo chiamata Tingis; oppure che Soface, figlio di Eracle e di Tinga, vedova di Anteo, regnò sulla città e le diede il nome di sua madre. Diodoro, figlio di Soface, conquistò molte nazioni africane con un esercito greco reclutato tra i coloni Micenei che Eracle aveva guidati laggiù.9 I Mauritani sono di origine orientale e, come i Farusi, discendono da certi persiani che accompagnarono Eracle in Africa; ma altri sostengono che essi discendono da quei Cananei che Giosuè l’israelita scacciò dalla loro terra.

In seguito Eracle si recò dall’oracolo di Ammone, dove chiese un colloquio con il padre suo Zeus. Ma Zeus era restio a mostrarsi e poiché Eracle insisteva, sventrò un ariete, ne indossò il vello e diede a Eracle certe istruzioni. Ecco per quale ragione nelle immagini degli Egiziani Zeus Ammone appare con la testa di ariete. I Tebani sacrificano un ariete una volta all’anno, al termine della festa di Zeus, e poi ricoprono col suo vello il simulacro del dio. Dopo di i presenti si battono il petto in segno di lutto per la vittima e la seppelliscono in una tomba sacra. Eracle in seguito si diresse verso sud e fondò la città dalle cento porte che chiamò Tebe in ricordo della sua città natale; ma altri dicono che Tebe era già stata fondata da Osiride. In quel tempo re dell’Egitto era Busiride, fratello di Anteo, figlio di Posidone e di Lisianassa, una figlia di Epafo o, come altri dicono, di Posidone e di Anippe, una figlia del fiume Nilo. Ora il regno di Busiride era già stato colpito da siccità e carestia per un periodo di otto o nove anni, ed egli aveva interrogato gli àuguri greci per averne consiglio. Suo nipote, un famoso veggente cipriota chiamato Frasio o Trasio o Tasio, figlio di Pigmalione, dichiarò che la carestia sarebbe cessata se ogni anno uno straniero fosse stato sacrificato in onore di Zeus. Busiride cominciò col sacrificare Frasio stesso e poi sacrificò altri ospiti occasionali fino all’arrivo di Eracle, il quale lasciò che il sacerdote lo trascinasse presso l’altare. Gli cinsero il capo con una benda e Busiride, invocando gli dei, si preparava ad alzare l’ascia sacrificale, quando Eracle spezzò le corde che lo legavanoe massacrò Busiride, Anfidamante, figlio di Busiride, e tutti i sacerdoti che assistevano al sacrificio. Poi Eracle attraversò l’Asia e sbarcò a Termidre, il porto di Lindo di Rodi, dove liberò un bue aggiogato al carro di un contadino, lo sacrificò e banchettò con la sua carne, mentre il contadino rifugiatosi su un monte lo malediceva da lontano. Ecco perché i Lindi ancor oggi mormorano maledizioni quando sacrificano a Eracle.

Infine raggiunse le montagne del Caucaso, dove Prometeo era incatenato da trent’anni, oppure mille o trentamila anni, mentre ogni giorno un avvoltoio, nato da Tifone e da Echidna, gli divorava il fegato. Zeus si era ormai pentito di avergli inflitto quella punizione: Prometeo infatti l’aveva generosamente avvertito di non sposare Teti, perché avrebbe potuto generare un dio più potente di lui stesso; e ora, quando Eracle implorò il perdono da Prometeo, glielo concesse senza esitare. Tuttavia, avendo condannato Prometeo a un tormento eterno. Zeus stabilì che, a perenne ricordo della sua prigionia, egli portasse un anello fatto col ferro delle sue catene, dove fosse incastonata una pietra del Caucaso, e quella fu la prima pietra incastonata in un anello. Ma era scritto che le sofferenze di Prometeo dovessero durare finché un immortale accettasse di scendere volontariamente al Tartaro in vece sua: Eracle allora rammentò a Zeus Chirone, che desiderava rinunciare al dono dell’immortalità dal giorno in cui si era aperta nel suo ginocchio una ferita incurabile. Superato così l’ultimo ostacolo. Eracle, invocando Apollo Cacciatore, colpì al cuore l’avvoltoio con una freccia e liberò Prometeo. L’umanità cominciò allora a portare anelli in onore di Prometeo, e anche corone; poiché, appena liberato. Prometeo ricevette l’ordine di cingersi il capo con una corona di salice ed Eracle, per associarsi a lui, ne cinse una di oleastro. Zeus onnipotente pose una freccia fra le stelle come costellazione della Sagitta; e ancor oggi gli abitanti delle montagne caucasiche considerano l’avvoltoio come nemico dell’umanità. Bruciano i suoi nidi con dardi infuocati e gli tendono trappole per vendicare le sofferenze di Prometeo.

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