Monthly Archives: Maggio 2023

I vari miti sulle creature del mare

I vari miti sulle creature del mare

Le cinquanta Nereidi, gentili e benefiche assistenti della dea del mare Teti, sono sirene, figlie della Ninfa Doride e di Nereo, un profetico vecchio marino, che ha il potere della metamorfosi. Pare che le cinquanta Nereidi fossero un collegio di cinquanta sacerdotesse della Luna, i cui magici riti assicuravano pesca abbondante. I Forcidi, loro cugini, figli di Ceto e di Forcio, un altro saggio vecchio del mare, sono Ladone, Echidna e le tre Gorgoni che abitano in Libia; le tre Graie; e, secondo taluni, anche le tre Esperidi.

Le Gorgoni si chiamavano Stimo, Furiale e Medusa, un tempo tutte e tre bellissime. Ma una notte Medusa si giacque con Poseidone, e Atena, infuriata perché si erano accoppiati in uno dei suoi templi, tramutò la Gorgone in un mostro alato con occhi fiammeggianti, denti lunghissimi dai quali sporgeva la lingua, unghielli di bronzo e capelli di serpenti: il suo sguardo faceva impietrire gli uomini. Quando, più tardi, Perseo decapitò Medusa, e i figli di Poseidone, Crisaore e Pegaso, balzarono fuori dal suo cadavere, Atena ne applicò la testa alla sua egida; ma altri dicono che quell’egida fu fatta con la pelle di Medusa, che Atena le strappò di dosso. Le Gorgoni rappresentavano la triplice dea e portavano maschere profilattiche, con occhi fiammeggianti e la lingua che sporgeva fra i denti lunghissimi, per spaventare gli estranei e allontanarli dai loro misteri. Gli omeridi conoscevano soltanto una Gorgone che vagava come ombra nel Tartaro (Odissea XI 633-35) e la cui testa, che terrorizzò Odisseo (Odissea XI 634), spiccava sull’egida di Atena, indubbiamente per ammonire la gente a non volere scrutare nei divini misteri nascosti dietro l’egida stessa. I fornai greci usavano dipingere una testa di Gorgone sui loro forni per impedire ai curiosi di aprire lo sportello, rischiando così di rovinare il pane in cottura con un soffio improvviso di aria fresca.

Crisaore era il segno del primo quarto di luna di Demetra, cioè del falcetto d’oro; le compagne della dea lo reggevano in mano quando lo rappresentavano nelle cerimonie. Atena, in questa versione, è la collaboratrice di Zeus, rinata dalla sua testa, e traditrice dell’antica religione. Le tre Arpie, considerate da Omero come personificazione dei venti di tempesta (Odissea XX 66-78), rappresentavano la Alena primitiva, cioè la triplice dea nella sua veste di distruggitrice. Tali erano anche le Graie o le Grigie, come dimostrano i loro nomi Enio («guerresca»), Penfredo («vespa») e Dino («terribile»); la leggenda del loro unico occhio e del loro unico dente deriva dalla interpretazione erronea di qualche dipinto sacro e il cigno nella mitologia europea è l’uccello della morte.

I nomi delle Gorgoni, Steno («forte») Euriale («ampio-vagante») e Medusa («astuta»), sono appellativi della dea-Luna. Gli orfici chiamavano «testa di Medusa» la faccia della luna. Le Graie sono bianche di carnagione e simili a cigni, ma con i capelli grigi fin dalla nascita e un solo dente e un solo occhio in comune. Si chiamano Enio, Penfredo e Dino.

Le tre Esperidi, chiamate Espera, Egle ed Eriteide, vivono nel lontano Occidente, nel giardino che la Madre Terra donò a Era. Taluni le dicono figlie della Notte, altri di Atlante e di Esperide, figlia di Espero; esse cantano dolcemente. I nomi delle Esperidi, descritte come figlie di Ceto e Forco, o della Notte o di Atlante il Titano che regge il cielo nell’estremo Occidente, si riferiscono al tramonto. A quell’ora il cielo si tinge di verde, di giallo e di rosso e ricorda un albero di mele carico di frutti; e il Sole, tagliato dalla linea dell’orizzonte come una mela purpurea, cala verso la morte nelle onde dell’Occidente. Quando il sole è tramontato appare Espero. Questa stella era sacra alla dea dell’amore Afrodite. Se si dimezza trasversalmente una mela, si può vedere in ogni metà una stella a cinque punte.

Echidna era per metà una bellissima donna, per metà un serpente dalla pelle maculata. Viveva un tempo in una grotta profonda tra gli Arimi; mangiava uomini crudi e procreò mostri orrendi a suo marito Tifone; ma Argo dai cento occhi la uccise nel sonno. Echidna generò orrendi figli a Tifone, e cioè Cerbero, il cane infernale a tre teste; l’Idra, serpente acquatico dalle molte teste che viveva a Lerna; la Chimera, capra che sputava fiamme, con la testa di leone e la coda di serpente; e Orione, il cane a due teste di Gerione, che si giacque con la propria madre e generò in lei la Sfinge e il Leone Nemeo.

 

I vari miti sulle creature del mare, riassunti dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Il mito di Tiche e il mito di Nemesi

Il mito di Tiche e il mito di Nemesi

Tiche è la figlia di Zeus ed egli le diede il potere di decidere quale sarà la sorte di questo o quel mortale. A taluni essa concede i doni contenuti nella cornucopia, ad altri nega persino il necessario. Tiche è irresponsabile delle sue decisioni e corre qua e là facendo rimbalzare una palla per dimostrare che la sorte è cosa incerta. Ma se capita che un uomo, che essa abbia favorito, si vanti delle sue ricchezze né mai ne sacrifichi parte agli dèi, né se ne serva per alleviare le pene dei suoi concittadini, ecco che l’antica dea Nemesi si fa avanti per umiliarlo. Nemesi, che abita a Ramnunte in Attica, porta un ramo di melo in una mano e una ruota nell’altra, e in capo una corona adorna di cervi; uno scudiscio pende dalla sua cintura. Essa è figlia dell’Oceano e la sua bellezza è paragonabile a quella di Afrodite. Taluni dicono che Zeus un giorno si innamorò di Nemesi e la inseguì per terra e per mare. Benché essa mutasse continuamente forma, egli riuscì infine a violarla assumendo l’aspetto di un cigno, e dall’uovo che Nemesi depose nacque Elena, causa della guerra di Troia.

Tiche («fortuna») come Diche ed Edo (personificazioni della Legge Naturale o Giustizia, e della Vergogna) è una divinità artificiale inventata dai primi filosofi. Nemesi («debita esecuzione») era stata la dea-Ninfa della Morte e della Vita, cui gli stessi filosofi diedero un nuovo aspetto affidandole un controllo morale su Tiche. La ruota di Tiche rappresentava in origine l’anno solare come indica il suo nome latino. Fortuna (da vortumna, «colei che fa volgere l’anno»). Quando la ruota aveva compiuto mezzo giro, il re sacro, raggiunto l’apice della sua buona sorte, doveva morire (e il suo destino era preannunciato dai cervi di Atteone presenti nella corona di Nemesi), ma quando la ruota aveva compiuto l’intero giro, il re si vendicava del rivale che l’aveva soppiantato. Lo scudiscio era usato nei tempi antichi per la flagellazione sacra, che aveva lo scopo di far fruttificare gli alberi e maturare le messi, mentre il ramo di melo era il lasciapassare del re per i Campi Elisi. La Nemesi che Zeus inseguì non era la personificazione filosofica della giustizia degli dèi, ma la dea-Ninfa originaria, il cui nome più comunemente usato fu Leda.

Nel mito pre-ellenico, è la dea che insegue il divino paredro e, benché questi si sottoponga alle trasformazioni stagionali, essa si trasforma a sua volta e infine lo divora al solstizio d’estate. Nel mito ellenico le parti sono rovesciate: la dea fugge, muta d’aspetto, ma il re la insegue e infine la viola, come nella leggenda di Zeus e di Meti o di Peleo e Teti. Probabilmente queste trasformazioni rituali erano indicate sui raggi della ruota di Nemesi; ma nelle Ciprie omeriche si parla soltanto di un pesce e di «vari animali». «Leda» è un’altra forma di Latona (in greco Letò), che fu inseguita da Pitone, e non da Zeus. I cigni erano sacri alla dea (Euripide, Ifigenia in Tauride) sia per le loro bianche piume, sia per la loro formazione di volo a V, che è un simbolo femminile, sia perché, a mezza estate, si dirigono a nord per accoppiarsi in terre ignote e si pensò che portassero con sé l’anima del re defunto. La Nemesi dei filosofi era onorata a Ramnunte dove, secondo Pausania (I 33 2-3) il comandante in capo dei Persiani, che si preparava a innalzare un trofeo marmoreo per celebrare la sua conquista dell’Attica, fu costretto a ritirarsi quando gli giunse notizia della sconfitta navale di Salamina; il marmo fu allora usato per farne una statua della dea-Ninfa locale. Nemesi. Si suppone che da quel giorno in poi tale dea-Ninfa divenne la personificazione della «Vendetta Divina» anziché della «debita esecuzione» dell’annuale dramma di morte. Dai tempi di Omero in poi, invece, nemesis aveva significato quel caldo sentimento umano che suggerisce di pagare ciò che si deve e di portare a termine il proprio compito. Ma Nemesi, la dea-Ninfa, aveva l’appellativo di Adrastea («ineluttabile»: Strabone, XIII 1 13), e Adrastea era pure il nome della nutrice di Zeus, una Ninfa del frassino; e poiché le Ninfe del frassino e le Erinni erano sorelle, nate dal sangue di Urano, ciò potrebbe spiegare come mai Nemesi finì col personificare la vendetta. Il frassino era uno degli aspetti in cui la dea si trasformava stagionalmente ed era un albero molto importante per i pastori suoi devoti, poiché era associato con i temporali e con il mese in cui nascevano gli agnelli, il terzo dell’anno sacro. Nemesi è detta figlia di Oceano, poiché come dea-Ninfa dal ramo di melo, essa rappresentava anche Afrodite nata dal mare, sorella delle Erinni.

Il mito di Tiche e Nemesi, riassunto dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente. Qua trovate la nostra recensione al volume di Graves

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Recensione: “Simboli della trasformazione” di Carl Gustav Jung

Recensione: “Simboli della trasformazione” di Carl Gustav Jung

Simboli della trasformazione è il quinto volume delle Opere dello psichiatra e analista svizzero ed esplora il processo di individuazione e la natura simbolica dell’inconscio. Prima di parlarne, ecco un riassunto costruito con alcune citazioni significative tratte dall’opera:

  • “La trasformazione inizia con la consapevolezza della propria ombra, quella parte di noi stessi che preferiamo ignorare o rifiutare. Solo accettando l’ombra possiamo intraprendere un vero cammino di crescita interiore.”
  • “L’inconscio si esprime attraverso simboli, che rappresentano archetipi universali. Questi simboli possono assumere forme mitologiche, religiose o oniriche, ma sono sempre veicoli di significato profondo.”
  • “La visione onirica è una finestra sull’inconscio. I sogni ci mostrano immagini simboliche che riflettono i nostri desideri, le nostre paure e le nostre aspirazioni più profonde.”
  • “La trasformazione richiede un confronto con l’animus (nella donna) o l’anima (nell’uomo), le rappresentazioni interne dell’altro sesso. Integrare queste figure interiori porta a una maggiore completezza e equilibrio.”
  • “I simboli alchemici rappresentano il processo di trasformazione interiore. L’opera alchemica di trasmutazione degli elementi corrisponde alla nostra ricerca di integrazione e realizzazione di sé.”
  • “Il mandala è un potente simbolo di totalità e integrazione. La sua forma circolare rappresenta l’unità e l’armonia degli opposti, offrendo un punto di riferimento stabile durante il percorso di trasformazione.”
  • “L’archetipo del Sè rappresenta la totalità e l’essenza più profonda dell’individuo. Il Sè è il punto di equilibrio che cerca di realizzarsi nel corso della vita, spingendo verso l’integrazione e l’individuazione.”
  • “La trasformazione richiede un atto di coraggio e di abbandono di vecchi schemi. Bisogna essere disposti a lasciare andare le vecchie identità e ad abbracciare l’incertezza del processo di cambiamento.”

Simboli della trasformazione è il libro con cui Jung diede inizio a quello che chiamò il progetto di psicologia complessa e che trasformò la psicoanalisi da una “setta” ad una disciplina multidisciplinare e attenta alla complessità. “Questo libro fu da me scritto nel 1911 a 36 anni: un momento critico, giacché segna l’inizio della seconda metà della vita nella quale non di rado si verifica una metanoia, un mutamento d’opinione. 

Simboli della trasformazione fu il libro che segnò profondamente il rapporto – allora già incrinato – tra i due pionieri della psicoanalisi e della psicologia moderna, quello tra Freud e Jung, che furono appassionati colleghi e amici. In Ricordi, Sogni, Riflessioni (di cui abbiamo parlato qui), Jung parla di questo libro come del volume che la psiche gli “impose” di scrivere di getto per liberarsi del senso di abbandono e di vuoto conseguente alla rottura con Freud. Infatti, nel libro (ed è la parte forse più noiosa, per il lettore del 2023 che nella diatriba Freud-Jung ha poco interesse) spesso Jung confuta le idee del suo collega cercando di allargare il concetto di libido da una forza puramente “sessuale” a una forza più genericamente “creativa”. Per far questo utilizza il caso, riportato in una rivista di settore di qualche tempo prima, della signorina Miller, una poetessa e professoressa di New York, che Jung non incontrò mai, ma che aveva raccontato al suo analista diversi suoi sogni e visioni commentandoli.

Parlando del libro, Jung disse che “Il vero intento di questo libro è solo quello di elaborare il più a fondo possibile tutti i fattori storici e spirituali che confluiscono nei prodotti involontari di una fantasia individuale. Accanto alle ovvie fonti personali, la fantasia creatrice dispone anche dello spirito primitivo, dimenticato e da lungo tempo sepolto con le sue immagini peculiari palesantisi nelle mitologie di tutti i tempi e di tutti i popoli. L’insieme di queste immagini costituisce l’inconscio collettivo, retaggio presente potenzialmente in ogni individuo. Esso è il corrispettivo psichico della differenziazione del cervello umano. Questo è il motivo per il quale le immagini mitologiche possono rinascere senza posa spontaneamente sempre in armonia tra di loro, non solo in tutti gli angoli del vasto mondo ma anche in tutti i tempi. Esse sono presenti sempre e dappertutto. Ne deriva ovviamente la possibilità di mettere in relazione i mitologemi più distinti fra loro per divario temporale ed etnico con un sistema di fantasie individuali. La base creativa è dappertutto la stessa psiche umana e lo stesso cervello umano che, con varianti relativamente minime, funziona dappertutto nello stesso modo.”

Non entrerò nel dettaglio della struttura del libro, che parla della nascita e sviluppo della figura dell’Eroe  e del suo rapporto ed emancipazione dalla figura della madre, o per dirla in altre parole, il percorso dell’Io che si individua differenziandosi dall’Inconscio, rimanendone però indissolubilmente legato. Da questo confronto scaturiscono innumerevoli immagini e motivi archetipici che continuano a ritornare nelle visioni e sogni ed esperienze di tutte le persone di tutti i tempi di tutti i luoghi della terra. Il libro ne elenca e discute alcuni con il supporto di tavole che riportano opere d’arte antica e medievale e che suffragano le teorie esposte. Una lettura affascinante e abbastanza scorrevole (seppur ricca e complessa).

Ancora Jung: “La conoscenza dei contenuti soggettivi della coscienza non dice ancora assolutamente nulla della psiche e della sua vera vita sotterranea. Anche in psicologia, come in tutte le scienze, per il lavoro di ricerca occorre un corredo di conoscenze sufficientemente estese. Un po’ di patologia e di teoria delle nevrosi non bastano assolutamente in questo caso; questo tipo di conoscenze mediche consente unicamente d’essere informati su una malattia, ma ignora tutto dell’anima che è malata. Con questo libro – allora come oggi – ho voluto, per quanto era in mio potere, ovviare a questo inconveniente.”

Jung, Carl Gustav, Simboli della trasformazione, Bollati Boringhieri.

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Recensione: “Ricordi, sogni, riflessioni” di C. G. Jung

Recensione: “Ricordi, sogni, riflessioni” di C. G. Jung

Ricordi, Sogni, Riflessioni di Carl Gustav Jung è un libro che offre una profonda e personale introspezione sulla vita dell’autore e sulla sua comprensione della psicologia umana. Jung, noto come uno dei più importanti psicoanalisti della storia, ci guida attraverso i momenti salienti della sua vita, dai sogni infantili ai viaggi nel deserto, alle conversazioni con Freud e alla scoperta dell’inconscio collettivo. La scrittura è fluida e coinvolgente, e la profondità delle riflessioni di Jung è sorprendente. Si ha l’impressione di essere seduti accanto a lui mentre rivela i dettagli della sua vita e delle sue teorie. Il libro offre una panoramica approfondita delle teorie di Jung sulla psicologia, ma anche una finestra sulla sua personalità e sulle sue esperienze. Ricordi, Sogni, Riflessioni è un libro che può essere apprezzato sia dai professionisti della psicologia che dai lettori curiosi di conoscere la vita di Jung e le sue teorie. Inoltre, la sua prosa elegante e la sua capacità di coinvolgere il lettore rendono questo libro accessibile anche ai non addetti ai lavori.

Per noi de La Voce delle Muse, amanti di Mitologia, e che dalla mitologia traggono spunto per un approfondimento della comprensione della nostra vita personale e dei meccanismi della psiche umana, il libro è interessante per diversi motivi. In primo luogo, Jung è stato un noto psicologo e psicoanalista che ha dedicato gran parte della sua vita allo studio delle religioni, delle mitologie e dei simboli. Nel suo lavoro, ha sviluppato molte teorie sulla psicologia dell’inconscio e ha mostrato come i miti e i simboli siano importanti per comprendere la psiche umana. Anche Joseph Campbell (di cui abbiamo parlato qui) ha basato molto del suo lavoro sull’opera scientifica di Jung.

In Ricordi, Sogni, Riflessioni, Jung presenta una raccolta di ricordi, sogni e riflessioni che ha scritto durante la sua vita. Questo libro contiene molte discussioni sulla sua vita personale, ma anche sui suoi studi sulla psicologia e sulla mitologia. Jung utilizza molti esempi tratti dalle mitologie e dalle religioni di tutto il mondo per illustrare i suoi punti di vista sulla psiche umana. Inoltre, il libro contiene molte discussioni sul processo di individuazione, che è uno dei concetti centrali della psicologia di Jung. Questo processo si riferisce alla ricerca di una persona per trovare il proprio sé più profondo e autentico. Esattamente come ci piace pensare di fare anche noi Muse! In molti casi, questo processo richiede di esplorare le profondità dell’inconscio e di confrontarsi con i propri simboli e miti personali. Jung sostiene che attraverso questo processo, una persona può diventare una persona più completa e realizzata. Si tratta quindi di un libro importante per gli amanti della mitologia perché offre una prospettiva unica sulla psicologia umana, utilizzando molte storie e simboli mitologici come esempi.

Carl Gustav Jung, celebre psicanalista svizzero (ma anche psichiatra, antropologo e filosofo) ha scritto questo libro insieme ad Aniela Jaffé (che fu sua allieva, paziente e collaboratrice), edito per la prima volta nel 1961, anno della morte dello psicanalista, su sua dichiarata richiesta il volume doveva apparire solo dopo la sua scomparsa. Non sentitevi bloccati dalla lettura che si potrebbe immaginare complicata: il libro è molto ricco ma si legge con facilità e piacere.  L’impegno che richiede è di gran lunga ricompensato dalla ricchezza che offre in cambio.  Jung, in questo libro, si racconta partendo dall’infanzia, che sicuramente non può dirsi convenzionale, sembra infatti che egli, fin dall’infanzia, sentisse una chiamata verso qualcosa di grande, verso un contatto con una spiritualità lontana dai dogmi della chiesa; racconta l’attrazione verso la conoscenza, l’autenticità, il mistero. Ci narra dei piccoli rituali che svolgeva, dando un’interpretazione dei suoi gesti sempre molto precisa, in maniera tanto esatta e scorrevole da sembrare univoca, ovvia, non passibile di opposizione. Jung sembra vedere costantemente oltre i simboli, oltre i comportamenti, non ricercando tanto le cause ma mettendo a fuoco i significati. Interessanti sono anche i sogni che vengono raccontati nel libro, in cui egli osserva sempre i collegamenti con la sua vita e il suo destino, mai fermandosi alle prime superficiali conclusioni. Ecco, la parola che più si distanzia da questo libro è superficiale; quella più vicina, direi, è chiarezza. Il volume è stato definito dallo stesso Jung come una forma di autoanalisi, e si inserisce, dal punto di vista del lettore, nella macro area dei testi di auto-terapia. Questo, però, è più di un libro, è un viaggio, un’esperienza dentro una vita straordinaria, non in senso strettamente lusinghiero ma nell’accezione di essere nettamente fuori dall’ordinario, dalla banalità, dall’omologazione.

Jung, Carl Gustav, Ricordi, sogni, riflessioni. A cura di Aniela Jaffé, Rizzoli. 

Qui trovate una ricchissima intervista a Jung, pochi mesi prima della sua morte e ritradotta nel 2023 da Andreas Barella e pubblicata sul suo canale YouTube. Lì trovate anche altri video su Carl Gustav Jung. Curiosate un po’ in giro! 🙂 ISCRIVETEVI AL CANALE! (Basta cliccare sul rotondino con la faccia di Andreas in alto a sinistra, in seguito su “iscriviti”) GRAZIE MILLE! 

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