Katniss: tra eccitazione e paura
In questo post volevo approfondire l’atroce e crudele concomitanza di due emozioni che attanagliano i partecipanti al reality Hunger Games. I tributi dei dodici distretti sono obbligati a combattere l’uno contro l’altro nell’arena, fino a quando non ne rimarrà vivo uno solo. Inoltre ogni distretto manda due “vittime”, che si conoscono e sanno che solo una di loro potrà (in caso di successo nel gioco) tornare a casa viva. Provengono dallo stesso distretto, ma potenzialmente si devono uccidere tra loro, per avere una qualche speranza. Lo dice anche il malvagio presidente Snow, nel film: “Un po’ di speranza va bene, tanta è pericolosa…” Per cui va bene il sentimento di vicinanza, di fratellanza tra vittime dello stesso distretto, ma non troppo. Il pensiero dietro gli HG è “divide et impera” come dicevano gli antichi: tieni separati i distretti, mettili in concorrenza uno con l’altro, schiacciali con la paura e con l’arroganza del potere che chiede vittime di sangue, e comandali ricordando loro che potresti annientarli ma non lo fai perché sei buono. “Capitol City ha riportato la pace nel paese, dopo il periodo buio della rivolta,” recita il filmato prima della mietitura. Una logica basata sulla paura, sulla possibilità di farla franca (“due vittime all’anno… magari non tocca a me”), sull’accettazione della forza spropositata della Capitale che punisce senza pietà ogni tentativo di ribellione, sul senso di colpa per aver causato dolore a tutta la nazione con la ribellione di tre quarti di secolo prima. Divide et impera, quindi. Ogni distretto è solo, isolato, non sa nulla di cosa capita negli altri distretti. E questo permette alla capitale di controllarli meglio. Ma è interessante notare che i ragazzi partecipanti agli Hunger Games ne subiscono il fascino. Cresciuti guardando la programmazione televisiva obbligatoria di Capitol City, conoscono i “giochi” e sanno del successo e del prestigio di cui godono i vincitori. Per cui quando vengono intervistati prima dell’entrata nell’arena, si confrontano con la pressione della notorietà, con la possibilità di sedurre sponsor e pubblico. È forse la metafora più crudele del nostro mondo: adolescenti (i partecipanti agli HG hanno tra 12 e 18 anni) con un ricco potere mediatico e finanziario che fanno sognare i ricchi di Capitol City e anche in parte i poveri dei distretti (il reality è uno strumento di morte e punizione, ma di fatto l’unica remota possibilità di migliorare finanziariamente il proprio livello di vita). “Devi dare la vita, devi rischiare di morire per il potere, se vuoi che, dopo aver venduto l’anima al diavolo, dopo aver ucciso altri poveracci come te, noi ti riconosciamo come degno di farci sognare e ti riempiamo di oro e cibi buonissimi”. Per Capitol City, solo chi tradisce i propri simili, solo chi sopravvive per permettere al Potere di ricordare a tutti che chi sta alle regole dei giochi (=uccide in nome del potere) viene premiato. Terribile!
Le immagini del film sono molto azzeccate e vedere Katniss con il fatuo presentatore televisivo rende proprio l’idea dell’essere spaesati e bilanciati tra emozioni contrastanti: paura di morire e eccitazione per la notorietà, per il fatto di essere in grado di entusiasmare le folle con la propria storia. “Sii te stessa,” dice Cinna a Katniss prima che essa esca sul palco. La semplicità da “buoni selvaggi” dei tributi dei distretti agricoli o industriali piace molto a Capitol City. Anche Katniss, benché attenta e guardinga, viene in parte sedotta dal potere della notorietà. Che pero, come si apprende subito dopo, uccide. Nel film in modo letterale, nella nostra società la ricerca di un successo facile basato sulla presenza e freschezza della giovane età seduce e rovina in modi più sottili.
Andreas
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